Luci ed ombre della visita euro-mediorientale del candidato Democratico alla Casa Bianca
Di diverso avviso il magazine online Slate
La sintonia tra al-Maliki ed Obama è apparso comunque evidente. In occasione dell'incontro ufficiale, un portavoce del governo di Baghdad ha indicato il 2010 come data auspicabile per il ritiro dei contingenti stranieri dall'Iraq. “Ma non vogliamo indicare scadenze”, ha poi tenuto a precisare. Oltre agli incontri di rito con le autorità irachene e con i reparti militari, la delegazione congressuale americana, che comprende anche il senatore Repubblicano Chuck Hagel e il collega Democrat Jack Reed, si è intrattenuta con il generale Petraeus e con l'ambasciatore statunitense in Iraq, Ryan Crocker. McCain nel frattempo continuava la sua lotta per conquistare un minimo di visibilità e, dopo essersi lamentato della disparità di trattamento ricevuta dai media nazionali, si è augurato sarcasticamente che Obama traesse un'utile lezione dal confronto con Petraeus. E che soprattutto si rendesse conto dell'efficacia del surge, della necessità di aumentare e non diminuire le truppe in Iraq e dell'inopportunità di preannunciare i tempi del ritiro.
L'appuntamento giordano, a prescindere dalle cordialità con cui re Abdullah II ha accolto Obama, è stata semplicemente una stazione di passaggio tra Iraq ed Israele, i due nodi centrali del capitolo mediorientale del tour mondiale del candidato alla Casa Bianca. Durante la giornata trascorsa ad Amman, Obama ha preparato il terreno sostenendo, non banalmente, che Israele ed Anp non hanno abbastanza forza interna per fare le concessioni necessarie per un pace definitiva. “Il mio obbiettivo sarà, non appena mi insedierò alla Casa Bianca, avvicinare le due parti, ma è irrealistico credere che un presidente americano possa portare la pace in Medio Oriente con uno schiocco di dita.” Prima di dedicarsi agli attesissimi incontri con le autorità israeliane e con il presidente palestinese Mahmoud Abbas, Obama è tornato sulla situazione complessiva della regione ed in particolare sull'evoluzione del quadro iracheno, ammettendo come il Paese sia più sicuro oggi di quanto lo fosse un anno e mezzo fa, ma rifiutandosi di esprimere una valutazione positiva del surge deciso nel 2007 dall'amministrazione Bush. Poco prima dell'arrivo a Gerusalemme del candidato presidenziale Usa, si è verificato un attacco terroristico davanti al King David, l'hotel destinato ad ospitarlo.
Una visita al Muro del Pianto all'alba del 24 luglio ha concluso con una mossa a sorpresa lo scenografico, ed impegnativo, appuntamento mediorientale. Ma quali i contenuti politici? Non appena eletto presidente, Obama non intende perder tempo nell'elaborazione di un proprio piano per la risoluzione della questione israelo-palestinese, ma ha promesso a Gerusalemme e Ramallah di voler implementare le iniziative che sono oggi sul campo, e che l'America condivide: la Road Map appoggiata dal Quartetto e la Dichiarazione di Annapolis. Parlando con i leader israeliani e palestinesi, il candidato Democratico non si è discostato dalla linea seguita dall'amministrazione Bush. Questo, insieme alla presa d'atto che un Iran nucleare rappresenterebbe una minaccia per la sicurezza regionale e globale (“una minaccia da scongiurare”, dice Obama), il lascito principale della lunga giornata in Israele e nei Territori del junior senator. Rispetto al destino di Gerusalemme, il senatore dell'Illinois ha rassicurato Abbas sul tenore di alcune sue precedenti dichiarazioni: lo status finale della Città Santa verrà deciso sul tavolo negoziale. Anche qui, a differenza dell'Iraq, nessuna discontinuità con l'amministrazione Bush.
World Tour: l'Europa
Con un'investitura di Nicolas Sarkozy (“se diventasse presidente, la Francia ne sarebbe felice) ed un cordiale incontro con Tony Blair, Gordon Brown e David Cameron (quasi superfluo rinsaldare la Special Relationship) si è concluso il giro del mondo in otto giorni di Obama. A Parigi il candidato Democratico ha preferito accuratamente evitare un bagno di folla. Del resto, Obama è consapevole del fatto di aver già conquistato l'Europa e non cercava ulteriori conferme nelle piazze. Sono ancora vivi, nelle menti di molti americani, i ricordi degli scontri dell'inverno 2003 tra Bush e Jacques Chirac e la tradizionale recalcitranza francese ad accettare il predominio Usa nella comunità atlantica. Obama teme non sia sufficiente la postura filo-americana dell'amico Sarkozy come garanzia contro le perplessità degli indipendenti, dei Repubblicani indecisi e dei Democratici moderati davanti ad uno scambio di effusioni troppo caloroso con i francesi. Meglio mantenere un basso profilo. Motivo per il quale, l'appuntamento parigino si è limitato ad un incontro di un paio d'ore con il presidente francese e ad una conferenza stampa. Per la luna di miele con la Francia, in nome del multilateralismo che Obama ha dimostrato di condividere, ci sarà tempo. A Londra, il premier Brown non ha voluto artatamente riservare al prestigioso ospite un trattamento speciale, per evitare incongruenze con quanto fatto mesi fa durante l'incontro con McCain. Precedentemente, con l'inviato del Quartetto Blair si era discusso dei recenti sviluppi e delle prospettive in Medio Oriente.