Da Teheran a Damasco, da Mosca ad Ankara. I timori per la nascita di un asse anti-occidentale
Critica Sociale, 25 maggio 2010,
La Russia sta utilizzando il dossier nucleare iraniano per ampliare i suoi margini di manovra a livello internazionale. In seguito alla rinuncia americana allo scudo anti-missile in Europa centro-orientale, la firma del trattato per il disarmo nucleare Start 2 e la disponibilità russa a discutere nuove sanzioni a Teheran, la politica del reset auspicata dal presidente Usa Barack Obama sembrava trovare un riscontro fattuale. Tuttavia, nelle ultime settimane il Cremlino ha cambiato nuovamente orientamento e pare intenzionato a riavvicinarsi all'Iran.
Lo scorso 21 maggio l'agenzia Reuters ha ripreso le dichiarazioni di Mikhail Margelov, a capo della Commissione Affari esteri del Consiglio federale russo, secondo cui le sanzioni contro l'Iran discusse dalle potenze internazionali non fermeranno la consegna di alcuni missili terra-aria di produzione russa a Teheran. E questo a prescindere dalle richieste avanzate da Israele e dagli Usa, che avevano invitato Mosca a non rispettare il contratto di consegna relativo ai sistemi missilistici anti-aerei S-300 a Teheran. "La bozza (sulle sanzioni) non influenzerà gli attuali contratti tra la Russia e l'Iran", ha ribadito Margelov, spiazzando quei diplomatici delle Nazioni Unite che speravano che le sanzioni in discussione bloccassero la vendita dei missili S-300. Il giorno successivo il New York Times confermava la notizia, annunciando inoltre la fine delle sanzioni americane contro l'agenzia russa per l'esportazioni di armi. Insomma, il via libera russo a nuove sanzioni contro l'Iran non e' stato indolore per gli Stati Uniti. Appare peraltro evidente la pericolosità di simili concessioni. Come sarà possibile per l'Onu sanzionare con efficacia l'Iran se uno dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza potrà considerarsi libero di continuare a rifornire di armamenti Teheran? Senza contare che la compattezza della comunità internazionale ha dovuto recentemente registrare un preoccupante passaggio a vuoto in seguito alle dichiarazioni di Catherine Ashton, responsabile della politica estera dell'Ue. La Ashton, sorprendentemente, ha teso la mano all'Iran, proprio mentre gli Stati Uniti, i partner occidentali, la Russia e la Cina si apprestano a varare le nuove sanzioni, sulla cui portata ed efficacia è lecito a questo punto nutrire qualche dubbio. “Ci sono stati segnali di una tale disponibilità e come Ue siamo pronti a incontrare i dirigenti iraniani per discutere delle preoccupazioni internazionali sul programma nucleare di Teheran”, ha dichiarato.
La settimana appena conclusa, che rischia di affossare ogni possibilità di contenere diplomaticamente l'escalation nucleare iraniana, era iniziata con l'annuncio, il 17 maggio scorso, di un'intesa trilaterale Iran-Brasile-Turchia. Il punto centrale dell'intesa consiste nel trasferimento da parte dell'Iran di 1.200 chili di uranio a basso arricchimento ad Ankara entro un mese per vederselo restituito come combustibile nucleare entro un anno. Sia il presidente brasiliano Ignacio Lula da Silva che il premier turco Recep Tayyp Erdogan parlano ora di vittoria della diplomazia e sottolineano come non vi siano più le basi per una nuova tornata di sanzioni dell'Onu.
