E’ un buon momento per una coalizione Lib-Lab. Potrebbe essere popolare, efficace e…europea
David Goodhart, Prospect, 26 Aprile 2010,
Fino a poco tempo fa sarebbe stata fantasia, un pour parler riservato agli appassionati della politica, ma a una settimana dalle elezioni sembra trasformarsi in realtà. Mi riferisco al fatto che un elettorato indeciso, un sistema elettorale distorto e una buona performance mediatica di Nick Clegg stiano congiurando a favore di un inatteso, esaltante, risultato: la nascita di una vera e propria coalizione Lib-Lab.
L'idea ha cominciato a sfiorarmi durante la noiosa vigilia del primo dibattito televisivo tra i tre leader: un'appendice Lib-Lab a 13 anni di New Labour, un'occasione per portare a termine il discorso iniziato nel 1997 e per ridisegnare in maniera meno tribale e più ragionevole la nostra politica.
Il Labour non merita un quarto mandato, i conservatori non hanno fatto abbastanza per conquistare Downing Street e i Lib-Dem hanno incrementato i loro consensi e necessitano di un'esperienza di governo. I liberaldemocratici e i laburisti sono politicamente affini e possono mettere in cantiere le riforme economiche (incluso il risanamento del deficit) necessarie al paese e avviare il cambiamento politico (un nuovo sistema di voto, una riforma del sistema di finanziamento dei partiti e della Camera dei Lord, un maggiore "localismo").
Credo che sia il momento per una vera e propria coalizione (il ventesimo secolo ne ha viste solo tre, durante le guerre mondiali e nel 1931) e non di un semplice governo di minoranza sostenuto da un partito più piccolo (ricordo cinque casi, il più recente dei quali rimanda all'insoddisfacente patto Lib-Lab del biennio 1976-78). Una coalizione richiederebbe un accordo sulle grandi questioni di fondo, come accaduto per i sodalizi Lib-Lab in Scozia e per l'attuale coalizione Plaid Cymru-Labour in Galles, oltre alla concessione di cinque o sei ministri ai Lib-Dem con Clegg vice-primo ministro. Tutto ciò rappresenterebbe il nuovo - diversamente da un quarto mandato laburista.
Servirà del tempo per concludere un accordo e nel frattempo i mercati e i media entrerebbero in ebollizione, ma sei due partiti dimostrassero tenacia e volontà la nuova coalizione avrebbe i numeri per risultare estremamente popolare. In termini puramente elettorali finirebbe per avere molta più legittimità di qualsiasi altro governo e risponderebbe al fisiologico bisogno di novità della gente, pur mantenendo un temperato profilo socialdemocratico in linea con le preferenze della maggioranza dell'opinione pubblica nazionale.
E' un buon momento per un governo di coalizione. Nonostante le tensioni elettoralistiche, esiste oggi un alto grado di consenso politico in Gran Bretagna, ma sussistono anche delle difficoltà di breve termine che nessun partito sembra in grado di risolvere da solo. Quando un paese ha grossi problemi e un elettorato diviso su come risolverli - vedi il caso della Gran Bretagna negli anni settanta - è accettabile che un sistema di voto maggioritario ("first past the post") permetta la vittoria di un settore dell'opinione pubblica sull'altro. Tuttavia, quando il disaccordo si concentra su questioni marginali o comunque non sostanziali - come implementare il localismo mediante, per esempio, sindaci o capi della polizia eletti, o ancora grazie alla tassazione locale - la politica di coalizione si dimostra la più adeguata, con i suoi pesi e contrappesi, la sua attenzione per i dettagli e la sua maggiore rappresentatività di tutti gli interessi in gioco.
Inoltre, è un buon momento per un governo di coalizione di centro-sinistra. La crisi economica non ha necessariamente creato le condizioni per una spinta progressista nella società, ma essa ha certamente ridato vigore all'approccio keynesiano. L'elogio del risparmiatore individualista in grado di far tornare i propri conti - che David Cameron sorprendentemente ci propone - fa a pugni con l'attuale realtà di un settore privato indebolito. Invece, la collaborazione tra due uomini come Alistair Darling (attuale ministro dell'Economia) e Vince Cable (responsabile economico dei Lib-Dem) nella riduzione del deficit e nella stesura di un programma di riforma del settore finanziario rappresenterebbe sicuramente uno dei dream ticket della politica contemporanea.
Dopo gli scandali legati alle spese dei parlamentari sono state dette cose assurde sulla "crisi" della politica britannica. Ciò non toglie che il sistema debba combattere il sentimento anti-politico che si sta diffondendo nel paese e, sotto questo profilo, Labour e Lib-Dem avrebbero meno difficoltà a proporre e implementare un pacchetto di riforme rispetto a quanto potrebbero fare in partnership con i conservatori.
Inoltre, dato che la "special relationship" con gli Stati Uniti sembra diventare meno speciale e che i vincoli fiscali rendono gli impegni globali più onerosi da sostenere, è probabile che la Ue rappresenti sempre più il vero orizzonte per la politica estera di Londra, soprattutto in tema di sicurezza. Una coalizione Lib-Lab dimostrerà finalmente come l'interesse nazionale sia servito al meglio giocando un ruolo europeo di primo piano.
