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IL (CONTRE) COUP D'ETAT

Giustizia ■ Dopo il caso Amanda, una luce internazionle sull’ingiustizia della Giustizia e un’azione dello Stato a difesa della legalità

Data: 2010-01-12

di Stefano Carluccio, Critica Sociale, 12/2009,

“Come è possibile una simile condanna senza prove?”. Che la domanda rivolta da una senatrice democratica ad Hillary Clinton per la condanna di Amanda a 26 anni di carcere, emessa dal tribunale di Perugia, amplifichi fino all'altra sponda dell'Atlantico quello che per oltre dieci anni abbiamo sostenuto inutilmente a proposito dello spropositato potere che la magistratura si è attribuita da sola, fino dare una veste di correttezza formale alla sostanziale evidenza di un uso arbitrario delle procedure e del diritto, è un'occasione da non perdere.
Di fronte alle reazione dei media americani, e perfino inglesi, che usano oggi lo stesso linguaggio dei “controrivoluzionari” e dei craxiani, sembra di essere vissuti - come in effetti è stato - in incubo, in un tunnel di inossidabile incomprensione delle centinaia di ripetute denunce di violazione del rispetto dei poteri costituzionali e del diritto ad opera della magistratura che ne ha fatto pasto per il canile mediatico.
Un incubo durato anche negli anni di governo di Berlusconi, lui stesso oggetto primario della prosecuzione della violenza “rivoluzionaria” e della sua vendetta per la sconfitta.
Come mai, dopo le vittorie politiche dei “controrivoluzionari” siamo ancora al punto di partenza? Perchè è questa un'occasione da non perdere?
Perchè serve un “colpo di Stato” che non è mai stato fatto. Mi riferisco all'uso originario del termine “Coup de Etat” (così inteso nella letteratura politica fino al ‘700) per cui è lo Stato che agisce il propria difesa contro i tentativi di sovvertimento e non vicecersa - come si intende invece quando si parla di “golpe” - l'azione “rivoluzionaria” improvvisa tesa a rovesciare la legalità.
Serve cioè quello che non è stato fatto finora, un'azione dello Stato finalmente in propria difesa contro il persistente tentativo di rovesciare la legalità democratica e repubblicana da parte di numerosi soggetti, economici, criminali, ed istituzionali, tutti intrecciati tra loro (intreccio che la vicenda degli attentati a Falcone e Borsellino e la prosecuzione del terrorismo con gli attentati del 93, in parallelo con le inchieste Mani pulite e con lo scioglimento anticipato delle Camere, possono aiutare a mettere a fuoco).
Il clamore internazionale della palese ingiustizia verso la giovane statunitense, offre l'occasione (doverosa) per la democrazia italiana di verificare la correttezza delle procedure usate nelle indagini, la natura delle motivazioni alla sentenza da parte dei giudici. E di trarne delle lezioni di carattere generale e permanente sulle cause strutturali di questa situazione: al di là di Tangentopoli (verso cui giustamente si può affermare che abbiamo un conto ancora in sospeso, almeno sotto il profilo della verità storica), è un dato di fatto che sia aumentato vertiginosamente il numero dei casi giudiziari su cui fortissimi sono i dubbi e le contestazioni di legittimità verso la magistratura. Un tempo questi casi si potevano verificare ogni lustro. Oggi, in un lustro, se ne sono verificati ben più d'uno: tra questi il caso Cogne, il caso Abu Omar, il caso Chiara Poggi e ora questo di Amanda. Troppi, anche per una sempre possibile fallibilità delle corti. E il modo: prove raccolte che vengono cambiate in corso del processo, che entrano ed escono di scena, di perizia in perizia. Fino all'adozione come argomento giudiziario del “profilo” degli imputati e della loro presunta e possibile “disposizione psicologica” a delinquere, una variante soggettiva dell'oggettività dell'accertamento tramite prove (appunto) delle responsabilità, figlia del prevalere del contesto sulla verifica concreta, figlia del “non poteva non sapere”.
Lombroso - in confronto ad oggi - era un garantista. Il Coup d' Etat non più procastinabile è la Riforma della giustizia, la cui realizzazione, per la verità, era attesa già nel '94 (cosa impossibile per il ribaltone), ma certamente dal 2001 in poi.
Il più clamoroso conflitto di interessi per il Paese non è quello tra politica ed economia, ma tra magistratura e giustizia: è il cuore di un conflitto di legalità che è cresciuto a dismisura (bel oltre la violazione dello stato di diritto, come denunciavamo anni fa) fino a far traballare le fondamenta del sistema costituzionale.
Più chiaramente: settori di magistratura politicizzati stanno portando l'intero Ordine al di fuori della sua collocazione costituzionale nello Stato.
Le modalità sono essenzialmente due: la capacità di legiferare e il potere sulle armi.
All'atto pratico un Ordine dello Stato è divenuto surrettiziamente un Potere al di fuori della legittimazione democratica e ha assommato su di sè sia parte del potere legislativo che di potere esecutivo.


