Saranno 374 le esecuzioni capitali cui la
Cina darà corso durante i Giochi Olimpici che si svolgeranno a Pechino il prossimo agosto. Questa la stima di Amnesty International, calcolata sulla media delle sentenze eseguite nei primi mesi dell'anno. Una valutazione giudicata in difetto da altre organizzazioni umanitarie, secondo cui il numero delle condanne a morte effettivamente eseguite sarebbe superiore di venti volte al numero ufficialmente denunciato - nel 2007, valutano fonti ufficiose, le sentenze capitali sarebbero state 8000 contro le 470 pubblicamente denunciate.
Al Governo Italiano che si accinge ad insediarsi si offre un'occasione storica.
Dando seguito alla moratoria sulla pena di morte approvata dalle Nazioni Unite - l' Italia potrebbe chiedere un pronunciamento ufficiale dell'Onu perché la Cina sospenda nell'anno delle Olimpiadi le esecuzioni capitali, ovvero commuti le sentenze a morte in pene detentive. Al governo cinese la responsabilità di dimostrare all'opinione pubblica internazionale, con piena trasparenza, l'effettivo esercizio della moratoria.
Con una simile iniziativa, l'Italia si farebbe leader di una via pragmatica all'umanitarismo che permetterebbe alla Comunità Internazionale di uscire dall'impasse creata dallo scontro "ideologico" tra oppositori e sostenitori del boicottaggio delle Olimpiadi, ed alle Nazioni Unite di tradurre in pratica un nobile, ma pur sempre inefficace, pronunciamento di principio come quello approvato, su iniziativa italiana, pochi mesi fa.
Coerentemente alla sua tradizione cristiana, l'Italia aprirebbe una ancora non esplorata "terza via" nelle relazioni internazionali, in cui la difesa dei diritti umani nel mondo e la tutela degli interessi economici nazionali potrebbero risultare aspetti non inconciliabili.
La Cina - denuncia la sezione Britannica di Amnesty Internatonal - merita la "medaglia d'oro per le esecuzioni capitali". È questo il drammatico misunderstanding tra gli "umanitaristi", paladini della causa tibetana, e i "cinici" che, come il Ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, o il Commissario europeo al Commercio, Peter Mandelson, ammoniscono invece dai rischi impliciti in questa campagna internazionale anti-cinese: il rischio di danneggiare le vittime dimenticate, ovvero gli stessi cittadini cinesi che, quotidianamente, nel silenzio quasi unanime, subiscono sulla propria pelle, sino a pagare con la vita, la crudeltà del regime cinese. In Cina, sono una settantina i crimini per i quali è prevista la sentenza capitale. Si tratta, spesso, di reati incredibilmente marginali, come la frode fiscale, le fatture false, il danneggiamento agli impianti elettrici, la vendita di farmaci contraffatti. Rispetto all'anno precedente, nel 2007 si è registrato un calo del numero totale delle esecuzioni capitali compiute nel mondo (da 1591 a 1250). Contro questa tendenza globale, solo Iran e Arabia Saudita, dove le sentenze a morte sono sensibilmente cresciute, passando rispettivamente da 177 a 317 - in Iran - e da 39 a 143 - in Arabia Saudita. Questa drammatica escalation - riporta Amnesty International - è dovuta all'estensione, nei due paesi mediorientali, dei reati punibili con la morte, oltre che alla degenerazione dei metodi impiegati per infliggere la pena ai condannati. Aumentano, infatti, le morti per lapidazione - anche per reati come l'adulterio - e le sentenze comminate su ragazzini adolescenti.Ad oggi, sono 135 gli stati in cui è in vigore la pena di morte, un numero in lenta ma progressiva diminuzione. Albania, Rwanda ed Isole Cook, lo scorso anno, hanno scelto l'abolizione. Gli Stati Uniti, che purtroppo figurano ancora in vetta alla lista delle esecuzioni capitali, hanno tuttavia registrato, nel 2007, il minimo storico di sentenze a morte: sono stati infatti "solo" 42 i condannati che, lo scorso anno, hanno conosciuto il boia.