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IL DOVERE DI RISCOPRIRE LA VERITA'

Craxi 10 anni dopo ■ Una tavola rotonda a Milano

Data: 2010-03-04

Carlo Tognoli, Massimo Pini, Francesco Forte, Rino Formica, n.1/2010,

In occasione dei dieci anni della morte di Bettino Craxi, Carlo Tognoli e la Critica Sociale hanno promosso presso la Società Umanitaria di Milano un incontro con Rino Formica, Francesco Forte, Massimo Pini e Ugo Finetti, autore del volume "Storia di Craxi" edito da Boroli (in omaggio agli abbonati alla Critica).
Pubblichiamo in queste pagine il resoconto del dibattito


Carlo Tognoli

Il libro di Ugo Finetti, "Storia di Craxi", ha una caratteristica particolare: è dedicato non solo a Craxi segretario del Partito Socialista dal 1976 in poi, ma a Craxi come uomo politico com'è stato per tutta la sua vita. Craxi si può dire che fosse un leader naturale. Questo lo sanno molte persone che l'hanno conosciuto; altri non lo sanno perché in questi decenni Craxi è stato valutato, visto, pesato, criticato, elogiato, per quello che ha fatto dal 1976 in poi. Invece, egli è stato un leader naturale sin quando militava tra i giovani socialisti , all'inizio del suo interesse per la politica. Un interesse di famiglia, perché suo padre Vittorio Craxi, vice prefetto di Milano e prefetto di Como, era iscritto al Partito Socialista. Nell'unione goliardica, nell'UNURI (Unione nazionale universitaria rappresentativa italiana) ed anche in quello che veniva sprezzantemente definito "parlamentino degli studenti", Craxi fu un leader importante, tra l'altro nei tempi in cui si sperimentava l'accordo tra laici e cattolici. Fu un leader nel Partito Socialista a Milano, nell'Amministrazione comunale, in consiglio comunale e in giunta, anzi ci fu un periodo in cui alcuni assessori apparivano (dal punto di vista politico, non di fronte ai cittadini) più importanti del sindaco. Craxi era tra questi, ai tempi dei sindaci di Milano Cassinis (che tra l'altro gli voleva molto bene) e di Bucalossi (che gli voleva un po' meno bene) ed era un protagonista di grande rilievo. E' stato un leader nel Parlamento prima ancora di fare il segretario del partito.
L'altra cosa che si può sottolineare di Craxi é il suo essere produttore di politica. Egli non era un consumatore, ma un uomo che aveva idee, un creativo. Non a caso, amo spesso citare l'UNURI, perché in quella sede si sperimentò nel 1956-‘57 e fino al '58 (ma anche dopo, senza Craxi) l'accordo tra laici e cattolici. Craxi, che è stato vicepresidente di quell'organismo rappresentativo appunto fino al 1958, si impegnò per introdurre anche l'alternanza, proponendo che a un biennio di presidenza cattolica succedesse un biennio di presidenza laica.
Naturalmente questo gli costò, perché al momento di venire eletto presidente, al congresso di Cattolica, venne invece estromesso. Tra i protagonisti di quell'attacco a Craxi, che si risolse nella sua mancata elezione nel consiglio nazionale dell'UNURI, ci furono Pannella, Iannuzzi e i comunisti, che si facevano strada all'interno degli organismi universitari e dell'unione goliardica. Un'azione ispirata da finalità evidentemente strumentali; non è un caso che la prima vittima di questa manovra convergente, non solo dei comunisti ma anche dei non comunisti, fosse appunto Craxi.
Tuttavia, io non voglio fare altro che introdurre il dibattito e quindi lascio spazio a Massimo Pini, che è stato tra l'altro anch'egli autore di un bel libro relativo ad un pezzo di storia italiana basato su Craxi e sulla sua attività, nel quale si rintracciano spunti interessantissimi. Pini per un lungo periodo ha vissuto a contatto con Craxi e ne ha condiviso le vicende politiche, alcune delle quali molto delicate.
Lo ringrazio per la sua collaborazione a questa iniziativa, promossa dalla "Critica Sociale", dalla "Fondazione Kuliscioff" e dal "Circolo Turati".

