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RUSSIA-GEORGIA: LA GUERRA LUNGO LE VIE DEL PETROLIO
RISCHIA DI STRANGOLARE L'OCCIDENTE

“Fino a 15 anni fa quella che era l’Urss controllava circa metà della costa del Mar Nero – sottolinea Arduino Paniccia, docente di strategia militare - oggi invece il controllo si riduce a poco più di un centinaio di km di costa. La Russia è così passata dal dominio di una zona strategica – per materie prime e produzione di energia (dal gas al petrolio) – a pochi km di costa”. Per questo, nella regione, Mosca “non vuole la Nato, né l’influenza della Ue che potrebbe arrivare indirettamente dalla posizione della Georgia. La Russia non vuole l’adesione della Geogia alla Nato, né vede di buon occhio i contatti con l’Unione europea”.

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s.car - Prima la perdita di controllo sul Mar Nero, poi le questioni indipendentiste e, infine, la “provocazione” di vedersi collocare “così tenacemente” lo scudo spaziale tra Repubblica Ceca e Polonia. Sono questi i nodi che la Russia ha dovuto affrontare negli ultimi 15 anni e che l'hanno portata a incarnare le sembianze del “nuovo impero del male”.

Così la pensa Arduino Paniccia, docente di Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Trieste, uno dei massimi esperti italiani di strategie diplomatiche e militari, in un commento a caldo rilasciato all' adn-kronos, sottolineando il “grande scenario geopolitico che la Russia non vuole mollare”. “Fino a 15 anni fa quella che era l'Urss controllava circa metà della costa del Mar Nero – sottolinea Paniccia - oggi invece il controllo si riduce a poco più di un centinaio di km di costa. La Russia è così passata dal dominio di una zona strategica – per materie prime e produzione di energia (dal gas al petrolio) – a pochi km di costa”. Per questo, nella regione, Mosca “non vuole la Nato, né l'influenza della Ue che potrebbe arrivare indirettamente dalla posizione della Georgia. La Russia non vuole l'adesione della Geogia alla Nato, né vede di buon occhio i contatti con l'Unione europea”.
 
E “proprio sulla posizione della Georgia rispetto alle due enclave nel suo territorio, ovvero la Repubblica separatista dell'Abkhazia e l'Ossezia del Sud (filo-russe, ndr), è in atto da molto tempo un braccio di ferro” tra i due Stati. “La situazione è esplosiva e dopo l'intervento della Russia c'è il rischio di una escalation”.

L'analisi del prof. Paniccia trova una conferma nelle dichiarazioni del presidente georgiano: “Le ricchezze petrolifere – afferma Saakashivili – e il desiderio di imporre una leva economica sull'Europa e sull'Occidente hanno spinto il Cremlino ad attaccare la nazione georgiana. La Georgia è una terra di transito per il petrolio e il gas naturale esportati dall'ex Unione Sovietica che minaccia il vicino monopolio russo”.
 
“Il problema dell'Ossezia - prosegue dal canto suo Paniccia - non è stato molto noto finora ma è di grande evidenza e potrebbe determinare l'apertura di un fronte di instabilità in una zona d'Asia, legata agli indipendentisti, in cui è coinvolta la Federazione Russa”.

Ma se questo è il timore russo, quello occidentale è simmetrico: il timore di essere strangolati nelle risorse energetiche da un fronte che possa saldarsi tra Asia e Medio Oriente, e “fare cartello” su prezzi e quantità disponibilili per le economie occidentali.
 
Come sostiene un recente studio dell'ISPI, la Russia sta diversificando i propri interlocutori politici e partner commerciali. “Dal punto di vista economico, la Russia si considera ormai tra i paesi ad alto potenziale di crescita come Cina, India, Brasile (i cosiddetti Bric), con cui ha stipulato diversi accordi.La Russia tendenzialmente preferisce partecipare a organizzazioni con un basso livello di istituzionalizzazione e formalizzazione dove le sia consentito di soddisfare le aspirazioni di grande potenza. Ma soprattutto la Russia non tollera ingerenze in politica interna”.
 
Questa differenza di aspettative e obiettivi, ricorda l' ISPI “si è manifestata in occasione del summit UE - Russia di Helsinki (24 novembre 2006) quando era in agenda la rinegoziazione dell'Apc. L' UE avrebbe voluto che la nuova versione dell'Apc incorporasse alcuni principi fondamentali sul mercato energetico previsti dall' “Energy Charter Treaty” (notoriamente: apertura delle pipelines per il trasporto di gas e petrolio, mutuo accesso ai mercati dell'energia, tutela degli investimenti).
 
