Email:
Password:
Non sei ancora iscritto? clicca qui
Iscriviti alla Newsletter:
ABBONAMENTI e RINNOVI  Critica TV Cerca nel sito:
Links   Chi Siamo  
Critica Sociale (anno 2014)
Storia e documenti di trent'anni (1980-2013)
Le pubblicazioni e i dibattiti
Le radici della democrazia e la Critica di Turati



AMBIENTE (45)
CRITICA SOCIALE (52)
CULTURA POLITICA (372)
DEMOCRAZIA (395)
DIRITTI UMANI (116)
ECONOMIA (254)
ENERGIA (74)
GEOPOLITICA (402)
POLITICHE SOCIALI (77)
SICUREZZA (291)
STORIA (98)
TERRORISMO (62)


Afghanistan (66)
Ahmadinejad (56)
Al-qaeda (29)
America (56)
Berlusconi (56)
Blair (61)
Brown (83)
Bush (131)
Cameron (31)
Casa Bianca (20)
Cina (141)
Clinton (71)
Comunismo (18)
Craxi (34)
Cremlino (33)
Crisi (88)
Egitto (19)
Elezioni (26)
Euro (24)
Europa (242)
Fed (16)
Francia (58)
Frattini (16)
G8 (17)
Gas (19)
Gaza (30)
Gazprom (24)
Georgia (40)
Germania (36)
Gran Bretagna (47)
Guerra Fredda (23)
Hamas (56)
Hezbollah (38)
India (42)
Iran (166)
Iraq (52)
Israele (148)
Italia (110)
Labour (58)
Libano (37)
Libia (21)
Londra (16)
Mccain (84)
Medio Oriente (82)
Mediterraneo (19)
Medvedev (49)
Merkel (35)
Miliband (24)
Mosca (31)
Napolitano (16)
Nato (61)
Netanyahu (26)
Nucleare (53)
Obama (240)
Occidente (60)
Olmert (18)
Onu (43)
Pace (20)
Pakistan (34)
Palestina (23)
Palestinesi (31)
Pci (22)
Pd (26)
Pdl (16)
Pechino (27)
Petrolio (35)
Psi (19)
Putin (109)
Recessione (32)
Repubblicano (16)
Rubriche (53)
Russia (179)
Sarkozy (130)
Sinistra (24)
Siria (49)
Socialismo (40)
Stati Uniti (189)
Stato (23)
Teheran (20)
Tory (22)
Tremonti (30)
Turati (24)
Turchia (30)
Ucraina (25)
Ue (81)
Unione Europea (37)
Usa (228)

   
Home Page  >>  Editoriale
 
 


DOSSIER RUSSIA 2/ IL DECLINO ECONOMICO DEL CREMLINO

La novità geo-politica di questo agosto 2008 sembrerebbe essere il ritorno della grande Russia, ma il Cremlino rischia un crollo strutturale della sua crescita economica

Data: 0000-00-00

Simona Bonfante

“La Grande Russie est de retour”?
La novità geo-politica di questo agosto 2008 sembrerebbe essere il “ritorno della grande Russia”. Così, almeno, nella percezione dell'opinione pubblica europea, qui nella sintesi proposta dal criminologo francese, Alain Bauer, e dal deputato Ump, Pierre Lellouche, su Le Figaro di lunedì 8 settembre, il giorno in cui il Presidente del Consiglio Ue, Nicolas Sarkozy, con il Presidente della Commissione, Manuel Barroso e l'Alto Rappresentante della Politica estera Ue, Xavier Solana, si reca a Mosca per chiedere il ritiro delle truppe russe dal territorio georgiano, come prevede l'accordo sul cessate il fuoco siglato dai due belligeranti il 12 agosto, ma che i russi hanno sin qui platealmente violato. Di tale ritrovata “grandezza”, si sostiene, è prova il fatto che oggi Mosca controlla il più strategico dei mercati, quello dell'energia, da cui dipendono i destini di buona parte delle democrazie di antica tradizione capitalista che, come gli Usa e l'Europa, e parte dei nuovi players globali, come la Cina e l'India, hanno bisogno di tempestività, continuità e capacità di rifornimenti energetici.

