Il Medio Oriente sta attualmente raccogliendo un doppio dividendo: da una parte, un inedito boom del petrolio – con un prezzo che tocca o supera i 100 dollari al barile - ed un dono demografico, ovvero una grande popolazione giovane. Elevati prezzi del petrolio ed elevata disoccupazione giovanile sono spesso considerati i fattori responsabili della volatilità dell'economia e dell'instabilità sociale: con le giuste policy, tuttavia, quei due elementi potrebbero generare benessere e sicurezza globale.
IL CONTESTO GLOBALE Tra tutte le regioni del mondo, il Medio Oriente conta la popolazione con la più alta percentuale, oltre il 30%, di giovani. Quel rapporto anagrafico - due persone in età di lavoro (dai 15 ai 64 anni) contro una in età non attiva (sotto i 14 e sopra i 64 anni) – offre l'opportunità storica di svegliare una tigre economica, generando l'aumento del reddito pro capite, la spinta al risparmio ed il miglioramento della sicurezza sociale.L'asset demografico tuttavia è sottostimato e sotto-utilizzato. Anche se la transizione all'età adulta è una fase in sé complessa, i giovani in Medio Oriente hanno opportunità sconosciute ai giovani in America Latina ed Asia. In Medio Oriente, il tasso di disoccupazione giovanile è quasi due volte la media mondiale (25 contro 14%), e il periodo di ricerca della prima occupazione si calcola in anni, non mesi. L'istruzione, che in altre regioni è il fattore che permette l'ingresso nel mercato del lavoro, in Medio Oriente non è una leva sufficiente. La grande maggioranza dei giovani sulla ventina, inoltre, è costretta a vivere in famiglia e differire il matrimonio, nonostante il radicato tabù per le relazioni fuori dal matrimonio.
Il Medio Oriente paga a caro prezzo l'esclusione dei giovani dall'economia: 53 miliardi di dollari in Egitto (il 17% del PIL) e 1.5 miliardi in Giordania (il 7%). La giovane età della popolazione è già in sé un fattore di crescita economica e può essere inoltre un fattore politico scatenante il cambiamento istituzionale. I molti problemi che affrontano i giovani – disoccupazione, difficoltà di accesso al credito -sono infatti la conseguenza delle infrastrutture istituzionali che governano istruzione, occupazione, politiche abitative ed altri mercati-chiave. Queste istituzioni pubbliche furono inizialmente pensate per conseguire obbiettivi di giustizia sociale; ma oggi, in una economia che compete sempre più a livello globale, esse hanno finito con il rallentare lo sviluppo economico. Prima che la finestra democratica si chiuda, il Medio Oriente dovrà realizzare le riforme economiche necessarie a garantire la stabilità e la crescita del sistema.
LA SFIDA La sfida per il prossimo presidente Usa è ovviamente quella di rinnovare l'impegno americano nella regione senza contrapporsi ai policymaker ed alle popolazioni. Data la diffidenza per l'attuale politica americana e i suoi obbiettivi, come potrà la nuova amministrazione contribuire a promuovere le riforme politiche ed economiche, e predisporre un atteggiamento più favorevole nei confronti degli Usa? La soluzione sta nello spostamento del discorso politico dalla lotta contro il radicalismo islamico alla costruzione di un futuro per la grande parte della popolazione – ovvero il passaggio dall'hard power allo “smart power”. In un recente sondaggio condotto da Gallup nei paesi musulmani, alla domanda “cosa può fare l'Occidente per i Musulmani”, la risposta è stata “ridurre la disoccupazione e migliorare le infrastrutture economiche”. Interrogati su quale fosse il proprio sogno per il futuro, la maggioranza ha risposto “un lavoro migliore”. Lo stesso sondaggio rivela inoltre che, secondo gli intervistati, per migliorare la relazione con il mondo arabo gli Stati Uniti devono mostrare più rispetto e non sminuire lo status dei loro paesi. Il messaggio è chiaro e forte: gli Usa devono mostrare rispetto e ispirare l'intrapresa locale, ed il miglior modo per farlo è orientarsi sullo sviluppo economico. Molti giovani in Medio Oriente, tuttavia, hanno un'esperienza diversa. Molti di loro hanno conosciuto l'America forgiata dagli eventi degli ultimi otto anni: l'11 settembre, la guerra al terrorismo ed