Massimo Pini

Ringrazio gli Amici della Critica Sociale per questa manifestazione. Dico subito che considero il libro di Ugo Finetti molto prezioso e consiglio di leggerlo. Finetti nell'introduzione ricorda che sono passati dieci anni dalla morte di Craxi e venti anni dalla caduta del Muro di Berlino. Aggiunge che la vittoria ideale è stata della socialdemocrazia, ma che la vittoria reale è stata dei post-comunisti e dei post-fascisti. Si è infatti verificato uno strano fenomeno per cui, siccome la storia la scrive il vincitore, ci troviamo oggi alle prese con una serie di libri, libercoli, libelli, verbali di polizia giudiziaria, verbali di magistratura, ricordi di pentiti che rappresenterebbero la "storia vera", mentre sono persuaso che la vera storia sia proprio quella che viene scritta da persone come Ugo Finetti, che non sono stati i vincitori materiali, ma sono invece i vincitori morali di questa vicenda.
E' fondamentale comprendere cosa sia successo in questi anni. Per esempio si può comprendere come Bettino Craxi sia nato politicamente molto prima del '76 e si può anche apprezzare la sua coerenza, poiché finì spesso in minoranza sin da quando stava all'università e finì in minoranza perché aveva una linea da seguire.
In questo periodo fra i vari libri che stanno uscendo ne è uscito uno di Stefano Rolando che si chiama "Una voce poco fa". Rolando cos'ha fatto? Ha fatto una serie di interviste a diversi personaggi , protagonisti e non protagonisti.
Qual è la sensazione che si ricava da questo libro? Che quelli che parlano, per quanto siano stati intorno a Bettino per lunghi anni, oggi si atteggiano a spettatori, come se avessero assistito dal di fuori da quella vicenda tragica e drammatica.
Per esempio scrive Ugo Intini: "Bettino Craxi ebbe un periodo felice di grandi intuizioni che andò dal Midas fino all'ultimo anno della sua presidenza del Consiglio (7-8 anni), poi iniziò una fase più grigia di stasi e decadimento, fino al crollo finale". Invece leggiamo nel libro di Finetti un' interpretazione che a mio avviso è molto più seria. Finetti dice: "Quelli che sono descritti come gli anni della decadenza di Bettino sono anni in cui in realtà il comunismo in Italia ormai è senza più una strategia, in irreversibile declino elettorale e storico. L'egemonia, quella formula gramsciana della forza più il consenso che per Berlinguer configurava il PCI come forza invincibile, ormai era solo oggetto di studio e retrospettiva".
Alla presentazione del libro di Rolando nel luglio scorso a Roma, alla presenza di Stefania Craxi, c'era anche Walter Veltroni. Che cosa ha detto? "Ma Bettino ha fatto tutto giusto!". Walter Veltroni, il pentito: "Ha capito tutto prima degli altri e si è sempre mosso nel modo giusto e politicamente appropriato con la sola eccezione dell'invito a disertare il referendum del 1991". Cioè proprio l'atto che Craxi compì per essere fedele ad una linea, perché non si poteva ovviamente cambiare la legge elettorale tagliando una parola di qua e una parola di là. Su questo egli è stato sempre estremamente fermo, fino a dire "andate al mare, non andate a votare". Eppure, la fermezza craxiana diventa invece un errore secondo l'ottica di Veltroni.
Secondo Finetti l'errore fatale di Craxi fu di aver consentito la nascita del settimo governo Andreotti (1991) e su questo sono abbastanza d'accordo; credo anch'io che quello fu un passaggio molto delicato, anche se la vera natura di quella decisione deve essere ancora accertata. Qualcuno disse che l'aveva fatto per sostenere il nuovo Partito Comunista in un momento difficile e altri dissero invece che fu messo fuori strada dai suoi stessi luogotenenti.
Ho un ricordo personale delle circostanze che orientarono la scelta di Craxi. Eravamo convinti che si andasse alle elezioni anticipate; allora stavo all'IRI e assieme a Fabrizio Cicchitto avevamo attaccato il presidente dell'IRI, Franco Nobili. Quando tornammo a Milano dopo un convegno, Craxi disse: "Ma che cosa avete combinato?". "Ma scusa - gli dicemmo - non andiamo alle elezioni anticipate?" "Ma quali elezioni anticipate! Faremo il governo nuovamente con Andreotti".
Naturalmente nasce in quella fase un periodo di complotti, di manovre. Finetti ricorda: "Le grottesche dimissioni di Cossiga". Finalmente c'è un osservatore politico che ha il coraggio di dire che il ruolo di Cossiga è stato estremamente dubbio. Giustamente si parla di dimissioni "grottesche" e, ancora, "Cossiga sperona - sostiene Finetti - l'ingresso di Craxi a Palazzo Chigi".
Cominciamo a vedere che in questo libro vengono fuori tutta una serie di passaggi che non sono stati fino ad ora presi in considerazione. Oggi Cossiga sostiene di essere stato sempre grande amico di Bettino e di essere andato a trovarlo negli ultimi giorni prima della morte. Però, di fatto, le sue dimissioni furono il motivo della crisi, perché Craxi non poté andare a Palazzo Chigi. L'atmosfera in quel periodo - ho cercato di riportarla nel mio libro -era quella tipica di un colpo di stato; colpo di stato al quale partecipano tanti protagonisti, tanti comprimari. Non è soltanto la magistratura che fa in Italia quello che in Sudamerica fanno i militari, cioè un vero e proprio golpe con tutti i crismi.
Gli americani: non perdonavano a Craxi l'affare di Sigonella; una parte degli americani, coloro che poi abbiamo ritrovato al potere con la presidenza del giovane Bush, cioè tutti quelli che adesso sono stati estromessi dal Dipartimento di Stato e che condizionavano la politica estera americana. Israele certamente, per tanti motivi. Gli interessi di quelli che volevano privatizzare a poco costo, quindi i britannici e tutte le società di marketing che affluivano come avvoltoi sulle partecipazioni statali.
Finetti questi punti non li approfondisce perché credo rimanga fedele alla sua linea di interpretare le posizioni ideologiche di Bettino Craxi piuttosto che inserire nella trama elementi extra italiani.
Che dire del ruolo avuto dalla mafia nel colpo di stato? L'omicidio di Falcone? Scrive Finetti: "Mentre Martelli è da Andreotti a trattare la possibilità di una presidenza della Repubblica, c'è l'esplosione che fa morire Falcone e quindi tutto questo fa pensare ad una coincidenza drammatica che riguarda anche qui Bettino Craxi".
Il caso Moro. Moro viene ucciso nel momento in cui il presidente della Repubblica Leone si apprestava a firmare la grazia per la terrorista Besuschio. Nel momento in cui si stava aprendo una prospettiva, Moro viene ucciso. Coincidenze incredibili, sia la morte di Falcone, che quella di Moro.
Credo che oggi dobbiamo pensare che la storia è forse uno degli strumenti più importanti che hanno a disposizione i socialisti per rivendicare il loro passato e il loro ruolo. L'Italia in questi quindici anni è molto cambiata, c'è il rischio che il ruolo dei socialisti scompaia completamente dai libri di scuola e dalle ricostruzioni televisive.
Ho visto il ricordo che ha fatto Minoli di Bettino Craxi e devo dire che è abbastanza equilibrato e documentato. Lo trasmetterà la RAI in occasione del decimo anniversario. Mi ripeto, la storia è veramente uno dei pochi grandi strumenti che ci rimangono, perché il colpo di stato andrebbe indagato a fondo e Finetti ci consegna un contributo importante.
Perché non c'è un Genchi che ci spiega cosa avvenne con le intercettazioni del telefonino di Di Pietro in quei famosi giorni in cui telefonava a tutti? Perché quando Craxi diffuse questi dati venne incriminato per calunnia? (Invece, Genchi può analizzare tutta la storia dei nostri giorni con le telefonate, utilizza i tabulati e dice: tu quel giorno hai telefonato a lui, poi lui ha telefonato a quello lì e allora vuol dire che eravate in collegamento) Perché non si è fatto questo lavoro sui dati che pure ci sono?
Penso, e concludo, che la storia sia molto importante è che quindi sia un bene che escano libri su Bettino Craxi, sul ruolo dei socialisti e sulla loro funzione in quegli anni. Non aggiungo altro, perché non vorrei che i socialisti indulgessero troppo nell'auto-apologia, ma ci tengo ancora a sottolineare come la ricostruzione del passato sia uno dei pochissimi mezzi che oggi noi abbiamo per tornare a contare in questo Paese.