Ora, l'Europa che non produce energia ma ne consuma parecchia, che del mercato globale è più vittima che attore, che è vittima di se stessa e della sua bulimia auto-regolamentatrice, ebbene è normale che questa Europa guardi alla Russia con deferenza. L'Europa ha bisogno di energia, ma non ha (ancora) gli strumenti, le infrastrutture e la capacità tecnologica per differenziare i rifornimenti. Dunque dipende da un produttore unico, quello più prossimo ai suoi confini, cioè Gazprom. Questa dipendenza, evidentemente, rende l'Europa vulnerabile alle lune del Cremlino. Ma a Bruxelles si tende a vedere le cose dal punto di vista del soggetto debole, e da questa prospettiva la superiorità geo-economica della Russia appare più irreversibile di quanto non sia in realtà.

L'economia russa, costruita da Putin sulle fortune del caro-petrolio e la monopolizzazione di riserve e reti di distribuzione, è infatti ormai entrata in un ciclo negativo “strutturale”, cioè destinato a durare. Ciò significa che, di qui al prossimo decennio, la Russia non potrà più fare la parte del leone, come ha fatto finora con un'Europa senza “opzioni”.

Secondo economisti, operatori finanziari ed analisti internazionali, insomma, la Russia vista attraverso le lenti della politica e dell'opinione pubblica occidentale appare più grande di quello che è.“L'8 agosto rimarrà negli annali della storia russa. Quel giorno – osserva sul Moscow Times, Anders Aslund, della Georgetown University - Vladimir Putin, ha compiuto il più grande errore strategico della sua carriera. In un colpo solo, il Primo Ministro ha bruciato 500 miliardi di dollari in borsa, paralizzato le riforme interne e isolato la Russia dal resto del mondo”. L'8 agosto – ovviamente - è la data d'inizio dell'invasione russa in Georgia. Ma - sottolinea l'autore di "Russia's Capitalist Revolution: Why Market Reform Succeeded and Democracy Failed" - è anche l'inizio di una guerra finanziaria, giocata per lo più all'interno della rete politico-economica intessuta attorno al Cremlino, che ha messo Mosca – il suo mercato finanziario, il suo capitale monetario, il budget di Stato – nella tenaglia di una crisi destinata a far rivedere “al ribasso” il bilancio vittorioso della stagione annessionista 2008. Se, infatti, le conseguenze politiche della guerra di agosto non sono ancora distinguibili in tutta la loro portata, il mondo economico e finanziario internazionale la sua pagella l'ha già compilata. Tutti gli indicatori confermano un dato : la crescita in Russia è già da diversi mesi in stallo e i limiti strutturali del sistema burocratico-autoritario moscovita lasciano ritenere che, in un futuro medio-lungo, tale trend negativo non sia destinato a cambiare. Qualche dato aiuterà a capire.

Il gigante russo dai piedi d'argilla
Il prodotto interno lordo russo è cresciuto di nove volte in nove anni, ciononostante continua a non valere più del 2,8% del valore globale. La ricchezza pro-capite attuale, in Russia, è pari a 12.000 dollari, un quarto di quella Usa. Il governo, cioè Putin, si è posto l'obbiettivo di raggiungere entro il 2020 la metà della ricchezza pro-capite Usa ma, per riuscirci, deve fare le riforme, e le riforme costano. La guerra in Georgia ha provocato in pochi giorni un crollo vertiginoso delle quotazioni delle imprese russe, prevalentemente controllate dallo Stato, come Gazprom. Questo ha fatto perdere al Cremlino quegli introiti altrimenti destinati, appunto, alle riforme. L'8 agosto la borsa di Mosca perdeva il 6,5%. Un mese dopo l'invasione, la perdita complessiva è del 36%. La Guerra caucasica è costata sinora alla Russia oltre 500 miliardi di dollari di capitali e quasi 600 di valuta. Durante la prima settimana dell'invasione, sono spariti dalle casse nazionali oltre 16 miliardi di dollari, sfumati nel ribasso speculativo delle azioni di Gazprom.  Pessime, anche sulla valuta nazionale, le conseguenze della crisi georgiana che, in tre settimane, ha fatto crollare il rublo al valore più basso mai raggiunto negli ultimi due anni. Il 4 settembre, la Banca centrale russa è costretta ad intervenire e rialzare il costo della valuta nazionale deprezzatasi, nel cambio col dollaro, di oltre 88 punti dall'inizio della crisi caucasica, secondo i dati forniti da Bloomberg. Con il rialzo del tasso di sconto - stima inoltre l'agenzia finanziaria CMA Datavision - il debito pubblico ha subìto un'impennata di 16 punti, raggiungendo quota 165% sul Pil, il valore più negativo dal 2004.

