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SONO ENTRAMBI, INDIA E PAKISTAN, AD ESSERE NEL MIRINO

Gli attentati in India sembrano inseriti in una strategia di destabilizzazione del paese per indebolirlo nel quadro della globalizzazione. Lo scrivono i giornali di New Delhi che sottolineano come il vero obiettivo della caccia all'uomo nei tre giorni di terrore siano stati i leader economici del Paese nei luoghi da loro normalmente frequentati. Al contempo l'inserimento della casa ebraica tra i luoghi programmati per l'assalto, rinvia all'ipotesi anche di una mano iraniana dietro l'operazione che sembra così essere frutto di un network, più che di un solo gruppo terroristico locale. Infatti l'India venne esplicitamente minacciata dal Iran Daily nel luglio scorso per le incertezze del governo indiano a sottoscrivere il progetto "Peace Pipeline", un nuovo gasdotto russo iraniano, che il quotidiano filo-governativo iraniano denunciava con irritazione ponendo un aut-aut: "O con noi o con lo Zio Sam".
Una decina di giorni dopo, il primo grave attentato con 18 vittime.

Data: 2008-12-08

Fabio Lucchini

Parlare di 11 settembre asiatico può forse apparire azzardato ma è altrettanto evidente che l'attacco terroristico di Mumbai rischia di avere conseguenze devastanti non solo, e non tanto, sulla stabilità delle istituzioni democratiche indiane, che hanno già resistito a difficili prove nel corso del Novecento, quanto sulla sopravvivenza del debole apparato statuale pakistano.

Cosa sappiamo dell'attacco? A condurlo una decina di operativi, sicuramente sostenuti da un'infrastruttura organizzativa e logistica di prim'ordine. A questo proposito, l'attenzione si sta concentrando sul gruppo pakistano Lashkar-e-Tayyba, collegato in passato ad Osama bin Laden, a lungo ( e forse tuttora) sostenuto da settori deviati dell'Isi, l'intelligence militare di Islamabad, e ritenuto corresponsabile di una serie di sanguinosi attentati negli anni scorsi. Solo per citarne alcuni: l'attacco al Parlamento indiano nel 2001 ed le esplosioni nella metropolitana di Londra nel 2005.

Il forte sospetto che vi sia una regia pakistana dietro l'ultima strage rischia di minare il fragile ma promettente processo di pace in atto tra New Delhi ed Islamabad, attirando un'eventuale ritorsione indiana contro il governo civile pakistano e frustrando sul nascere ogni tentativo di seria cooperazione con gli Stati Uniti per indebolire l'estremismo islamista nella regione.

Con riferimento all'India, vi è il diffuso timore che il Partito induista e nazionalista Vjp possa approfittare della pessima prova fornita dal governo in carica nel prevedere e risolvere la gravissima crisi di Mumbai per ritornare al potere. Un governo a guida Vjp intraprenderebbe sicuramente un corso d'azione molto più intransigente nei confronti di Islamabad rispetto a quanto fatto dal Partito del Congresso di Sonia Gandhi e del premier Manmohan Singh negli ultimi anni. Ma quello che potrebbe succedere in Pakistan appare molto più preoccupante. Se l'aumento della tensione con il potente vicino spazzasse via il governo civile, potrebbe aprirsi un vuoto di potere, colmato dai militari o peggio ancora dalle forze islamiste che molti individuano dietro l'attacco di Mumbai. Il Pakistan rischia di cadere nel caos, di trasformarsi in uno Stato fallito.

Tuttavia, sostiene Daniel Benjamin, del Center on the United States and Europe presso la Brookings Institution, il riaccendersi della tensione tra i due storici rivali asiatici non sembra essere l'unico obbiettivo degli attentatori e dei loro mandanti. Il fatto di aver preso di mira cittadini americani, britannici ed israeliani riafferma simbolicamente la volontà di riprendere, dopo mesi di apparente riflessione, il jihad globale contro "l'Alleanza Crociata." Del resto, trattasi di due manovre strategicamente convergenti. Un innalzamento della tensione tra India e Pakistan finirebbe con l'indebolire entrambi i Paesi , proprio ciò che il jihadismo globale vuole. Se nelle prossime settimane New Delhi dovesse inasprire i toni nei confronti del vicino, la sua enorme minoranza islamica reagirebbe guardando con sempre maggior sospetto al governo centrale, sviluppando ulteriormente la sindrome (spesso giustificata) di accerchiamento in cui è vissuta per sessant'anni nello Stato indiano. Se il Pakistan si sentisse nuovamente minacciato dall'India, potrebbe distrarre preziose rispose militari dal contrasto ai taliban al confine con l'Afghanistan. Un esito abbastanza prevedibile in un Paese dove esercito ed intelligence ricollegano istintivamente le ragioni della propria esistenza alla lotta contro New Delhi.