Carlo Tognoli
Come ha suggerito Massimo Pini, il taglio del libro di Finetti è leggermente diverso rispetto alla teoria del "colpo di stato" nella forma in cui a questa teoria molti hanno aderito, perché effettivamente quello che è successo in Italia nei confronti di Craxi, dei socialisti e di una parte dei democristiani ha tutti i caratteri di "un colpo di stato".
Ne approfitto per dire che della teoria di Pini non mi convince l'ipotesi dell'esistenza di piste estere. Francamente non le vedo. Mi convince invece pensare (questo nel libro di Ugo c'è) che le cose siano nate dagli stessi che presero posizione contro Craxi non solo durante la vicenda Moro, anche in occasione del decreto sul costo del lavoro e del successivo referendum. Nell'ambito di Confindustria, com'è noto, le cose sono state rivelate da un consulente che si chiamava Lucio Colletti: una presa di distanza da Craxi orchestrata da autorevoli rappresentanti dei poteri forti. Lì andrei a cercare, se fosse il caso, una traccia di "colpo di stato".
E' naturalmente possibile anche fare riferimento alla vicenda del "Britannia" (La nave della flotta inglese su cui si sarebbe svolto un vertice riservato tra esponenti della politica e dell'economia italiane e della finanza internazionale in vista delle imminenti privatizzazioni all'inizio degli anni '90), come qualcuno magari un po' fantasiosamente ha suggerito, però il punto di riferimento è quello lì. Se c'è stato un colpo di stato è venuto dai poteri forti e lo si capisce da tutte le vicende economiche successive, oltre che da quelle inquietanti relative all'attentato a Falcone. Quest'ultimo, secondo quanto scrive un autorevole giornalista amico dell'avvocato Giannino Guiso nel suo libro intitolato "L'oro di Mosca", doveva andare in Unione Sovietica per parlare con un procuratore del tribunale di Mosca in merito a un giro di quattrini di origine KGB che andavano in Sicilia e potevano essere poi distribuiti o a personalità politiche italiane o comunque alla mafia che aveva il compito di riciclarli.
Ma non voglio inseguire queste fantasie, dico solo che la pista dei poteri forti è quella che mi convince maggiormente e, siccome abbiamo con noi Francesco Forte, che è economista e professore di scienza delle finanze, faccio questo rilievo sulla base di dati che ho visto, che possono non essere del tutto precisi ma che approssimativamente ne danno l'idea.
Dal 1970 al 1991 il prodotto interno lordo italiano è cresciuto in media del 2,87% l'anno, dal 1992 al 2008 è cresciuto dell'1,3% l'anno cioè meno della metà.
Questo è un primo dato non necessariamente conseguente al "colpo di stato", ma è significativo di quello che è successo nel nostro paese. Non solo, ma per ciò che riguarda il rapporto debito pubblico e PIL, nel giugno del 1992 era del 96% e nel 2000 era diventato del 111%.
Non posso che notare che ai tempi di Andreotti e Craxi il debito pesava per 25 milioni di lire su ogni cittadino, oggi per 28.000 Euro, vale a dire 56 milioni. Curiosamente D'Alema, in un articolo del 18 gennaio del 1999 sull'Unità, sosteneva che tutta la colpa del debito pubblico italiano risaliva a quei governi, che la tragedia italiana era quella debito pubblico (96% poi diventato 111%). Nel frattempo in Italia ci sono state delle privatizzazioni, vendite o "svendite". Ecco allora che si comincia a vedere una connessione tra l'ipotesi di "colpo di stato" e quello che è successo in Italia. Si tratta di ciò che è sotto gli occhi di tutti e forse scavare in quella direzione potrebbe consentirci, finché siamo vivi e se ne avremo la possibilità, di trovare qualcosa di interessante.
Dunque introduco Francesco Forte, che ringrazio, uno dei ministri più noti del nostro paese, economista, socialista, grande amico di Craxi.