Secondo le stime della Banca Centrale, dall'inizio dell'invasione in Georgia, gli investitori hanno ritirato dalla Russia capitali pari a circa 5 miliardi di dollari
.

Non solo: un duro colpo alle casse del Cremlino viene anche dal petrolio che, nella prima settimana di settembre, ha raggiunto il prezzo più basso degli ultimi cinque mesi, con una perdita di 7 punti.
 “I russi sono costretti ad intervenire – spiega al Financial Times Nigel Rendell, della Royal Bank of Canada di Londra – perché la gente vende rubli e porta il denaro fuori dal paese. Credo che, in una fase di incertezza come l'attuale, sia opportuno tenersi alla larga da Mosca. La situazione politica non appare delle migliori.” Rompe la cautela anche Goldman Sachs che, dopo aver spiegato in più circostanze di non ritenere più il mercato finanziario russo un luogo di “fair competition”, ha freddato le speranze di rilancio della valuta, decretando la non prevedibilità sui prossimi 12 mesi. Una simile sentenza da parte di una “corte” finanziaria così autorevole equivale ad un “de profundis” per gli investimenti stranieri. Difficile cioè ci sia ancora qualcuno disposto a scommettere sull'economia Cremlino-centrica, sostenendola con l'acquisto di rubli o di azioni pubbliche, dopo che la “vittoria” georgiana è costata a Mosca la crescita di 10 punti dell'indice di inaffidabilità di Gazprom (che, alla fine di agosto, raggiungeva quota 298), la perdita di 8,8 punti percentuali del valore azionario  di Rosneft (il secondo colosso nazionale dell'energia), e il crollo delle azioni di Norilsk Nickel, la più grande azienda siderurgica del paese che, nella prima settimana di settembre, perdeva oltre il 15% del suo valore finanziario.“Queste perdite sono sostanzialmente destinate a durare”, osserva il prof. Aslund - senior fellow al Peterson Institute for International Economics - che cita una nota della UBS agli investitori, in cui si dice che “investire in Russia è tornato ad essere politicamente rischioso.” La banca svizzera, in realtà, ha già deciso a chi far pagare il costo del rischio-paese: alle imprese russe, cui è stato convenuto di praticare uno sconto per default, pari al 20% del loro valore reale.

La forza economica della Russia, insomma, non deve essere sovrastimata.La sua economia dipende al 60% dal prezzo del petrolio. E il prezzo del petrolio è in calo. Diminuisce anche la produzione di energia, a causa del clima ostile agli investimenti stranieri che si è instaurato negli ultimi anni, e della corruzione che ha reso il costo delle infrastrutture talmente insostenibile da impedire lo sviluppo necessario a sostenere gli attuali livelli di crescita.

Mercati e “oligarchi” bocciano il regime
La causa della crisi di fiducia dei mercati è il regime politico. Dopo aver beneficiato della favorevole congiuntura geo-economica dell'ultimo decennio, la Russia comincia a pagare – con la contrazione del sistema economico - il costo del regime liberticida instaurato al Cremlino.  La deriva autoritaria, le farneticazioni nazionaliste e la sfida ideologica agli Usa lanciata dall'ultimo Putin sono divenute, per la nuova ricca borghesia russa, motivo di seria inquietudine. Per i businessmen russi che negli ultimi anni si sono appropriati delle borse europee, fino ad assumerne il controllo attraverso i più importanti fondi di investimento internazionali, un capo di governo che pretende di subordinare l'interesse nazionale ad una anacronistica ridefinizione dei confini dell'Europa, alla riscrittura delle regole del diritto e dell'economia internazionale, ed alla rivalsa ideologica sulle democrazie liberali, comincia a diventare più un problema che una risorsa.

