IL MURO 20 ANNI DOPO. LA NUOVA FRONTIERA NON E' ARRIVATA A MOSCA
1989 ■ I problemi aperti e non risolti dalla fine del comunismo
Data: 2009-09-02
di Stefano Carluccio, Critica Sociale, n.7/2009,
A novembre le celebrazioni tra revival e demagogia? L'Occidente ha le sue responsabilità ma la Russia non può tornare indietro
Tra pochi mesi ci troveremo immersi nelle celebrazione, nelle rievocazioni, nelle rivelazioni e persino nella demagogia sul Muro di Berlino caduto nel novembre di vent'anni fa. La rivista inglese Prospect, nel numero di agosto, inizia a parlarne partendo dalla figura di Mickail Gorbaciov che definisce “un eroe per caso” della fine del Comunismo, un sistema in cui credeva e che credeva possibile riformare. Un' illusione, tuttavia, già amata dai patriotti ungheresi e, ancor di più, da quelli di Praga. Entrambe le vicende hanno solo portato ad un tragico giro di vite, poichè “comunismo” e “carri armati” sono stati un binomio inscindibile: l'ipotesi di spezzare questo binomio al centro dell'Impero, dall'alto e addirittura dallo stesso Cremlino, si è risolto inevitabilmente nel crollo stesso dell'Unione sovietica. Gli ultimi “riformatori comunisti” (Andropov e Gorbaciov) provenivano paradossalmente, ma non a caso, dal KGB, l'unico vero grande “osservatorio” della realtà sociale sovietica. L'assenza di una società civile indipendente dallo Stato rendeva impossibile una spontanea coesione, imposta invece da una politica estera di natura aggressiva che presupponeva il silenzio in casa. La sfida accettata dall'Occidente, con il cambio di passo di Reagan e di leader come Helmut Schmidt e Bettino Craxi in Europa, alla crescente egemonia di Mosca nel mondo e ai suoi missili, non permetteva a Mosca di stare al passo coi costi di un ennesimo riarmo. Di qui la tregua con l' Ovest e il lancio di una radicale riforma interna dove l'elemento più importante non fu la Perestrojka ma fu la Glasnost, la trasparenza, il poter lasciare la libertà di parola e di denuncia da parte dei cittadini sulle disfunzioni e sulla cattiva amministrazione del sistema. Insomma, un repulisti dal basso e sollecitato dall'alto, per far fuori la palude nel Pcus, sbarazzarsi del carrozzone burocratico, ottuagenario, costoso e impresentabile, per rilanciare su basi più moderne e pragmatiche il sistema comunista. Chi comandava da dietro le quinte, aveva deciso di risparmiare denaro e assumere direttamente il potere. Quest'ultimo, soprattutto, interessava, più del “comunismo”: quando Gorbaciov annunciò la fine dell'URSS, riferisce il suo ex portavoce Andrei Grachev ad Alexandr Yakovlev (fonte Fernando Mezzetti), chiese se era venuto bene in Tv. Mancò tuttavia l'auspicato “colpo di reni” della popolazione, non più motivata dalla vecchia ideologia e dai suoi fallimentari risultati concreti. Alla tragedia del Comunismo, si aggiunse così la tragedia della fine del Comunismo, vissuta anche come perdita di identità nazionale e abbandono senza strumenti e sapere al liberismo che arricchiva oligarchi già marescialli dell'Impero e impoveriva le popolazioni già esauste. Questo spiega il fenomeno Putin. E questo porta a riflettere sui Vent'anni del Muro non con il criterio della rievocazione, ma dell'analisi sull' oggi, vent'anni dopo. E sull' “occasione mancata”, dagli Usa, ma soprattutto dall'Europa, durante Yeltsin. Un Impero non si dissolve nel nulla senza conseguenze, e la fine dell'URSS ha avuto conseguenze sociali analoghe, nell'Est Europa e nella stessa Russia, alla fine della Seconda Guerra nell'Europa occidentale, Germania compresa. Serviva un piano Marshall che accompagnasse Russia ed ex satelliti nella democrazia economica e politica. Occorre prestare attenzione su questo: il modello “rampante” di capitalismo in crisi oggi, è lo stesso che mancò l'occasione di portare la “Nuova Frontiera” fino a Mosca. Oggi gli ex satelliti sarebbero più tranquilli. Invece si speculò a man bassa, senza costruire nulla nelle società post comuniste, muovendo nel mondo, anche attraverso canali criminali, le immense ricchezze abbandonate a se stesse e finite in poche mani. La morte di Falcone qualcuno la collega a questa fase e alle indagini che seguiva in proposito, mentre era atteso dal Procuratore di S. Pietroburgo. I Venti anni dal Muro pongono così un problema di metodo, affinchè sia utile rievocarli. I temi di fondo del nostro tempo, se analizzati nel riscontro con il punto d'arrivo della parabola storica, sono la riga oltre cui si tirano le somma, di qua e di là. Il nostro Governo è certo che sia stato protagonista nell'indicare - sia nel breve che, soprattutto, nella prospettiva - i criteri per uscire dalla crisi globale con indicazioni concrete e di valori per la riforma del modello “cannibalesco” del capitalismo elitario degli anni '90. Tuttavia a Vent'anni dal Muro siamo costretti a ricordare la Georgia di un anno fa, e i continui omicidi di giornalisti, avvocati e dissidenti verso il governo russo, su cui si sorvola. Citiamo Kennedy a Berlino nel giugno del '63, pochi mesi prima di morire: “Permettetemi di chiedervi come esservi vicino per far avanzare la libertà ovunque, oltre il Muro, fino al giorno della pace con la giustizia; oltre voi stessi e oltre noi stessi, verso l'Umanità. Perchè la libertà è indivisibile e quando un solo uomo è schiavo, tutti noi non siamo liberi. Ma quando tutti sono liberi, allora possiamo guardare al giorno in cui questa città, questa Nazione e tutto il Grande Continente Europeo saranno come una cosa sola, un mondo di piena pace e speranza”. Kennedy era in viaggio per l'Europa per ampliare le adesioni alla NATO. La Georgia e l'Ucraina, nazioni sovrane, sono sotto tiro per la loro volontà di aderire alla NATO. L'Alleanza non è un congegno militare contro Mosca, ma una Alleanza di difesa dei Democratici dalle minacce globali. Se non morirà più Anna Politkovskaja, non si vede perchè la Russia debba temere la Nato alle porte e non possa collaborare alla difesa democratica comune. Come ha detto recentemente il vice presidente Joseph Biden, in merito ai rapporti con Mosca, “noi non facciamo scambi, non facciamo doppi giochi. Devono capire che collaborare significa avere interessi comuni e obiettivi comuni”. Saltando nel ragionare alla crisi del modello capitalistico globale, è evidente infatti che l'auspicata “Economia sociale di mercato” per affermarsi ha bisogno del maggiore spazio democratico attorno a sè, cioè di un mercato con regole che ne garantiscano la libertà e la legalità internazionale. E questo oggi, a vent'anni dal Muro di Berlino, ha ancora un limite autoritario e invalicabile a Mosca, non più comunista nel nome, ma revanscista di fatto. Si può fare qualcosa per un “Grande Continente Europeo” non più diviso dal Muro dei diritti umani violati, oltre noi stessi, come prevedeva JFK?
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