Francesco Forte

Vorrei iniziare con un ricordo personale. La mia famiglia conosceva bene il padre di Craxi, Vittorio Craxi, perché era un avvocato emigrato dalla Sicilia per antifascismo. Faceva l'avvocato a Milano e veniva aiutato dai magistrati indipendenti, tra cui mio padre, ad avere i processi, quelli con la difesa d'ufficio, perché in questo modo poteva essere compensato per poi sperare di farsi conoscere e progredire nella carriera. Mio padre conobbe così l'avvocato Vittorio Craxi, prima a Busto Arsizio e poi a Sondrio, dove mio padre lavorava come procuratore del Re e allora passò alcune cause al Craxi, che divenne dopo la Liberazione Prefetto di Como. Era insomma una famiglia che conoscevamo.
Quando ero il professore a Milano, nell'intervallo tra la dipartita di Ezio Vanoni e l'avvento del suo successore, il professor Steven, avevo come studente Bettino Craxi di cui non conoscevo nulla. Un giorno un mio collaboratore mi disse: qui c'è un giovane brillantissimo, dovresti conoscerlo, è il capo dell'organismo rappresentativo ed ha più o meno ha le tue idee. Ebbi poi modo di conoscere Craxi solo molti anni più avanti. Tuttavia, mi preme raccontare di questi episodi per confermare che effettivamente Craxi è nato da una famiglia antifascista ed ha vissuto la politica sin da bambino, anche con l'amarezza delle difficoltà di chi era emigrato dal sud non in modo normale, per fare un'attività normale, ma costretto dalla necessità. Credo che il padre abbia subito parecchie umiliazioni nei primi anni della sua carriera, che la vita sia stata molto modesta in quella famiglia, perché evidentemente non era facile campare con le cause d'ufficio per poi coltivarsi quotidianamente questa faticosa clientela.
Vorrei soffermarmi su alcuni temi che nel libro sono solo abbozzati ma non approfonditi, probabilmente perché Finetti, che è uno storico attento e molto serio, non ha voluto imbarcarsi nella tematica economica per evitare insidie ed inesattezze.
Io credo alla teoria del "colpo di stato" e credo anche alla tesi di Tognoli: ne ero convinto all'epoca e ne ho avuto delle prove. Innanzitutto, va detto che nel 1992 l'Italia aveva pareggiato il suo bilancio, anche se è scritto il falso dovunque. Esiste un saggio scritto da me e da una mia collaboratrice, (non viene mai citato) dove si dimostra l'evidenza di questo fatto. Deflazionando il bilancio pubblico dal velo monetario, cioè togliendo l'inflazione del 10% e considerandolo in termini reali in relazione alla svalutazione che aveva il debito ogni anno a causa dell'inflazione del 10%, nel '92 il nostro bilancio aveva un deficit del 3% del PIL. Il che vuol dire che nel '92 era necessario e possibile fare un colpo di mano per prendersi le imprese pubbliche.
E' vero che Craxi aveva una certa resistenza contro le privatizzazioni, un atteggiamento che era in parte di tipo culturale e in parte di tipo tecnico: già col caso SME si era visto che da noi le privatizzazioni tendevano a trasformarsi in regali e imbrogli. Comunque, quando ci fu la privatizzazione della Banca Commerciale Italiana, ero presidente della Commissione Finanza e la sostenevo per ragioni ideologiche, coerenti, tra l'altro. Craxi sosteneva queste tesi.
Allora Enrico Cuccia, che non mi conosceva e che gestiva questa privatizzazione, mi chiese, tramite il suo amministratore delegato Maranghi, di andare a Milano a trovarlo, cosa che io feci. In questo breve colloquio egli mi spiegò che il governo stava cambiando politicamente. Mi disse: "Ma insomma lei verrà dalla nostra parte". Troncai il colloquio e dissi di essere a favore della privatizzazione per ragioni di principio. Tutto era già preparato perché il magro capitalismo italiano aveva bisogno di rimpinguarsi con l'Enel, con l'ENI (non è detto che poi tutte queste mosse abbiano funzionato), con le Autostrade (cosa che è accaduta), con la Telecom e così via. Ha ragione Tognoli quando afferma che sebbene negli anni '90 in Italia abbiamo avuto privatizzazioni per 120 miliardi di lire (60 miliardi di euro) il debito pubblico non è minimamente calato. In parte perché quei fondi si usavano per ripianare il deficit sanitario ai tempi dei disastri del primo governo Prodi, in parte perché effettivamente potevano rendere il doppio.
Il vero punto, tuttavia, non è tanto che le privatizzazioni avrebbero potuto rendere di più, quanto che per ripagare degli operatori italiani in modo privilegiato, si sono accettate delle privatizzazioni a favore di gruppi esteri che avevano il compito semplicemente di distruggere i concorrenti. Si è avuto così il declino dell'economia italiana, che poi stranamente è stato attribuito ai socialisti o al governo Berlusconi. Bisogna tener presente prima di tutto che quelle privatizzazioni furono fatte a basso prezzo a favore di operatori che non avevano i mezzi economici e le capacità imprenditoriali.