In effetti, l'intesa ripropone i termini dell'accordo discusso nell'ottobre dello scorso anno tra l'Iran e le nazioni del 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania). Secondo quella bozza di accordo, che l'Iran sottoscrisse in linea di principio salvo poi respingere, Teheran avrebbe dovuto consegnare 1.200 chili di uranio a basso arricchimento a Russia e Francia, che, dopo un processo di lavorazione, lo avrebbero a loro volta riconsegnato entro un anno sotto forma di combustibile da utilizzare nel reattore Tehran Research. Apparentemente due accordi simili, ma la variabile tempo ha un suo peso, sostengono alcuni esperti americani citati da Maseh Zarif in un suo contributo per l'American Enterprise Institute. Secondo il resoconto, 1.200 chili di uranio a basso arricchimento rappresentavano i tre quarti del totale in possesso dell'Iran nel mese di ottobre 2009, quando era stato ipotizzato il primo accordo. La proposta autunnale mirava a limitare la breakout capability necessaria all'Iran per produrre un'arma nucleare. Gli esperti definiscono breakout capability il quantitativo di uranio a basso arricchimento (circa 700-800 chilogrammi) necessario per produrre il combustibile nucleare per una singola testata. Da ottobre le cose sono cambiate: gli iraniani hanno continuato ad arricchire uranio presso la centrale di Natanz, dichiarando all'Agenzia internazionale per l'energia atomica di aver prodotto 2.065 chilogrammi di uranio a basso arricchimento alla data del 29 gennaio 2010. E' facile ipotizzare che da allora l'Iran abbia ammassato ulteriore materiale sensibile ed è quindi evidente che la rimozione di 1.2000 chilogrammi di uranio a basso arricchimento non sia comunque sufficiente a scalfire la breakout capability di Teheran.
Di conseguenza l'accordo strappato da Ankara e Brasilia, lungi dal sopire le preoccupazioni americane e soprattuto israeliane, finirà presumibilmente per acuire le divisioni che stanno riemergendo in sede Onu rispetto alle sanzioni all'Iran. E alcuni analisti si spingono persino oltre.
Joel Sprayregen dalle colonne della rivista American Thinker, paventa il rischio del consolidamento di un asse anti-occidentale. Un sodalizio che comprenderebbe non solo Stati come Iran e Siria e organizzazioni come Hamas, ma potrebbe anche contare sulla collaborazione russa e turca. Di particolare interesse l'analisi della metamorfosi della Turchia, il cui ruolo geopolitico nel secondo dopoguerra è stato essenziale sia per la sua posizione geografica al confine tra Europa e Medio Oriente, sia per il suo formidabile esercito (il secondo più consistente tra i membri della Nato), sia per la sua funzione di caposaldo meridionale dell'alleanza atlantica, prima in versione anti-sovietica e poi (fino al 2004) anti-irachena. L'avvento del governo islamista di Erdogan, secondo Sprayregen, avrebbe cambiato tutto, connotando la politica estera turca in senso anti-occidentale. Da qui l'avvicinamento a Iran e Siria e l'accondiscendenza verso organizzazioni politico-terroristiche come Hamas ed Hezbollah. Una svolta che ha inevitabilmente allentato la tradizionale alleanza turco-israeliana, che durante la Guerra Fredda ha unito le due potenze militari democratiche del Medio Oriente. Il pericolo per l'Occidente è che la Turchia come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unitie si impegni per creare un cuneo tra le nazioni del 5+1 e offra la sponda a Russia e Cina per addolcire le sanzioni all'Iran. L'accordo trilaterale con Teheran e Brasilia potrebbe avere un simile effetto, considerando la convergenza strategica in atto tra Ankara e il Cremlino.
Nel corso di un recente visita di Stato in Turchia, Medvedev ha proclamato la nascita di una partnership strategica su larga scala tra i due paesi. E' innegabile che una convergenza russo-turca dal Baltico al Mar Nero possa risultare problematica per gli Stati Uniti, in termini strategici ed economici. Se risulta bizzarro il fatto che un membro della Nato stabilisca una partnership strategica con la Russia, ancora più inquietanti appaiono gli ammiccamenti turchi a Teheran e le esercitazioni congiunte con la Siria. Purtroppo, conclude Sprayregen, il governo americano non sembra dare il giusto peso a quanto avviene, a differenza del Cremlino che osserva con interesse le dinamiche in atto che potrebbero risolversi a suo vantaggio. Riprendono così vigore quelle analisi che, dopo la fine dell'Era Bush e l'avvento di Obama alla Casa Bianca, parevano ormai screditate e relegate alla dimensione della fanta-politica e che denunciano la nascita di un ampio schieramento ostile agli interessi dell'Occidente e dei cosiddetti paesi arabi moderati. Un sodalizio composto da attori statali (Iran, Siria e Turchia) e non statali (Hamas ed Hezbollah) e che trova nella Russia un punto di riferimento politico, economico e tecnologico. (Fabio Lucchini)