Il conflitto tra magistratura e potere legislativo

Attraverso l'uso della Giurisprudenza come fonte di diritto, i magistrati e i pm possono legiferare in sostituzione e persino in alternativa al potere legislativo, inventando di sana pianta fattispecie di reato che non esistono nel Codice penale, come il “concorso esterno”. Nel Codice c'è il “concorso” e il “favoreggiamento”, ed in entrambi i casi è richiesto un riscontro di consapevolezza e il coinvolgimento materiale al delitto da parte dell'imputato. Il “concorso esterno” si usa quando questi riscontri non ci sono, ma ci sono solo indizi che sarebbero insufficienti a trascinare alcuno in tribunale. Un pm si inventa il “concorso esterno” in analogia ad un altro tipo di reato simile a quello che intravvede nel caso specifico che indaga, chiede la giudice di convalidare la sua accusa, il giudice lo fa e magari alla fine condanna l'imputato. Tutti i pm successivi e i giudici successivi a quella sentenza sono autorizzati a utilizzare, quindi, un reato che il Parlamento non ha mai determinato, ma che la procedura consente di creare. Si crea un circuito indipendente a qualunque realtà esterna al “discorso giudiziario” fine a se stesso, in quanto autoreferenziale sia come fonte di diritto e sia come magistratura in quanto casta, o meglio, classe sociale, con potere sociale effettivo e irresponsabile. Persino di fronte alla legge, a rigore logico, poichè la può cambiare ed adattare quando vuole. Con una sentenza e le sue interpretazioni.
Mai negli Stati Uniti uno finirebbe sotto processo sulla base di indizi. Figuriamoci in galera per 26 anni. Ma questo “potere” ormai la magistratura italiana ce l'ha: se l'è preso, prendendosi un braccio intero dal dito che la politica della solidarietà nazionale le dette negli anni '70 con le legislazioni d'emergenza, dalle legislazioni antiterrorismo a quelle antimafia, figlie della cultura giuridica dei pretori d'assalto nei processi di diritto del lavoro, figli a loro volta del ‘68 e della CGIL comunista.
La palla di neve (le legislazioni d'emergenza, la surroga della magistratura alla politica, i giudici morti, ecc) è stata fatta diventare via via una valanga dalla politica nella magistratura. La quale ora fa politica in proprio, cosa che anche nella sinistra dà qualche preoccupazione, non solo personale, ma per la tenuta del sistema e di se stessa.
Un Coup d'Etat su questo conflitto tra potere legislativo e “contro - potere” giudiziario dovrebbe muovere i passi da un'osservazione essenziale: la Magistratura in Italia non è un Potere costituzionale, ma un Ordine dello Stato indipendente dall'Esecutivo e dal Legislativo, ma non dalla Legge a cui sola risponde. Bene, il punto è che se la Legge è frutto dell'azione giurisprudenziale, la Magistratura è un Ordine che risponde a se stesso. Ma questo lo potrebbe, istituzionalmente, solo un Potere vero e proprio e in democrazia i Poteri sono elettivi, inevitabilmente, senza possibilità di alternativa, se non quella del rovesciamento della democrazia stessa. Ora, si può entrare in un Potere costituzionale attraverso un concorso pubblico, come fanno i magistrati? Si può accrescere il proprio ruolo nel Potere costituzionale per “carriera automatica”? O si deve essere eletti per essere “potere” responsabile?
Dunque la possibilità, storicamente concessa alla magistratura, di produrre norme attraverso la giurisprudenza e l'agibilità a farlo in sostituzione della politica negli anni del “compromesso storico” le dovrebbe essere sottratta in una società liberaldemocratica come vorremmo fosse l'Italia di oggi e restituita solo una volta che da Ordine dello Stato divenisse un Potere al pari degli altri due. Poichè in caso di conflitto tra Parlamento e Magistratura vi sarebbe sempre un giudice terzo, l'unico giudice in democrazia: l'elettore. Anche attraverso le proprie funzioni “delegate” nel modo più opportuno.
Questa è la ragione di fondo per cui la “Responsabilità civile dei magistrati” (di cui pubblichiamo la relazione dell'allora ministro soialista, Giuliano Vassalli) non ha mai funzionato ed anzi ha scatenato la controreazione dei giudici sin dall' 87. “Responsabilità” e “indipendenza”, in questa struttura dell'ordinamento costituzionale, sono un binomio impossibile. Oggi l'Ordine giudiziario ha il potere - che si è preso - di essere irresponsabile in quanto indipendente dalla legge che lui stesso può determinare. E' una situazione che non ammette toppe. Le singole iniziative di riforma non sono leggi ad personam ma hanno tutte un carattere generale. Il punto debole consiste nella discontinuità dell'iniziativa riformista che non deve fermarsi di fronte alle polemiche, ma incalzare a tutto campo, dissodare il campo.