Se molte delle critiche recentemente rivolte al New Labour fanno riferimento alla stretta aderenza al modello americano - la guerra in Iraq e la deregulation finanziaria soprattutto - l'incontro Lib-Lab rappresenterebbe una salutare svolta verso l'Europa, dove tutti i paesi (tranne tre) sono attualmente retti da coalizioni di governo. Del resto, il Labour, con discrezione e cautela, ha avvicinato in questi anni la Gran Bretagna al Continente - grazie a una spesa pubblica considerevole rispetto al Pil, al notevole incremento degli investimenti nella sanità, ai miglioramenti nella sicurezza del lavoro, alla devolution e al Human Rights Act. Provvedimenti che si sono rivelati popolari. L'euroscetticismo (inteso come avversione alle regole troppo rigide imposte dall'Ue) può felicemente convivere con il sostegno all'evoluzione "europea" della Gran Bretagna in tema di tutele socio-economiche per i cittadini.
Non è necessario che il sostegno a una coalizione Lib-Lab faccia riferimento alla struggente retorica dell'unione delle forze "progressiste" britanniche. E' una preoccupazione meno urgente oggi rispetto all'inizio del ventesimo secolo, quando i Tory erano realmente un partito dai tratti reazionari. In ogni caso, definire oggi cosa sia il progressismo non appare facile: per esempio, i Lib-Dem si collocano alla sinistra del Labour su un certo numero di tematiche, ma per quanto tempo ci rimarranno?
E' bene ricordare che sussistono molti ostacoli alla realizzazione di quanto auspichiamo. Nick Clegg ha detto che tenterà di stringere un accordo con il partito che uscirà dal voto con il mandato popolare più solido. Difficilmente sarà il Labour. Se i laburisti, e Gordon Brown in particolare, risulteranno essere i grandi sconfitti della contesa, come potranno i liberaldemocratici aiutarli a conservare il potere? Oltretutto, rimangono distinguo in tema di libertà civili, localismo, difesa e sistema elettorale, senza contare che esistono potenti fazioni nei due partiti che si oppongono a ogni ipotesi di accordo.
Come ha dimostrato l'esperienza scozzese, perché una coalizione si formi e lavori bene, le personalità in gioco devono essere compatibili - e sembra evidente che non sia questo il caso. I Lib-Dem sono anche consapevoli del fatto che, normalmente, il partito più piccolo in una coalizione risulti penalizzato nella successiva tornata elettorale. Una considerazione che dovrebbe indurli, egoisticamente, a considerare il supporto esterno a un governo di minoranza conservatore (o laburista) come l'opzione migliore. Ma è anche forte la tentazione di porre fine alla stagione delle proposte e delle critiche dall'opposizione per inaugurare quella delle responsabilità di governo. Cosa accadrebbe dopo il 6 maggio se i Tory fossero il partito di maggioranza relativa per voti e saggi, ma laburisti e conservatori avessero congiuntamente una maggioranza parlamentare di 25 deputati e una consistenza elettorale superiore al 50% del consenso popolare? Cosa accadrebbe se Clegg non trovasse un accordo con Cameron ma ottenesse molto di quanto richiesto da una formazione laburista guidata da giovani leader, favorevoli alla politica delle coalizioni, come i fratelli Miliband? Parlo di un accordo che preveda incarichi governativi per lo stesso Clegg, il ministero della Difesa per Menzies Campbell, le Attività Produttive per Cable, la Giustizia per Chris Huhne e il Governo Locale per David Laws. E ancora, cosa accadrebbe se Brown comprendesse di essere diventato un ostacolo a una possibile alleanza di successo e si facesse da parte, nella consapevolezza di aver garantito al suo partito la continuità al governo?
Potrebbe trattarsi di un esperimento limitato a un paio d'anni - sufficienti a traghettare le finanze pubbliche fuori dalla crisi, ad approvare importanti riforme politiche e seguiti da una nuova tornata elettorale (magari con un nuovo sistema di voto, emerso da un referendum) alla fine del 2012. Questo per evitare le accuse che certa stampa popolare sicuramente rivolgerebbe a uno "sporco patto anti-democratico", orchestrato dal cinismo laburista per impedire ai Tory (forti quasi sicuramente di una maggioranza relativa) di governare il paese dopo il 6 maggio. Elezioni successive potrebbero anche produrre quella che oggi appare la seconda miglior scelta, ossia una coalizione tra Cameron e Clegg, che nel 2012 finirebbe forse per essere più attraente, più naturale, più adatta.
La realtà è che il New Labour è destinato a finire, come è iniziato, in un mare di discorsi relativi al riallineamento del sistema politico britannico. Oggi, la disperazione potrebbe indurre i laburisti ad abbracciare finalmente la politica delle coalizioni. (Traduzione a cura di Fabio Lucchini)
David Goodhart è direttore di Prospect, prestigiosa rivista britannica di cultura politica
Vedi anche:
LE SCELTE DI CLEGG
VERSO UNA COALIZIONE LIB-LAB