Il punto cruciale del crollo finanziario e monetario delle ultime settimane, infatti, è che a speculare sulle principali imprese di Stato – da Gazprom in giù – e sul deprezzamento del rublo, non sono stati gli investitori occidentali ma i finanzieri russi.
La mossa di Putin, insomma, sembra aver aperto un fronte di dissenso interno alimentato dalla sete di libertà delle élites economiche russe, “le quali – osserva Paul Quinn-Judge sul Christian Science Monitor – hanno capito chiaramente che il sistema autoritario di Putin non solo non ha restituito alla Russia un rango adeguato alle sue ambizioni mondiali, ma ha fatto cascare il paese in una trappola pericolosa e nociva.”

La nuova classe imprenditoriale russa, piuttosto, vedrebbe favorevolmente una modernizzazione in senso liberale del paese, che liberi la Russia dall'attuale, burocratico e corrotto “capitalismo di Stato”.“Questa gente – continua Quinn-Judge – teme che la Russia si sia infilata in una specie di nuova Guerra Fredda che la farà distrarre dallo sviluppo economico e provocherà una stretta sulle libertà personali.”Ora, queste persone non sono “outsider” del regime. “Il loro problema con il Cremlino, infatti, non è lo scrupolo per la limitazione della sovranità dei paesi vicini”. Quello che questa elite rimprovera piuttosto a Putin è di non aver valutato adeguatamente le conseguenze dell'azione militare in Georgia sulle potenzialità di sviluppo del paese. “Putin si fida solo di poche persone. I suoi collaboratori dicono che le scelte sui temi chiave – Georgia, Ucraina, Nato – le prenda lui stesso, con la tendenza ad improvvisare. Dicono poi che mostra scarso interesse per il mercato azionario russo, mentre la maggioranza dei mega-ricchi, in gran parte a lui vicini, ha fatto fortuna obbedendo ad una regola: Fare esattamente quello che Putin dice.” “L'uomo forte, conclude insomma l'analista del CSM, comincia a mostrare le sue debolezze”. O meglio, si potrebbe chiosare, è il regime autoritario che si conferma – anche nella “grande” Russia - economicamente disfunzionale e inefficiente, al punto da sembrare prossimo a portare il paese all'implosione.

Le conseguenze geo-economiche e il dilemma russo
Le conseguenze geo-economiche della mossa di Putin in Georgia sono state precisate dal Ministro degli Esteri britannico, David Miliband, nel discorso pronunciato in Ucraina, alla fine di agosto. “Mosca ha dimostrato di essere in grado di sconfiggere l'esercito georgiano. Ma la Russia è oggi più isolata, meno affidabile e meno rispettata di un mese fa. Oggi – ha osservato il capo della diplomazia di Londra - Mosca porta a casa una piccola vittoria militare, ma domani sentirà la sconfitta economica e politica. Se la Russia vuole davvero rispetto ed influenza” - ammonisce Miliband – “allora deve cambiare corso”, ovvero “chiedersi come vuole gestire la relazione tra la vittoria militare, nell'immediato, e  il  benessere economico, in una prospettiva stabile.” In realtà, stando, agli esperti, neppure dal punto di vista militare la Russia avrebbe innanzi a sé una prospettiva radiosa, tenuto conto che oggi Mosca investe per la sua difesa 84 miliardi di dollari, pari al 7% dei finanziamenti Usa.

La Russia si trova oggi innanzi ad un dilemma “economico”, per interpretare il quale vanno rintracciati i fattori che hanno determinato la crescita economica dell'ultimo decennio.
“Innanzitutto – spiega il Senior Fellow del Peterson Institute for International Economics - la convergenza tra gli interessi del capitalismo occidentale e quelli di Mosca, realizzatasi grazie alle privatizzazioni, alla liberalizzazione dei mercati ed all'integrazione internazionale fatte da Boris Eltsin, agli inizi degli Anni 90.” “In secondo luogo, la tenuta, dopo il crollo del comunismo, del sistema di produzione, delle infrastrutture e del capitale umano” che, insieme alla massiccia ri-monetizzazione, hanno fatto vivere alla Russia un boom analogo a quello delle ex repubbliche sovietiche (il 7% di crescita a Mosca contro il 9 dei paesi vicini).”Il terzo fattore di crescita è stato l'aumento del prezzo del petrolio, dal 2004 ad oggi. Tuttavia, se l'arricchimento facile ha permesso di rilanciare il budget e le riserve di stato, ha altresì determinato una politica economica sbagliata, che ha privilegiato la spartizione delle rendite al loro investimento sull'efficienza del sistema.” È per questo che, negli ultimi sei anni, non è stata fatta nessuna riforma.“Il dilemma economico di Mosca – osserva allora Aslund sul Moscow Times - è che le vecchie fonti di crescita saranno presto esaurite”.