Il conflitto tra Magistratura ed Esecutivo

Ruota attorno alla disponibilità accordata dal codice di procedura penale di indirizzare le indagini attraverso l'uso di tutte le componenti della polizia giudiziaria, fino alla guardia forestale. La nostra Magistratura è armata. Ma fino a questo momento l'uso della forza era prerogativa dell'Esecutivo sottoposto in casi eccezionale al vaglio del Parlamento.
Per la Magistratura la disponibilità di carabinieri, polizia, finanza, ecc è insindacabile.
I casi estremi cui può giungere questa contraddizione paradossale sono esemplificati dal conflitto “armato” tra le procure campane e siciliane a suon di Carabinieri inviati l'uno contro l‘altra. Sotto un profilo costituzionale questa situazione mette in una disparità di condizioni l'accusa e la difesa: lo Stato, dal ruolo sussidiario verso il cittadino, assume invece il ruolo di inquisitore (il giudice che sentenzia ed accusa).
Chi può difendersi contro una Magistratura che ha le armi a sua disposizione per sostenere le sue accuse di fronte a un tribunale? Nessuno.
Se Berlusconi non fosse ricco, sarebbe già finito come Craxi da un pezzo. Figuriamoci le varie Amanda, anche ignote. L'obiezione è stranota: se le indagini le facesse la polizia giudiziaria, l' accusa diverrebbe politicizzata, perchè la polizia risponde agli Interni e alla Giustizia e potrebbe ricevere vari input a fare o lascia perdere.
La mistificazione nasconde tre questioni:
– Le indagini erano già nella responsabilità della polizia giudiziaria e i casi di errore giudiziario erano statisticamente inferiori (In Francia c'è ancora il commissario Maigret, in Gran Bretagna, Scotland Yard, negli Usa l'FBI e i procuratori nei singoli stati sono eletti)
– Il governo è sottoposto al controllo del Parlamento che può intervenire in ogni momento con interrogazione e altri strumenti. Cosa impossibile con la Magistratura.
– Il Pm può attivare, comunque, un'inchiesta ed utilizzare le forze di polizia per le indagini, dunque vaglia i risultati di quel che dispone, semplicemente non è l'unico titolare delle indagini i cui risultati, in ogni caso finiscono sempre su tavolo di un giudice.
Questa separazione, permette anche alla difesa di appoggiarsi sulla polizia giudiziaria e sullo Stato, in concorrenza con l'accusa su un piano di maggiore parità.
Ora vige l'Stato d'accusa permanente. Con danni sociali ed economici non inferiori a quelli di diritto e morali che potranno essere risarciti solo dalla finanza pubblica, cioè mai.
Ecco dunque il nostro ipotetico Coup d'Etat: disarmare la magistratura e valorizzare la polizia giudiziaria per restituire al cittadino la garanzia alla difesa, al Parlamento il potere di controllo ultimo (non al governo), al giudice di essere dispari e non pari con l'accusa, cioè effettivamente imparziale.
Innalzare l'Ordine giudiziario al rango di Potere costituzionale attraverso l' eleggibilità dei giudici affinchè la giurisprudenza non sia una fonte arbitraria del diritto, ma una fonte democratica, pubblica e non esoterica. Di fatto ne consegue una separazione di carriere, ma soprattuto di status, dai pm. Questi, come dice Berlusconi, dovrebbero essere in futuro “avvocati dell'accusa”, un Ufficio pubblico con un proprio Ordine, come per i notai, i medici legali o i revisori. Così si interromperebbe la tautologia che è alla base della crisi perenne di sistema e politicamente della “transizione infinita” e che consiste in qualcosa di impalpabile, di “puramente logico”, di una delega accordata tempo fa dalla politica, con le legislazioni d'emergenza e la direzione della polizia nelle indagini, che si è ora ingigantita, fino alla capacità di legiferare, accusare e giudicare in un solo “potere” irresponsabile dello Stato, fino ad essere maggiore della legge e di chi lo permise, cioè della democrazia stessa, per agire in una realtà astratta che ha la forma giuridica per essere avulsa dalla realtà concreta, e in questa separatezza diventa potere reale, concreto, senza che nessuno lo avesse nè previsto, nè voluto, “materialmente incostituzionale”.
Un Coup d'Etat che sciolga la coabitazione tra regime illiberale e guida democratica dello Stato, la contraddizione in cui si trova irretito da quindici anni Silvio Berlusconi, e lui con noi, noi vittime prime di questo regime.
Ora gli Usa e l'Europa guardano alla giustizia italiana per il caso Amanda. Ma come siamo arrivati a questo punto? Nel disinteresse internazionale? La vicenda che ritorna delle bombe del '93 di cui la mafia accusa dopo quindici anni Berlusconi è il capitolo finale della storia della seconda Repubblica e del golpe da cui è nata.