Il cannibalismo sul gruppo Montedison-Ferruzzi (altro notevole pasto che ebbe Mediobanca) ha determinato la distruzione del polo alimentare italiano e la distruzione del polo chimico italiano. L'Italia aveva una grossa industria farmaceutica che è sparita, l'Italia aveva una grossa industria dello zucchero e degli alimentari ed è andata a finire in Francia. L'Italia poteva anche contare su un grosso commercio nel settore del grano, del riso e di altri prodotti e aveva, tramite il capo della Ferruzzi (che poi morì in modo assolutamente strano), il cosiddetto "contadino", innovato nella biochimica e gli attuali sviluppi che abbiamo oggigiorno probabilmente sarebbero stati in parte notevole di origine italiana.
Ma le due privatizzazioni a favore degli stranieri che hanno determinato un rilevante declino italiano - e la chiusura delle relative queste imprese - sono quelle del gruppo siderurgico e del gruppo elettro-telefonico.
Il gruppo siderurgico era il più grosso d'Europa ed è stato sminuzzato, praticamente distrutto. Se a Torino sono morti degli operai, la responsabilità è di quelli che hanno privatizzato la Finsider con l'impegno di darla alla Krupp per chiudere quegli stabilimenti. A Torino la magistratura sta facendo un'azione di copertura su due responsabilità: la prima è quella della CGIL che ha rallentato le chiusure facendo rischiare ciò che poi è successo perché la Krupp le doveva chiudere prima. La seconda è quella del governo dell'epoca che, in cambio alla possibilità di mangiarsi le imprese italiane e di entrare nell'euro senza le clausole opportune di serietà nella riduzione del debito pubblico, ha regalato queste imprese alla tedesca Krupp.
La distruzione della siderurgia chiaramente ha determinato seri danni.
Un'altra grave distruzione è quella dell'Italtel, che aveva 25.000 addetti ed era l'impresa più avanzata d'Europa nel settore dei telefonini, di cui aveva la tecnologia. Adesso ha circa 1500 addetti (nessuno ne parla) in gran parte ancora nella ricerca, ed è fortemente specializzata nella ricerca e nell'impiantistica. Tuttavia, abbiamo sostanzialmente perso questa impresa di punta.
A ciò si deve aggiungere la perdita delle imprese del settore chimico-farmaceutico e il fatto che in quegli anni si è scientemente - ma questo già prima a cura degli stessi protagonisti del "colpo di stato" - distrutta l'impresa chimica di Rovelli, fingendo che il suo gruppo fosse formato da ladri, mentre la verità è che l'IMI lo ha soffocato per favorire la Montedison. Quello di Rovelli era l'unico gruppo in Italia di tecnologia chimica di base avanzato, con impianti modernissimi. Distruggendolo si è bloccato lo sviluppo della Sardegna, dove erano insediate le imprese di Rovelli, che poi sono passate all'ENI, già parzialmente cannibalizzate dopo essere state nella Montedison. L'ENI in quell'epoca ha avuto il compito di chiuderle e in quel modo la petrolchimica è passata ad altri. Nel vedere come oggi la petrolchimica si sta sviluppando in varie direzioni, è evidente capire che come sistema paese ci siamo giocati anche questo promettente comparto tecnologico.
Direi che la "congiura golpista" ha determinato il rallentamento dell'economia italiana e questo rallentamento, a sua volta, ha determinato il fatto che il debito pubblico sia cresciuto in rapporto al PIL. Il debito è un rapporto col PIL e se il PIL rallenta, (o in certi anni non cresce per nulla), è evidente che il rapporto debito-PIL sale invece che scendere, senza contare i ripiani dei deficit sanitari.
Adesso l'economia italiana è diversa, perché dagli anni 2000 in poi abbiamo avuto un recupero, dovuto ad un tessuto di base fondamentalmente sano. Adesso persino nel settore farmaceutico abbiamo una bilancia commerciale molto buona, perché anche quel comparto è risorto sulla base di imprese prima piccole che sono diventate grandi. Finmeccanica si è salvata dal disastro. Ma in ogni caso il nostro declino è stato causato dalle vicende scellerate sopra descritte, perché i capitalisti che le hanno orchestrate hanno fatto le cose male.
La "congiura" dove si è svolta? Nel libro lo si dice chiaramente - e ne ha parlato anche Massimo Pini: il momento clou è l'uccisione di Falcone. In quelle settimane in Parlamento stavamo votando il capo dello Stato, il nostro candidato era Forlani, ma se Forlani non fosse riuscito, potevamo eleggere un'altra persona degna.
La morte di Falcone quel giorno ci ha obbligato a votare comunque Scalfaro, ci ha obbligato perché bisognava eleggere il Capo dello stato quel giorno stesso, per forza. (Senza il quale non si poteva formare il governo di cui c'era urgenza in seguito all'attentato). Da presidente della Camera dirigeva le votazioni. Nessuno pensava che fosse un candidato. C'erano altri candidati che sarebbero riusciti. Per fare un esempio, sarebbe stato facile votare Leo Valiani se non si fosse riusciti a mettersi d'accordo sul nome. Diciamo che questo è stato proprio il punto di svolta.
