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PAKISTAN: IL RISCHIO NUCLEARE

I piani Usa per recuperare l’arsenale atomico pakistano nel caso il governo di Islamabad crollasse sotto i colpi di al-Qaeda e dei taliban

Data: 2009-05-13

Fabio Lucchini

La situazione del Pakistan appare sempre più complicata e precaria. Infatti, autorevoli fonti di intelligence raccolte dal New York Times riferiscono che le avanzate dei taliban nella regione dello Swat spostano sempre più il fronte dello scontro con l'esercito pakistano dalle aree tribali alla capitale. Gli sviluppi e l'effetto psicologico della ripresa in grande stile delle ostilità nella martoriata regione favoriscono la massiccia campagna di reclutamento di al-Qaeda, sempre alla ricerca di giovani potenziali combattenti in Medio Oriente, nel Nordafrica e in Asia Centrale. Nuovi militanti da inviare in tempi brevi a combattere in prima linea contro le truppe del traballante governo Zardari.

“Al-Qaeda sta reclutando giovani menti intossicate dalla prospettiva di una conquista jihadista del Pakistan”, sostiene, allarmato, Bruce O. Riedel, un ex analista della Cia che ha recentemente redatto un rapporto per l'amministrazione Obama in merito alla situazione di Pakistan e Afghanistan. Resta improbabile, sempre secondo l'esperto americano, che i militanti islamici riescano a rovesciare il governo pakistano, ma si teme che i recenti successi dei taliban permettano la creazione di un mini-Stato lungo i confini afghano-pakistani, dove gruppi estremisti avrebbero la libertà di pianificare e organizzare nuovi attacchi. Siamo davanti a un rinnovamento tattico e strategico di al-Qaeda, quasi una risposta alla decisione presa mesi fa dal presidente americano Obama, convinto della priorità assoluta del teatro asiatico nella lotta all'estremismo. L'America è convinta di giocare in Afghanistan e Pakistan la battaglia centrale contro l'islamismo fondamentalista? Ebbene, al-Qaeda e i taliban hanno accettato la sfida. Infatti, secondo un recente report strategico, prodotto sempre dal New York Times, al-Qaeda sta reagendo con vigore all'eliminazione fisica di molti dei suoi capi militari, realizzando con successo una serie di operazioni decentrare in Afghanistan e Pakistan per mezzo di piccoli gruppi ben organizzati. Inoltre, l'intensificata attività di propaganda e reclutamento permette ai qaedisti di rimpiazzare gli effettivi caduti sul campo.

Uno scenario non certo rassicurante che potrebbe avere ripercussioni serie sulla stabilità della regione, indebolendo ulteriormente le traballanti istituzioni pakistane e coinvolgendo direttamente l'India. Lo stesso Obama teme che un evento traumatico, come un possibile attacco terroristico in territorio indiano, possa riaccendere la tensione tra New Delhi ed Islamabad, con conseguente spostamento di truppe pakistane verso il confine indiano. Un'eventualità che distrarrebbe fatalmente Islambad dal contenimento della minaccia talebana e qaedista a nord.

Negli ambienti politico-militari statunitensi, impegnati in prima linea nella tutela della stabilità del Pakistan, si stanno ripresentando antichi timori, riconducibili essenzialmente ad un interrogativo inquietante: “Nel caso di un'ulteriore avanzata islamista, come mettere in sicurezza l'arsenale nucleare pakistano?”. Una questione che ricompare ciclicamente nell'agenda dell'amministrazione statunitense. Torna così d'attualità un'indiscrezione lanciata oltre un anno fa dal quotidiano britannico The Guardian, secondo la quale sin dalla fine del 2007 l'amministrazione Bush era pronta ad adottare un piano per mettere in sicurezza l'arsenale nucleare pakistano qualora il Paese fosse sprofondato nell'instabilità politica. A proporlo era stato Frederick Kagan, già professore all'accademia di West Point e ispiratore della fortunata strategia del surge in Iraq. Dall'autunno 2007 sono trascorsi una ventina di mesi, ma la situazione del Pakistan non è certo migliorata. Anzi, avvenimenti quali l'assassinio di Benazir Bhutto, la tensione creatasi con l'India in seguito agli attentati di Mumbai e l'avanzata taliban hanno scossa sino alle fondamenta le istituzioni nazionali. Appare perciò urgente una seria analisi che dia risposte concrete al rischio che l'atomica pakistana possa cadere nelle mani sbagliate. Sotto questo profilo, le idee proposte da Kagan all'amministrazione Bush potrebbero presto fornire un utile spunto di riflessione al nuovo inquilino della Casa Bianca.

“Non possiamo permetterci che il Pakistan nucleare discenda nell'abisso”, sosteneva Kagan nel presentare alcune opzioni di intervento che gli Usa avrebbero dovuto mettere in pratica in caso di collasso dell'autorità ad Islamabad. Il primo scenario di intervento prevedeva il dispiegamento di truppe anglo-americano (o comunque della Nato) in Pakistan, con l'obbiettivo di rimuovere le armi nucleari trasportabili e trasferirle in siti segreti, in Pakistan o addirittura negli Stati Uniti.  In secondo luogo, l'ex consulente di Bush, proponeva un consistente rafforzamento del contingente Usa nel nord-ovest del Pakistan, in modo che esso potesse affiancarsi alle truppe pakistane nel contenimento, respingimento ed eliminazione di taliban e qaedisti. Un'opzione radicale forse, ma che potrebbe presto essere presa in considerazione anche da Obama e dal suo ministro della Difesa, Robert Gates. Infine, come estrema ratio, l'ex professore di West Point avanzava l'ipotesi più ardita: l'occupazione militare da parte americana di Islamabad e delle province del Punjab, del Sindh (confinanti con l'India) e del Baluchistan (confinante con l'Iran). Una mossa del genere dovrebbe far seguito, secondo Kagan, all'espressa richiesta d'aiuto pakistana, ma è ragionevole ritenere che l'assoluta urgenza finirebbe col determinare un'azione unilaterale da parte americana. Proprio l'approccio che Obama dichiara di non voler seguire.

Eppure, nonostante l'impegno multilateralista del nuovo presidente e la sua espressa volontà di dialogare con tutti (alleati e nemici), la cruda realtà che si sta materializzando sul campo potrebbe presto richiedere soluzioni tempestive e drastiche. Rispetto alla delicata questione della sicurezza nucleare, molti ufficiali e funzionari americani lamentano la reticenza e la scarsa collaborazione dei pakistani, che mantengono uno stretto riserbo sulla distribuzione sul territorio nazionale dei siti a rischio. La pressione della diplomazia Usa su Islamabad ha indotto il governo Zardari a passare al contrattacco e ad accettare lo scontro frontale con gli insorti islamisti, ma se l'esercito pakistano dovesse subire un inatteso rovescio agli Usa non resterebbe che intervenire direttamente. In quel caso, il multilateralista, e progressista, Obama sarebbe costretto quantomeno a vagliare le proposte dell'unilateralista, e conservatore, Kagan.







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