Le bombe del '93 per intimidire il parlamento

Le comunicazioni urgenti che il Presidente della Repubblica ha voluto diffondere giorni fa con una convocazione inattesa dei giornalisti al Quirinale, indicano la gravità del momento che sta attraversando la sicurezza e la stabilità del nostro sistema istituzionale democratico, dello Stato e nel Paese. Cosa ha detto Napolitano?
– Nessun potere esterno al Parlamento può fare cadere un governo “che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento”.
– E' indispensabile che quanti appartengono all'Istituzione preposta all'esercizio della giurisdizione si attengano rigorosamente allo svolgimento di tale funzione
– Spetta al Parlamento esaminare, in un clima più costruttivo, misure di riforma volte a definire corretti equilibri tra politica e giustizia.
Più che al ‘94 e al “ribaltone”, il pensiero corre al '93, quando l'allora Presidente Scalfaro, pur in presenza di un governo e di una maggioranza parlamentare a suo sostegno, sciolse le Camere, un episodio che andrebbe rivalutato nella sua portata illegale ed anticostituzionale. Cosa che Il Presidente Napolitano non intende compire di fronte ad iniziative confliggenti col Governo di natura extra-parlamentare, come lo svolgimento di inchieste giudiziarie.
Non è poco, storicamente parlando, se raffrontato a quanto avvenne nel ‘93, anno, oltre che dello scioglimento anticipato delle Camere, degli attentati di mafia di nuovo oggetto delle indagini dopo la precedente archiviazione.
Allora, nel pieno dell'inchiesta Mani pulite si licenziò un Governo e un Parlamento cosiddetto “degli inquisiti” dopo averlo spremuto come un limone - pistola alla tempia delle procure - per ottenerne alcuni preovvedimenti essenziali al nuovo quadro che si preparava: l'abolizione dell'istituto garantista, centenario ed europeo prima che italiano, dell'immunità parlamentare (Inghilterra e poi, ovviamente dopo il Terrore, Francia) e, subito dopo, la abolizione della legge elettorale proporzionale (seppur ridotta ad una sola preferenza) per sostituirla con un sistema uninominale che - nelle intenzioni di chi sciolse le Camere e di chi chiese di scioglierle (Occhetto) - avrebbe consentito al PDS di ottenere la maggioranza assoluta dei seggi pur disponendo solo del 20 per cento dei voti, all'incirca. Si trattava dell'unico partito rimasto in piedi nel terremoto di Tangentopoli che intendeva diventare “partito unico”, indenne ad ogni inchiesta sui finanziamenti illegali, da cui entrava e usciva come in una porta girevole e con tante scuse, col tovagliolo già al collo davanti al piatto elettorale prevedendo di giocare una campagna politica a porta ormai vuota.
Era questa l'altra gamba della “falsa rivoluzione”, quella politica, in sincronia con quella mediatica e giudiziaria. Come è stato più volte ripetuto, solo l'iniziativa di Berlusconi di fondare in quattro e quattr'otto una forza politica con cui offrire in quelle elezioni un punto di raccolta a milioni di elettori del pentapartito sfollati e senzatetto, impedì che il cerchio del golpe giudiziario si chiudesse politicamente con la conquista di Palazzo Chigi da parte del giustizialismo. Non è difficile immaginare, visti i presupposti, quali sarebbero state le conseguenze, se il disegno fosse andato a segno: un'ondata giacobina di “sfumature alte” con la ghigliottina giudiziaria avrebbe fatto piazza pulita in modo definitivo degli avversari politici.