A queste misure, che porrebbero fine al monopolio di Gazprom, che sfrutta la propria posizione per acquistare gas a basso costo da altri paesi e rivenderlo a prezzi molto più alti in Europa, Mosca si è opposta. Anzi la strategia di Gazprom è quella di acquisire altre pipelines all'estero per controllare, oltre alla produzione, anche la distribuzione del gas”.

In questa prospettiva assume un significato sinistro l'incontro avvenuto a Theran tra esponenti di Gazprom e del governo iraniano per la conclusione di un importante accordo che da' l'avvio al nuovo gasdotto “Peace pipeline” diretto verso l'estremo oriente. Nel resoconto dell'evento, infatti, il quotidiano iraniano “Iran Daily” sottolineava come il nuovo contratto con Mosca, rafforzava la già positiva collaborazione per lo sviluppo dell'industria nucleare iraniana.
Questo accadeva il 14 luglio, cinque giorni prima, cioè, dell'incontro tra i 5+1 e il negoziatore iraniano a Ginevra, per esaminare a bozza Solana. In quella circostanza (completamente ignorata dalla stampa iraniana) molti commentatori occidentali hanno visto nella partecipazione dell'inviato statunitense, Burns, un gesto di cedimento dell'amministrazione Bush. Evidentemente, con la Russia seduta da una parte e dall'altra del tavolo, la presenza Usa ha significato ( come del resto era stato dichiarato ufficialmente da Washington) esattamente l'opposto, una riaffermazione della posizione di non-negoziazione mentre prosegue l'arricchimento di uranio in Iran.

L'articolo del quotidiano iraniano era affiancato da un breve corsivo dai toni intimidatori verso l'India che, al momento della firma dell'accordo con Gazprom, non aveva dato ancora la propria adesione al progetto del gasdotto (“O con noi o con lo Zio Sam”). Una settimana dopo, gli attentati con le 46 morti in India e il timore che si possa aprire una frattura tra la popolazione indù e quella mussulmana, con gravi conseguenze sullo stesso Pakistan.

L'invasione russa della Georgia, dunque, può apparire, se non rientra al più presto, come l'inizio di un più vasto incendio che potrebbe svilupparsi lungo le “vie del petrolio”. Non a caso a Pechino, in occasione dell'apertura dei Giochi, Putin ha chiesto ben due volte di incontrare il presidente israeliano, Peres, per confermargli l'indisponibilità della Russia alla dotazione di armi nucleari da parte dell'Iran. E questo nelle stesse ore in cui le truppe Russe entravano in Georgia.

Rassicurazioni del tutto inutili se l'occupazione non viene tolta.

“Medveded e Putin - afferma Arduino Paniccia - appaiono molto più vicini di quanto non apparissero prima”. Anzi, aggiunge l'esperto, “i due leader pensano che se per la questione tra Iran e Israele si può trattare, e per la Palestina anche, in quanto problemi ‘lontani', sul versante interno non ci sono molti margini e la Russia è molto meno disponibile a trattare”.

Inoltre i due leader contano sull'impossibilità di un intervento da parte degli Usa, in questo momento, soprattutto, in cui c'è un Bush meno potente vista la fase di transizione per l'avvicinarsi delle elezioni presidenziali americane”. A questo proposito, “il problema di fondo è uno: lo scudo spaziale (stazione missilistica e radar) che gli Usa vorrebbero attivare. Da parte americana, per controllare l'Iran. Secondo i russi, per controllare Mosca”.
 
Una tensione, quindi altissima, che squaderna tutta l'agenda internazionale.
 
E una crisi che porta gli Usa e chiedere all'Europa di intervenire immediatamente, prima che essa divampi. Un quadro che ha spinto il presidente francese (dopo diversi colloqui telefonici con Bush), a recarsi personalmente a Mosca in veste di presidente di turno della UE per incontrare Medvedev e Putin, mentre il suo ministro degli esteri, Kouchner, giungeva a Tiblisi contemporaneamente ad un bombardamento russo dell'aeroporto internazionale in cui era atteso il suo atterraggio. La proposta che Sarkozy porta con sé è il quadro del cessate il fuoco che prevede il ritorno allo stato “quo ante” l'ingresso dei russi in Georgia. Una condizione già respinta dal Cremlino in cui alcune fonti hanno dichiarato al New York Times che “l'unica cosa che non può accadere è il ritorno alla situazione precedente”.

La questione, dunque sembra indirizzata a ruotare attorno al destino del governo filo-occidentale georgiano che Putin (che ha il comando delle operazioni militari) sembra intenzionato a rimuovere con la forza.
 
Una questione attorno cui, se le cose stanno veramente così, ruota l'intera relazione tra Occidente e Russia.
 
Relazione Iran-Israele compresa, dove - come dicono gli israeliani - "la gara è contro il tempo, e il tempo sembra vincere".
 
Se le cose, di nuovo, stanno così in Georgia.






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