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KOUCHNER CONTRO LA REALPOLITIK DI SARKO

Per il Ministro degli Esteri, Bernard Kouchner, il Presidente ha dato una prova “insufficiente” dell’impegno della Francia per la democrazia

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Simona Bonfante

"Non aderisco a questa realpolitk che vuole che in nome di un interesse economico superiore si debbano dimenticare i principi. Il primo dei quali è il rispetto dei diritti umani”-  scriveva Nicolas Sarkozy nel suo libro Témoignage, ai tempi della candidatura all'Eliseo.

Nei mesi precedenti la corsa presidenziale, Sarkozy annunciava la rottura con la “francoafrique” di degaulliana memoria, con l'imperialismo commerciale dell'era Chirac, con una tradizione diplomatica tanto sorda alle sirene della democrazia e dei diritti umani quanto attenta a quelle degli affari. Era apparso, quello del candidato-presidente, un impegno coraggioso ed ambizioso che aveva convinto personalità della sinistra democratica, come Bernard Kouchner, ad unirsi al governo della nuova destra riformatrice in nome di un obbiettivo nobile e repubblicano: fare dei principi democratici, non degli affari, il nuovo fulcro della politica estera francese.
Ebbene, Sarkozy sembra oggi aver cambiato idea. Se non sugli obbiettivi, certamente sui metodi per conseguirli.

Perché dalla Cina alla Tunisia, dalla Libia alla Russia, dal Congo al Marocco, è la “diplomazia degli assegni” più che quella degli ideali democratici a suggerire la condotta diplomatica sarkozista in questo primo anno presidenziale.

Come il suo predecessore, Jacques Chirac - che non c'era viaggio di Stato dal quale non riportasse preziosi souvenir per le imprese nazionali - nel primo anno al potere, Nicolas Sarkozy, ha fatto di tutto per assicurare il suo appoggio all'establishment industriale francese, soprattutto nei settori della difesa e dell'energia. Le visite di Stato compiute in Cina, Africa, Russia, Argentina (la lista è lunga), e l'ospitalità riservata a Parigi a figure politicamente imbarazzanti – ma economicamente strategiche - come il Colonnello Gheddafi, sono infatti state valutate con soddisfazione dall'Eliseo proprio sulla base del potenziale economico, più che su quello politico, ovvero sui contratti firmati più che sui risultati ottenuti in termini di promozione della democrazia.

La visita di Stato in Tunisia, l'ultima in ordine di tempo, ha permesso al problema di esplodere pubblicamente. È proprio il recente viaggio di Stato compiuto nella ex colonia francese, infatti, ad avere fornito gli argomenti più credibili a quanti – davanti ai salamelecchi con Gheddafi, al cameratismo con Putin o alle strette di mano con i peggiori despoti africani - hanno cominciato a dubitare della reale volontà dell'attuale inquilino dell'Eliseo di cambiare la rotta della politica estera francese.

Nella due-giorni tunisina, Sarkozy si è dato molto da fare nel promuovere l'industria nazionale, ma quando si è trattato di saldare il conto con il regime anti-democratico di Ben Ali, chiedendo una contropartita - simbolica o concreta che fosse -, il Capo dello Stato francese non ha avuto che parole di apprezzamento per i progressi registrati dalla Tunisia nello “spazio delle libertà”.

Per il Ministro degli Esteri, Bernard Kouchner, il Presidente ha dato una prova  “insufficiente” dell'impegno della Francia per la democrazia. Kouchner conviene con Sarkozy sui progressi realizzati in Tunisia, ma non si esime dall'osservare quello che tutte le organizzazioni internazionali non smettono di denunciare, e cioè che il paese è ben lontano dall'essere un paradiso delle libertà civili e del rispetto dei diritti umani.

Per il fondatore di Médécins sans frontiers, la frase di Sarkozy era quanto meno “inopportuna”. “È vero che, rispetto ad altri paesi, in particolare nella regione, in Tunisia le cose vanno meglio. Ma – ha osservato il responsabile della diplomazia francese – quello che è stato fatto è ancora insufficiente e sarebbe stato opportuno farlo presente.”