L'urgenza con cui la Presidenza della Repubblica ha deciso di intervenire, coincide con il tira e molla su un coinvolgimento del Presidente del Consiglio per “concorso esterno di mafia” per le stragi del 1993. La ruota sembra essere tornata indietro, ai mesi della crisi della Prima repubblica. Naturalmente ci sono molte differenza da allora. E innanzitutto che i “protagonisti politici” di quella stagione “rivoluzionaria”, la componente post-comunista, è ormai allo sbando, indebolita, divisa e in conflitto al suo interno come capita agli sconfitti.
La parte giudiziaria, invece, è ancora attiva. Ma si è spinta oltre le “linee nemiche” trovando però stavolta al posto di una piazza mediatica eccitata al linciaggio, una vasta maggioranza di democratici. Si trova cioè isolata. Ma non per questo è meno pericolosa.
Le attività di alcune procure e il richiamo presidenziale fanno capire che ci si trova di fronte a “un colpo di coda”. Si tratta di “un colpo di coda” tentato con indagini e accuse basate su carte già cestinate, recuperate, fotocopiate, sbianchettate, dove cambiano i destinatari, ma non i mittenti. Nè il postino. Subito dopo gli attentati del '93 fu indicato quale mandante Bettino Craxi e il cosiddetto Caf per le bombe collocate, si diceva, da parte del “vecchio che resiste”, contro la “Rivoluzione italiana”.
La testimonianza di Craxi di fronte alla Camera dei Deputati subito dopo le bombe e in un suo scritto per la Critica sociale alla vigilia delle elezioni politiche del '94, capovolge di 180 gradi l'accusa verso chi la rivolgeva allora a lui. La situazione di oggi è identica.
Cosa si sostiene oggi? Che la mafia fece un patto con Berlusconi per ottenere, in caso di vittoria elettorale, una serie di obiettivi tra cui il principale era l'abolizione dell'art.416 bis, un obiettivo che stava a cuore alla criminalità perchè prevede la confisca dei beni e dei proventi e profitti derivanti dalle attività criminose. Venne introdotto su iniziativa di La Torre (ucciso) dopo l'assassinio del generale Dalla Chiesa. E venne inasprito con la persecuzione penale in caso di rapporti elettorali dei mafiosi con i candidati alle elezioni nel 92, dopo la morte di Falcone e Borsellino. In cambio di questo e di altro le stragi sarebbero cessate.
C'è in giro ancora il 416 bis, o no? Tutto questo si basa su relata e non su riscontri, su dichiarazioni da parte di delinquenti pentiti 15 anni dopo i fatti, che non sembrano avere urgenza di mettere a posto la coscienza in procinto imminente di passare al Creatore. Cosa hanno fatto in questi 15 anni? Leggiamo cosa scrisse Craxi. E' analisi degli attentati del '93 raccolta in un documento che il leder socialista scrisse nel '94 e dette alla Critica Sociale per la pubblicazione. Cosa che avvenne sia sulla Rivista che, successivamente nel '97, in una raccolta di suoi articoli pubblicati in un volume edito sempre da Critica Sociale, “La Guerra d'Africa”, col titolo di “Lucciole”. E' una visione più lineare dei fatti nella loro effettiva successione, osservati dall'esilio tunisino alla vigilia delle elezioni del '94 dove ricorda, in aggiunta, di aver già avvertito del pericolo di violenze terroristiche in un intervento alla Camera dei Deputati nell'agosto dell'anno prima, cose dette - dunque - mentre era libero in Italia e in condizioni di piena consapevolezza e di informazione, e si dice preoccupato ora di nuove minacce non dopo altri attentati, ma prima di nuove elezioni.