Allo stesso tempo Falcone era anche la figura di spicco nella lotta alla mafia, e gestiva i rapporti con la Del Ponte, cioè con la magistratura Svizzera, e guarda caso ci fu questa stranezza del "conto protezione" (in Svizzera), con cui è stato praticamente distrutto il PSI, che è spuntato nelle inchieste italiane senza una rogatoria, una volta morto Falcone. E la Del Ponte poi è stata nominata Presidente del tribunale internazionale.
Falcone voleva le rogatorie vere, quelle relative ai mafiosi e, anche se la Svizzera le centellinava, il suo atteggiamento dava fastidio a qualcuno. Quindi l'uccisione di Falcone aveva due vantaggi, il primo era che le rogatorie da lui richieste con tanta veemenza con la sua morte sparivano e il secondo che si doveva nominare capo dello Stato una persona diversa e già precostituita, perché improvvisamente si era materializzata una strana candidatura a cui nessuno aveva pensato. Ve n'erano tanti di nomi che potevano essere eleggibili, ma vennero scartati. Quindi sono portato a credere che il colpo di stato ci fu e probabilmente delle reti occulte lo hanno gestito. Quali esattamente non lo so, però posso dire che mi sembra che questa tesi sia stata avvalorata.
Nel libro Finetti ricorda, sia pure per cenni, come Craxi fosse contrario a fare queste operazioni di privatizzazione non serie e per questo motivo aveva avuto uno scontro con questo gruppo di potere definito "milanese". Inoltre puntualizza che il giorno della morte di Falcone, Claudio Martelli stava facendo un'opera di mediazione per l'elezione di un altro capo dello Stato.
Voglio aggiungere in chiusura una cosa di cui sono stato testimone.
E' difficile valutare se Bettino Craxi negli ultimi anni della sua attività politica, cioè dagli anni '90 in poi, abbia o no commesso degli errori. Io penso di sì. Una cosa è ormai di dominio pubblico. Craxi era ammalato. Ho seguito Bettino Craxi in tutti i suoi viaggi internazionali quando rappresentava le Nazioni Unite per il debito del Terzo Mondo e il mio compito era di intervenire quando Bettino Craxi non riusciva più a parlare perché aveva bisogno di una iniezione di insulina.
Questo me lo ricordo benissimo: a un certo punto lo capivo quando diceva "qui il discorso si fa tecnico, deve parlare il professor Forte". Ma io sapevo benissimo che la ragione era che lui doveva farsi l'iniezione e il suo segretario Gianlombardo (che si dice avesse una borsa contenente i soldi delle tangenti) aveva in realtà una borsa contenente la siringa e le medicine.
Questo è quello che ricordo e la cattiva salute ha certamente influito. Bisognava, perché lui leggesse, dargli dei fogli scritti molto grandi perché non riusciva a leggerli ed era meraviglioso come riuscisse ad avere di lucidità e di intensità. Però il declino derivante dalla malattia che lo stava distruggendo fisicamente c'era, e probabilmente gli avversari ne hanno anche tenuto conto allo scopo, per così dire, di circuirlo, tramite collaboratori vari e non sempre fedeli.
Direi che questo libro di Finetti è molto importante perché tratteggia la figura di Bettino Craxi in modo politico e non puramente cronachistico e la tratteggia all'interno delle vicende del Partito Socialista nella storia italiana. E' importante che le cose vengano rimesse a posto. Questo libro negli ultimi capitoli dà la testimonianza di una tragedia, perché è facile capire che la caduta di Craxi e il crollo del Partito Socialista abbiano determinato in Italia un periodo di declino, di nuova crescita del debito pubblico.
Da allora, il nostro paese non è stato più lo stesso.
Ci vorranno molti anni (e fra l'altro nel frattempo sono intervenute complicazioni non previste) per recuperare il tempo perduto e per recuperare quella grande industria che non abbiamo più avuto. Adesso siamo un paese di piccola e media industria, mentre una volta avevamo la grande industria della Finsider, che era la maggiore impresa dell'Europa; avevamo una grande industria petrolchimica che non abbiamo più, ci rimane solo quella petrolifera; avevamo una grande industria elettronica che non abbiamo più; avevamo anche una grandissima industria meccanica, a parte quello che è rimasto della Fiat, perché Finmeccanica intera era rilevantissima. Rispetto alla ridicola situazione della Telecom, possiamo dire che, se non ci fosse stata questa bizzarra privatizzazione, non correremmo oggi il rischio che Telecom diventi degli spagnoli, con una incapacità di sviluppare la banda larga che ci ha condannato all'arretratezza in Europa.