Al di là della legittima preoccupazione che suscita l'inasprirsi dei rapporti tra due paesi ex-belligeranti in possesso dell'arma atomica, è evidente che il jihadismo qaedista finirebbe con l'ottenere un risultato straordinario se l'interruzione del processo di pace indo-pakistano e il crollo del governo guidato da Asif Ali Zardari impedissero agli Stati Uniti e ai loro alleati di delineare una strategia coerente per stabilizzare l'Afghanistan e con esso l'intera regione. Dal caos al-Qaeda, i taliban ed i loro alleati avrebbero soltanto da guadagnarci.

I sanguinosi fatti della scorsa settimana, concorda Vanda Felbab-Brown, in un'analisi pubblicata sempre dalla Brookings Institution, avranno serie ripercussioni sul tentativo della Nato di pacificare Kabul e di sconfiggere l'insorgenza taliban. Le recriminazioni tra Pakistan ed India, legate all'incapacità di Islamabad di controllare le attività dei gruppi islamisti e le deviazioni dell'Isi, indeboliranno ogni prospettiva di cooperazione trilaterale con Washington per minimizzare le infiltrazioni di uomini ed armi in Afghanistan, un Paese al centro della strategia anti-terroristica delineata della nuova amministrazione Usa. Tuttavia, la considerazione della centralità del teatro sud-asiatico è condivisa dall'esecutivo in carica, come dimostrato dal tentativo del segretario di Stato, Condoleezza Rice, di sedare sul nascere ogni disputa tra New Delhi ed Islamabad. L'imminente viaggio in India del capo della diplomazia Usa servirà presumibilmente a convincere il governo Singh a muoversi con prudenza nelle prossime settimane.

Per essere efficace, sostiene ancora Felbab-Brown, l'azione americana ed occidentale non potrà comunque limitarsi ad estemporanei buoni uffici tra le parti, ma dovrà piuttosto disegnare un framework strategico che permetta di riprendere il cammino verso la cooperazione tra i principali attori regionali. Una cooperazione necessaria per evitare che il multiforme universo jihadista attivo in Asia meridionale riporti ulteriori successi a detrimento della sopravvivenza di ogni forma di autorità governativa legittima in Pakistan ed Afghanistan.

Come dovrà muoversi Washington?-Innanzitutto dovrà investire risorse e prestigio diplomatico per evitare una escalation nel confronto verbale in corso tra India e Pakistan, soprattutto se esso dovesse risolversi nello spostamento di truppe verso il confine tra i due Paesi;-In secondo luogo, il governo americano, insieme agli alleati, dovrà premere su Islamabad perchè collabori alle indagini relative al massacro di Mumbai, evitando atteggiamenti stizziti e difensivi, e perchè prenda misure immediate e severe contro i gruppi terroristici anti-indiani attivi nel Kashmir, primo fra tutti il già citato Lashkar-e-Tayyba;-Inoltre, sarà necessario indurre il governo indiano ad astenersi da ogni manovra provocatoria nei confronti del vicino; gli Stati Uniti devono investire tutta la propria influenza su New Delhi e lo dovranno fare continuamente nei prossimi mesi;-Ancora, convincere il Pakistan della necessità di combattere senza quartiere il jihadismo in prossimità del suo confine afgano. Le autorità pakistane non sembrano aver compreso appieno l'importanza di una simile battaglia, non solo per puntellare il fragile governo di Kabul ma per evitare il crollo delle proprie istituzioni statuali:-Infine, i membri Nato dovranno impedire che i leader politici afgani sfruttino un panorama regionale segnato nuovamente dalla tensione per perseguire obbiettivi particolaristici nell'interminabile lotta tra fazioni che segna la travagliata esistenza dell'Afghanistan dai tempi dell'invasione sovietica.






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