Craxi: “Il golpe culminò con l'omicidio Falcone”

Craxi dirigeva da Hammamet la Rivista, coadiuvato a Roma da Cicchitto e dal sottoscritto a Milano. Nel consegnare l'articolo per il suo inserimento nel volume ebbe occasione di riassumere il suo punto di vista, come si vedrà alla fine.
Scrive Craxi: “Ho pensato in questi giorni a come è iniziata la legislatura che esce dalle elezioni del 1992. Inizia con bombe e attentati. Il primo attentato provocò una strage. Fu un'operazione quasi militare. Mentre il Parlamento appena eletto, votazione su votazione, arrancava alla ricerca di un'intesa per la nomina del capo dello Stato, venivano assassinati Falcone e i suoi. Dopo di lui sarà la volta del giudice Borsellino.
Iniziava così tragicamente una legislatura destinata ad avere breve vita. Sarebbe crollata sotto i colpi portati al sistema politico di governo, con un'intensità crescente, da una “rivoluzione” definita pacifica. Un'offensiva organizzata, ben sostenuta e caratterizzata dal ricorso ad un uso violento e ben discriminato del potere giudiziario, accompagnato ed esaltato dalla violenza scandalistica e polemica che invadeva gli organi di informazione.
(...) Una gran parte della classe politica si piegava, si divideva, anzi si dissolveva di fronte al procedere di una campagna di criminalizzazione da un lato generalizzata e dall'altro condotta prevalentemente a senso unico. (...) La legislatura che non arriverà a metà del cammino, vedrà tuttavia ancora, prima di essere liquefatta definitivamente, bombe, attentati, vittime innocenti. Subito dopo che la Camera dei deputati con un voto di maggioranza aveva respinto una richiesta di autorizzazione a procedere nei miei confronti, si scatena, come si ricorderà, una reazione rabbiosa in Parlamento, sulla stampa, sulle piazze ed anche da parte dei giudici inquirenti. Vengono organizzate manifestazioni in tutto il paese. La peggior demagogia viene usata come una clava mostrando un volto di violenza negli animi, nel linguaggio, negli atti. Di fronte a tutto questo io espressi allora il timore di una possibile tragica escalation.
Denunciai l'esistenza di questo pericolo.
Mi riferii esplicitamente alla eventualità di attentati terroristici, e purtroppo fui buon profeta. Una “mano invisibile” collocò giorni dopo in diverse città italiane, alcuni ordigni che esplosero in perfetta sincronia e senza fare vittime. Le bombe che non fanno vittime lasciano un segno superficiale e raggiungono solo in parte il loro obiettivo.
Fu così che tornai subito a parlare del pericolo di nuovi attentati. Ragionavo sulla base di due elementi semplici. Il primo: che la violenza produce violenza. Il secondo: che nelle cose italiane aveva fatto la sua comparizione un fattore diverso difficile da individuare e ancora più difficile da afferrare. (...) Non si esitò a puntare l'indice contro di me che ero solo colpevole di aver detto quello che intuivo sarebbe accaduto. Fui pubblicamente sospettato, addirittura accusato di essere, insieme alla “vecchia classe politica”, nientemeno che il mandante degli attentati. Chi partecipava alla “Rivoluzione” ormai in marcia, non voleva la verità ma solo dei colpevoli. (...) Sta di fatto che le bombe che temevo, disgraziatamente, non tardarono a ritornare e questa volta sparsero sangue innocente”.
Craxi quindi ricorda i suicidi di Gardini e Cagliari per notare come “le vicende giudiziarie si urtano col sangue di due suicidi eccellenti”. E prosegue: “Subito dopo, questione di ore, esplodono nuove bombe. Chi è stato, chi lo ha ordinato, chi ha messo a punto l'orologio del crimine? Ancora una volta solo una “mano invisibile”. Ancora una volta la “rivoluzione” punta subito l'indice accusatore secondo lo stile stranoto, degno della Colonna infame. Di fronte ai corpi senza vita che giacciono di fronte alla Villa comunale di via Palestro a Milano e viene pronunciata da un magistrato una frase solenne e lapidaria: “Non ci fermeranno”.