all'estremismo islamico, lo stallo nel conflitto arabo-israeliano, le guerre in Iraq e Libano. Quei giovani si vedono ritratti in Occidente come una massa di fondamentalisti ed una minaccia alla sicurezza. Ed anche lì dove la diplomazia Usa ha permesso delle aperture, si è mostrata fuori sintonia con le realtà locali. Paradossalmente, se la relazione Usa-Medio Oriente si è allentata, è più forte l'intesa sulle idee e le aspirazioni. Con la sua massa di giovani, il Medio Oriente sta attraversando un cambiamento spinto dalla globalizzazione. La regione ha sposato le idee dell'economia di mercato, premia l'istruzione e la partecipazione civile è in aumento. I giovani seguono le regole fondamentali della crescita, come l'impegno nel lavoro e l'investimento sui bambini, femmine comprese. Aree, queste, dove gli Usa sono leader. Con la loro capacità di sfruttare al meglio l'energia della gioventù, gli Usa possono offrire molto al Medio Oriente. Il problema è dimostrare di essere interessati realmente alle riforme e non solo a combattere il radicalismo. Il prossimo presidente americano dovrà riscrivere su nuove basi la relazione Usa-Medio Oriente, cercando di andare oltre la sicurezza verso un impegno più ampio e articolato.Promuovere le riforme in nome dei giovani è la migliore base operativa per esercitare un soft power capace di stimolare le migliori energie del Medio Oriente.
L'OPPORTUNITA' DELL'AMERICA Data la sfida, il prossimo presidente Usa avrà l'occasione di: Cambiare approccio, spostando l'attenzione sullo sviluppo economico trainato dai giovani. Rivolgersi al Medio Oriente attraverso il prisma dell'estremismo islamico finisce con l'alienare la maggioranza dei moderati, indebolisce i riformatori che dovrebbero invece essere appoggiati e riduce i margini di una cooperazione reciprocamente rispettosa ed affidabile tra gli Usa e la società civile, le imprese e le istituzioni pubbliche mediorientali. Il discorso sulle riforme economiche e politiche dovrà intercettare le aspirazioni della componente maggioritaria della popolazione, i giovani che cercano l'integrazione globale. Aumentare gli investimenti per i giovani. La maggior parte dei programmi di sviluppo destinati ai giovani si basano sul miglioramento dell'istruzione, l'addestramento dei disoccupati o la concessione di credito, senza comprendere la relazione tra i diversi fattori e le cause profonde del disagio giovanile. Questo vanifica l'opportunità di creare incentivi reali per il cambiamento, storie di successo su cui i leader riformatori potrebbero costruire il cambiamento. Gli Usa possono assumere un ruolo decisivo modificando la legge sull'assistenza all'estero (Foreign Assistance Act) ed esportando tecnologia soft. Modificare il Foreign Assistance Act per garantire risorse ai giovani dei paesi sviluppati. Attualmente il Foreign Assistance Act permette di finanziare solo poche attività giovanili in paesi afflitti da guerre o crisi, con il risultato che ad essere premiati sono i comportamenti negativi di quei paesi. La legge dovrebbe essere modificata per invertire la tendenza, ovvero dare allo sviluppo dei giovani la priorità, particolarmente in quei paesi che registrano alti tassi di disoccupazione giovanile. Esportare tecnologia soft per la riforma del sistema di istruzione. Il passaggio all'età adulta per i giovani americani è relativamente più dolce rispetto alla gran parte dei paesi più evoluti. Negli Usa la transizione è agevolata dalla stretta integrazione tra sistema educativo e mercato del lavoro. Il modello Usa non è esportabile integralmente nella realtà mediorientale, ma con i dovuti aggiustamenti, può essere adattato alle circostanze specifiche. D'altra parte gli Usa hanno già dotato la regione di poli universitari di eccellenza- l'American University di Beirut e l'American University al Cairo – dove si sono formati molti leader della regione. Gli Usa possono estendere l'assistenza su una più ampia scala, dalla riforma dei curricula scolastici, alla transizione dal liceo all'università (con la riforma dei meccanismi di accesso), e il passaggio dalla scuola al mondo del lavoro.
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