Carlo Tognoli

Rino Formica è stato a lungo a fianco di Craxi nella sua qualità di leader del partito e anche di uomo di governo. Egli ha un'antica militanza e una grandissima esperienza. Diciamo che nelle sue scelte politiche non ha mai sbagliato a partire dal 1947, quando la sua presa di posizione fu coraggiosa e intelligente.
Nel Partito Socialista è stato a fianco di Nenni e a fianco di Craxi nella difesa della linea autonomista, in particolare è stato molto vicino a Craxi quando quest'ultimo è diventato segretario del partito. Craxi ereditò un partito rassegnato e indebolito che usciva da due scissioni, quella del 1964 e quella del 1969. Un partito che era sceso al suo minimo storico dal punto di vista elettorale del 9,6%, e su questo anche Craxi fece una fatica tremenda perché nel 1979 (tre anni dopo la sua elezione alla segreteria) i voti erano ancora fermi al 9,8%. Andarono un po' meglio le elezioni europee, dove il Partito Socialista prese più dell'11%. Tuttavia, il PSI soprattutto era un partito - lo diciamo noi che ci siamo nati nel '56-'57 - vecchio al suo interno e addirittura con la permanenza di ideologie che non appartenevano al socialismo democratico italiano.
Io ho un ricordo personale. Nella mia sezione, la sezione Manforte, che era una sezione in mano alla sinistra per il 70%, c'erano ancora dei rappresentanti che definirei persone perbene. Naturalmente buone e gentili, sostenevano che se le sinistre (il PCI e il PSI) avessero vinto alle elezioni si sarebbe dovuto cambiare un po' il sistema democratico borghese altrimenti, la volta successiva avrebbero rivinto la Democrazia Cristiana, i borghesi, eccetera. Questo accadeva nel 1957 in un'assemblea della sezione Monforte del Partito Socialista. Naturalmente erano piccole minoranze; per fortuna in quel momento stava crescendo la posizione autonomista di Nenni che avrebbe finalmente indirizzato il Partito Socialista verso approdi più realistici. Il tutto per significare che esisteva una mentalità ancora molto permeata di leninismo e di bolscevismo.
Craxi fece un grande sforzo per spogliare il Partito Socialista di questi retaggi assolutamente incompatibili con il socialismo democratico e liberale, e siccome anche Formica si è battuto a lungo per l'autonomismo socialista e per fare del Partito Socialista un Partito Socialista democratico, credo che ci possa dire qualcosa anche su questo punto.