Essa equivaleva a dire senza ombra di equivoco: sono coloro che stiamo indagando che seminano il terrore per impedirci di continuare. E chi sono mai costoro? La vecchia classe politica? Il sedicente Caf? Oppure invece una “mano invisibile, figlia della violenza, dei calcoli di violenza, che vuole suscitare un clima di paura e violenza. Mi levai di fronte alla Camera per denunciare appunto i crimini di una mano invisibile e per porre con forza questi stessi interrogativi a cui non fu data risposta”.
Nel citato discorso alla Camera Craxi affermava nell'agosto del 1993: “C'è una tempistica, una strategia, degli obiettivi che vengono perseguiti con violenta determinazione. Una tesi e una retorica sostanzialmente falsa attribuisce queste bombe ad un “vecchio sistema che resiste”. Se fosse così converrebbe essere più precisi. (...)Penso ad un ambiente che è alla ricerca di rotture violente, ad un'ala golpista e avventurista che si muove all'interno della drammatica crisi che ha investito la società politica italiana”.
Prosegue di nuovo l'articolo di Craxi con il timore di nuove minacce, questa volta alla vigilia delle elezioni del '94 e con Berlusconi già sceso in campo: “La “mano invisibile”, la stessa o un'altra, forse si sta già infilando i guanti. Mi auguro proprio che non succeda nulla. Mi auguro che le “mani invisibili” abbiano perso le dita e che tutto si svolga al contrario lungo i binari della correttezza politica, della linearità costituzionale, dei compromessi utili e necessari alla vita democratica. Prego di non chiamarmi in causa per quello che scrivo oggi. Sono solo un testimone che osserva come può le cose del suo Paese. Stando così lontano mi può capitare di vedere lucciole per lanterne. Spero siano appunto lucciole”.
Quello di oggi è un teorema, per giunta incoerente.
Quello che salta subito all'occhio è che gli stessi coinvolti nelle stragi del 93 sono implicati sia nell'omicidio Falcone-Borsellino che nel presunto patto scellerato con Berlusconi.
E' possibile che chi si apprestava a impegnarsi in prima persona per opporsi al giustizialismo ormai alle porte di Palazzo Chigi, potesse fare patti di qualsiasi natura con chi, attraverso le bombe, contribuì a destabilizzare il paese, contribuì a intimidire il “Parlamento degli inquisiti” - già scosso al suo esordio dall'uccisione di Falcone e Borsellino - e a portare al potere gli stessi contro cui Berlusconi aveva dato vita ad una forza politica e a una coalizione politica alternativa?
E' un non-senso paradossale. I fatti storici dimostrano il contrario. La forza della ricostruzione di Bettino Craxi sta in fatti certi, contro fatti ipotetici. I fatti certi di Craxi sono due: la successione degli eventi che ricompone nello scritto, e la dichiarazione resa alla Camera dei Deputati di aver per tempo denunciato i pericoli e di non aver avuto ascolto, ma accuse.
Per Craxi gli attentati del 93, successivi e in linea con le stragi di Capaci e via D'Amelio, sono levatrice della Rivoluzione che avanzava e sono finalizzati ad intimidire la “vecchia classe politica” per stabilizzare i progressi rivoluzionari raggiunti. Di qui la preoccupazione per nuove minacce da parte della “stessa o di un'altra” mano invisibile pronta “col guanto”.
Qualche anno dopo, nel redigere il sommario del libro in programma per la pubblicazione, tornando su questo testo ho potuto raccogliere alcune sue affermazioni che riassumevano il suo punto di vista su quegli attentati e sul loro collegamento con la “rivoluzione” mediatico-giudiziaria come denunciato alla Camera e scritto nel testo: “Il golpe si è compiuto con l'omicidio Falcone. Da allora la strada alla “rivoluzione” è stata spianata. Ci sono atti terroristici che destabilizzano. Ma questi sono atti terroristici “stabilizzanti”. Stabilizzavano la Rivoluzione che avanzava”. Inutile aggiungere commenti. Basta e avanza per riflettere su quanto successe allora, sulla natura e sul contesto di quegli attentati e sulla continuità di scopi che, in modi differenti, cioè con “la stessa mano o con un'altra”, un colpo di coda di una rivoluzione sconfitta vuole riportarci indietro di 15 anni. Se non con le bombe, coi pentiti.







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