La posizione di Sarkozy ha sollevato proteste, come comprensibile, da parte delle organizzazioni che si battono in difesa dei diritti dell'uomo, ma soprattutto ha creato profonda delusione tra le vittime del regime tunisino, quei democratici che pagano sulla propria pelle la repressione del regime e che, dalla visita del Presidente francese nel loro paese si attendevano se non un'accusa esplicita al regime illiberale di Ben Ali  quanto meno un segnale a sostegno dell'opposizione democratica. E invece, niente. Il compito di incontrare i “dissidenti” tunisini è stato riservato a Yama Rada, il ministro dei diritti umani, presente nella delegazione, ma come poco più che “tappezzeria”.

Il messaggio che il Presidente intendeva lanciare alle autorità politiche della ex colonia era, infatti, tutt'altro che un segnale di attenzione per i diritti umani e le libertà civili del popolo tunisino. Amnesty International non ha preso bene la cosa ed ha denunciato il rischio di un ritorno alla tradizione per la politica francese in Tunisia. Dunque, addio rottura?

Kouchner si mantiene cauto ed auspica una maggiore “attenzione”, in futuro, da parte del governo. Il rischio cui si espone oggi la Francia, infatti, è di perdere la credibilità che il candidato Sarkozy le aveva permesso di ritrovare - negli Usa, in Europa e nell'universo del dissenso che si batte per affermare la civiltà democratica nei paesi più refrattari ad accettarla. Rinunciare, per una logica di egoismo economico, ad impegnare la diplomazia francese a dei risultati concreti sul fronte dei diritti umani e della democrazia nel mondo, rischia di indebolire l'Eliseo, non rafforzarlo, e di costringere la Francia entro i confini delle alleanze disegnate nel corso della V Repubblica.

Kouchner, al riguardo, si pone un dubbio non banale: “cosa rispondere se qualcuno chiede ok, siete impegnati per la liberazione di Ingrid Betancourt, ma per il resto, cosa state facendo per i Diritti dell'Uomo?” Per il Ministro, si tratta di una questione “giusta” alla quale è necessario prestare maggiore attenzione, “come d'altra parte il Presidente aveva promesso in campagna elettorale” – aggiunge.

Certo, inutile negare che anche il perseguimento dell'interesse nazionale è responsabilità dell'Eliseo, e ci sono pochi dubbi sul fatto che un viaggio di Stato sia una manna per le imprese che auspicano, o si accingono a stipulare, nuovi e significativi contratti anche in paesi che non sono definibili esattamente come un modello di virtù democratica. Ed è ancora presto per dire se, il pragmatismo interessato di Sarkozy sia destinato a degenerare in un vero e proprio tradimento. Ma i primi segnali non sono incoraggianti.

Sono ormai molti, infatti – in Francia come all'estero – a sospettare che l'avversione dichiarata dal candidato-presidente per la politica chirachiana in Africa, sia stata ricondotta dal presidente eletto verso un più mite realismo che, nei fatti, si traduce in una perfetta continuità con il passato. Per carità, nessun paese occidentale rifiuta di far affari in Cina e con Gazprom, o di trattare la vendita dei prodotti dell'ingegno occidentale – la difesa, la tecnologia, il know-how – andando lì dove c'è più mercato, ovvero negli angoli più oscuri e meno democratici del mondo.  Non c'è capo di governo in Europa - da Gordon Brown a Prodi, da Zapatero a Berlusconi - così integralista da rifiutare alle imprese nazionali l'aiuto della diplomazia.

Ma Sarkozy oggi ha una responsabilità in più. Ed è quella di guidare il rilancio dell'Europa politica. Dalla difesa alla politica del Mediterraneo alla riforma della Pac, i dossier posti sul tavolo dei 27 dalla Presidenza francese che si insedierà il prossimo 1 luglio potrebbero inaugurare un processo di rilancio dell'Unione di tale portata da rappresentare davvero un passo storico. E tuttavia, difficilmente il progetto potrà apparire credibile se a proporlo è un paese incapace di resistere alla tentazione di firmare contratti commerciali bilaterali, e di insistere invece per una strategia di più lungo respiro, giocata sull'unità di intenti e di forze di un blocco politico-economico vasto come la Ue.

Il problema, nel caso specifico della Francia, è insomma che il fallimento della rottura sarkozysta divenga l'emblema dell'impossibilità a conciliare, in politica estera, pragmatismo e diritti umani. Ritornare all'opinabile tradizione della diplomazia commerciale, dopo aver offerto al mondo il biglietto da visita della nuova Francia democratica, atlantista, engagée, rischia infatti di compromettere la battaglia dei principi che, in questa delicata fase delle relazioni internazionali, ha la responsabilità di indirizzare il futuro assetto del mondo multipolare.
  






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