L'economia russa, insomma, è inesorabilmente destinata a rallentare.
Gli analisti ne individuano la causa in una serie di fattori, micro e macro. Il primo, è la contrazione della domanda nel mercato energetico. Il secondo, la corruzione. Secondo le stime di Transparency International, solo la Guinea Equatoriale è più corrotta di Mosca. La Russia si mantiene stabilmente in testa alla poco edificante classifica, sin dall'inizio della sua travagliata era post-imperiale; tuttavia, neppure durante la presidenza Putin, gli indicatori hanno registrato un barlume di miglioramento. Altro fattore di vulnerabilità del sistema-Russia, sono le infrastrutture: dal 2000 ad oggi, cioè durante la Presidenza Putin, è stato costruito solo lo 0,1% in più di strade, per di più ad un costo medio pari ad almeno tre volte quello occidentale. La politica di ri-nazionalizzazione, concepita e realizzata sotto la regia dell'ex agente del KBG, ha inoltre determinato gravi inefficienze al sistema economico che oggi, infatti, si trova incapace di reagire al mutamento di scenario. In più, il controllo politico sugli affari ha finito con il soffocare gli investimenti: se il rischio è di finire come Khodorkosky e vedere la propria azienda espropriata dal Cremlino, è evidente che un imprenditore preferisca rinunciare alle opportunità che Mosca offre agli amici, e investire il proprio denaro lì dove il mercato è libero e indipendentemente regolato, cioè all'estero.Non è un caso, insomma, se la Russia attrae investimenti solo per il 20% del suo PIL, quando le economie di Asia ed Est europeo registrano tassi superiori al 30%. Le stime su Mosca sono negative, il che prova che il “collo di bottiglia si restringe”.Si considerino poi l'inservibilità dei servizi pubblici – dalla giustizia alla sanità all'istruzione – l'inflazione al 15%, l'inefficienza dell'oligopolio bancario, oltre alla contrazione delle entrate derivanti dal gas, e si consideri infine che, se la Russia diventa uno stato “canaglia”, il suo ingresso nel WTO è fuori discussione, ebbene si comprenderà allora che – osserva Aslund – la Russia è destinata ad un crollo strutturale della sua crescita economica”.

Naturalmente, il Cremlino cerca di minimizzare e mostra anzi di essere ancora capace di far paura. Questo, evidentemente, il senso dell'accordo raggiunto all'inizio di settembre da Putin e dal Presidente uzbeko, Islam Karimov, per la costruzione di una pipeline destinata a trasportare in Russia 30 miliardi di metri cubi - il 50% in più dell'import attuale - di gas turkmeno e uzbeko. Ora, l'Uzbekistan è un paese sandwich, schiacciato tra il Turkmenistan, a sud, e il Kazakhstan, a nord. I tre paesi cooperano da tempo in piena armonia con il Cremlino. Gazprom ha già fatto sapere di avere in programma, per la fine dell'anno, la costruzione di una nuova pipeline, destinata al trasporto di ulteriori di 20 miliardi di metri cubi di gas turkmeno e kazako. L'accordo uzbeko, spiega Pavel Baev, dell'International Peace Research Institute di Oslo, “indica la scarsa realizzabilità della pipeline Nabucco” - il progetto europeo che prevede il transito diretto dalla Turchia all'Europa, by-passando Russia e stati russofili.Un altro segnale di rassicurazione che le autorità di Mosca hanno voluto lanciare, in risposta alla reazione punitiva dei mercati, è stata la fine del contenzioso economico-diplomatico tra BP e TNK che ha gravemente nociuto non solo alle relazioni tra Londra e Mosca, ma alla credibilità stessa del sistema economico russo. La querelle tra BP e AAR – i due partner nella russo-britannica BP-TNK - era scoppiata all'inizio del 2008 con un reciproco lancio di accuse. Secondo i russi, la BP avrebbe trattato AAR come una sua “filiale”. Secondo gli inglesi, AAR avrebbe fatto del "corporate raiding"  per assumere il controllo della società. La BP è stata da allora raggiunta da una raffica di provvedimenti ed inchieste giudiziarie contro le presunte violazioni delle norme sul lavoro e le presunte irregolarità fiscali commesse dai suoi manager. Ora, la vicenda ha suscitato scandalo presso la comunità economica internazionale la quale, tuttavia, contrariamente alla comunità politica, non si è limitata a qualche editoriale di indignazione sul Financial Times: ha reagito, punendo il giocatore scorretto, la Russia, con i mezzi propri dell'economia di mercato. Ecco perché le ultime prove di forza del Cremlino non hanno affatto convinto i mercati. I quali, invece - prima e con più lucidità dell'establishment politico - si sono resi conto per tempo delle debolezze di Mosca e hanno capito che, per sanzionarne i comportamenti “unfair”, sarebbe bastato toglierle l'ossigeno finanziario dal quale dipende la solidità della leadership presso gli attori dell'economia russa.