Rino Formica

La storia di Craxi e la storia del Psi post-Midas è stata chiusa nella gabbia delle narrazioni in bianco e nero. O tutta apologia o tutta denigrazione.
E' la sorte che capita e che capiterà alle grandi personalità. Solo il tempo fa giustizia degli eccessi.
Dopo circa vent'anni dalla sua caduta si fa strada una maggiore obiettività.
Il libro di Finetti aiuta l'opera di verità per due ragioni: a) perchè spiega gli eventi con affettuoso controllo; b) perchè sposta indietro le lancette della storia politica di Craxi dal 1976 (data scelta dalla superficialità dei critici) al 1956 (data che segna la nascita a sinistra di una nuova generazione anticomunista democratica).
Finetti con questa operazione onesta cala la storia di Craxi nella storia del suo partito e del sistema politico italiano e, soprattutto costringe i critici e gli esegeti di Craxi a misurarsi anche con i loro errori e con la loro cecità.
Craxi è sicuramente un figlio del Partito.
E' cresciuto nel periodo duro del "centralismo democratico" del frontismo e del neo leninismo morandiano.
Dopo la scissione di Palazzo Barberini nel Psi scomparve la FGS. Il suo gruppo dirigente e migliaia di giovani quadri diedero vita al PSLI e nel PSI il movimento giovanile fu declassato a settore di lavoro senza autonomia organizzativa e politica.
E' così che il PSI si priva di una scuola di formazione libera e creativa e perde il collegamento con la generazione che era nata col fascismo ed era maturata nella guerra e nella resistenza.
Se tutta la vita di Partito dopo la sconfitta frontista del '48 e durante il periodo delle tenebre e della nebbia del filosovietismo dei primi anni '50, blocca ogni processo di revisionismo socialista, Craxi esplora una sua "uscita di sicurezza" con un gruppo di giovani studenti dell'Istituto Molinari orientati da un giovane "titino" già dell'Usi di Valdo Magnani, e protetti dal nenniano Guido Mazzoli, socialista critico del massimalismo velleitario e del riformismo inconcludente del cooperativismo municipale.
Craxi sa anche che per vincere la battaglia interna deve anche capire la natura e la qualità della forza che c'è dietro la fede cieca dei comunisti italiani.
Va a Praga nella centrale del Fronte della Gioventù mondiale e a Mosca. Percepisce il vuoto di libertà che il fanatismo ideologico produce.
Altra "uscita di sicurezza" Craxi la trova nella vita delle organizzazioni universitarie che avevano superato la fase del qualunquismo goliardico.
Credo che il rapporto con la goliardia e con Pannella sia stata per Craxi una esercitazione formativa di buona scuola. In quel mondo ed in quei rapporti umani venivano a confronto per scontrarsi e per mescolarsi, spregiudicatezze e regole, razionalità ed illogicità, quotidianità ed utopie.
Ma la effervescente stagione universitaria dura poco. Il limite della esperienza politica dell'Unuri è nella ristrettezza del tempo a disposizione. La scuola partito può durare una vita, la scuola politica universitaria dura poco e si svolge all'interno di una comunità popolata da credenti e da miscredenti.
La generazione del '56 è chiamata a sostenere la revisione ideologica di Nenni per liberare il partito dal neoleninismo dell'apparato morandiano, e a costruire un partito libero e democratico affrancato dal sostegno finanziario dei comunisti e restituito alla dialettica del pluralismo correntizio interno.
Le difficoltà maggiori per portare a termine questa complessa ed ardua operazione politica ed organizzativa erano costituite dal manifestarsi di due eventi reali non modificabili nel breve. Gli anni cinquanta per il Psi furono i più difficili dal dopoguerra:
Perchè la scissione di Palazzo Barberini privò il Psi di una nuova generazione di giovani intellettuali liberi e dissacratori.
Perchè l'emigrazione dei giovani quadri contadini del Sud verso il Nord consegnò il Mezzogiorno al vecchio notabilato socialista tendenzialmente orientato verso i compromessi clientelari e nel Nord andò ad alimentare il radicalismo operaio ed il ribellismo proletario.
Queste due cause strutturali non sono state studiate a sufficienza, mentre il loro approfondimento spiegherebbe molto su le ragioni dell'autonomismo minoritario nel Psi e sui rigurgiti di neoserratismo che porteranno alla scissione del PSIUP nel '64.
Craxi ed il gruppo di Milano riescono a presidiare la roccaforte di Milano dal '56 al '69.
Il '56 ed il '69 sono le due date che segnano la sconfitta delle due prospettive unitarie di Nenni: la prima data chiude la stagione unitaria del frontismo, la seconda quella della breve fase dell'unità socialista.
E' dopo la sconfitta di Nenni e di Moro del 1969 che Craxi si afferma come il leader della disperata speranza di riscatto socialista e rilancia la sfida autonomista su due fronti: competizione di governo con la DC e concorrenza diretta con il Pci nelle sue terre riservate ed esclusive: la cultura ed il sindacato.
La battaglia di Craxi è minoritaria sino al '76 quando entra in crisi definitiva la stagione dell'equilibrismo demartiniano fortemente sostenuto dal notabilato meridionale e dal governismo minore delle zone rosse.
Ma nel '76 con il Midas il Psi si trova dinanzi a due problemi che non possono essere risolti disgiuntamente. La governabilità del Paese nel pieno di un terrorismo di non sempre facile identificazione, e la riorganizzazione di una grande e rinnovata forza politica socialista.
Finetti ricorda la conferenza di Firenze del 1975 che nacque da una anticipazione politica elaborata dalle due ali autonomiste del partito: la lombardiana e la nenniana. La conferenza di Firenze fu di fatto un congresso a cielo aperto: mise a nudo i nodi politici che producevano una crisi nelle vocazioni e nell'organizzazione.
Però, quando la maggioranza del Midas si formò dopo l'ultima sconfitta elettorale, tutto era segnato. Non vi era più tempo disponibile per la riorganizzazione logistica, bisognava giocare con l'arma bianca della politica.
E così fu un successo sino a metà degli anni '80. Politique d'abord.
L'aver dimenticato che le incursioni temerarie aprono le strade agli eserciti per consolidare gli effetti della sorpresa, se gli eserciti non li hai, anche gli arditi sono destinati ad essere immolati.
Possiamo in conclusione trarre dal libro geometrico ed essenziale di Ugo Finetti una serie di considerazioni su la vita di Craxi, spesa tutta nel Partito per il rovesciamento dei rapporti di forza a sinistra con il Pci e nel governo con la Dc :
Conosceva le insufficienze delle radicalità ma dovette ricercare il consenso anche nelle radicalità.
Conosceva la debolezza del centro-sinistra ma sapeva che senza i moderati non si governa l'Italia.
Conosceva le ragioni storiche delle lacerazioni politiche a sinistra, ma pensava che le lacerazioni umane a sinistra si sarebbero ricomposte.
Quella di Craxi fu una storia politica parallela a quella di Nenni. Ma la sua fine è la scena di una tragedia greca. Forse perchè ebbe il coraggio di osare di più perchè voleva guidare la generazione del '56, quella dell'anticomunismo democratico ad una rigenerazione dell'intera sinistra italiana.
Quadro immenso, forze scarse. Molto carisma e debole esercito.
La sconfitta di Craxi fu soprattutto la sconfitta di un partito che si era ammalato molto tempo prima del Midas.

Carlo Tognoli

Ritengo erronee le valutazioni sulla politica economica della prima Repubblica che sarebbe la causa principale del dissesto attuale. Non l'ha scritto solo da D'Alema, lo ha ripetuto recentemente, tra gli altri, una nota trasmissione radiofonica della RAI, condotto da Aldo Forbice. Livio Caputo, il quale si presenta come campione della seconda Repubblica (mentre noi sappiamo che tipo di reazionario fosse), ne è il capofila.
La necessità di opporsi a simili affermazioni ci ricorda l'importanza di una pubblicazione come quella di Finetti, rilevante anche se non ha affrontato temi economici. Il suo libro ricolloca la vicenda di Craxi nel giusto alveo della storia del Partito Socialista, come sottolineano Formica, Forte e Pini: una storia che invece viene quotidianamente stravolta.
Capita spesso a ciascuno di noi di imbattersi in ricostruzione palesemente false degli avvenimenti, e non solo per quanto riguarda il craxismo. E' vero che spesso la storia si fa così, ma è una cosa che bisogna combattere, come mi ha invitato recentemente a fare anche un radicale come Mellini. Egli mi ha detto: "Vostro dovere è riscoprire pian piano la verità". Mellini ha subito un processo per una denuncia da parte di un magistrato e ne è uscito assolto.






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