L'Europa “tosta”, secondo Miliband
Di fronte a questa realtà, l'Europa non appare poi così vulnerabile. “Gli europei hanno bisogno del gas, ma Gazprom ha bisogno dei mercati e degli investimenti europei.” L'Europa, per Miliband, deve avere un approccio “impegnativo” e “tosto”, ovvero: “ricalibrare le alleanze, ribilanciare la relazione energetica con la Russia, difendere il diritto internazionale e rinnovare gli sforzi per risolvere i conflitti in sospeso.”  Ora, per “ribilanciare” le relazioni Russia-Ue, come auspica il Ministro britannico, l'Europa deve “investire”, “diversificare le fonti”, e “stabilire un mercato interno efficiente e interconnesso”, oltre naturalmente ad investire in tecnologia, nello sviluppo delle fonti rinnovabili e nell'energia nucleare. La soluzione al problema, dunque, non sta in un pacchetto europeo di sanzioni economiche che – osserva Aslund – “finirebbero solo con il rafforzare la tenuta dell'elite sull'economia e la sua deriva autoritaria”. Sarebbe sbagliato, per l'autorevole economista svedese, anche “escludere la Russia dal Fondo Monetario internazionale o bloccare il suo ingresso nel WTO, perché è proprio il libero mercato che meglio riesce a smascherare le debolezze di Putin”.

Piuttosto - propone l'autore sul Financial Times – “l'Unione europea e gli Usa dovrebbero imporre standard etici e legali che rendano improduttivo per la Russia comportarsi male, ovvero attaccare compagnie pubbliche e private, privati cittadini ed imprenditori.”
La Ue potrebbe inoltre “adottare una politica energetica comune che imponga alla Russia delle regole vincolanti sulla trasparenza, la parità di diritti tra gli investitori e l'accesso a terzi alle sue pipeline.E poi, si chiede ancora l'economista sul quotidiano della City, perché la Commissione europea non applica a Gazprom le stesse regole sulla concorrenza che impone, ad esempio, a Microsoft? Gazprom agisce come un monopolista certificato, eppure è il solo monopolista cui la Ue dà libero accesso al suo mercato, come se le regole della concorrenza, nel suo caso, non si dovessero applicare.

Un'ulteriore carta in mano all'Unione europea è, infine, quella giudiziaria, ovvero inquisire per “riciclaggio di denaro” i vertici delle imprese di stato russe e le compagnie di trading da loro controllate. “Se le agenzie occidentali di intelligence dovessero trovare prove di corruzione a carico di Putin, dovrebbero renderle note. Niente potrebbe indebolirlo di più, agli occhi dei russi, quanto la dimostrazione che l'attuale leadership è corrotta.”

(continua)






critica sociale   cina   onu   sarkozy   storia   sicurezza   politiche sociali   ahmadinejad   europa   afghanistan   iran   terrorismo   israele   geopolitica   medio oriente   mccain   ue   rubriche   siria   crisi   occidente   italia   america   blair   diritti umani   economia   bush   putin   francia   stati uniti   iraq   obama   hamas   clinton   usa   nato   labour   cultura politica   democrazia   medvedev   berlusconi   nucleare   gran bretagna   brown   ambiente   india   russia   energia