Giorgio Gangi, Critica Sociale, 2 giugno 2010,
I particolari emersi dopo le prime ore dalla notizia dell'intercettazione israeliana del convoglio di navi dirette a Gaza e dei morti, sono importanti per cominciare a comprendere i fatti accaduti.
Sulla nave è stato ritrovato un personaggio già conosciuto, monsignor Cappucci: un fiancheggiatore del terrorismo già condannato tanti anni fa da un tribunale israeliano perché sulla sua auto - una mercedes - vennero trovate delle armi, ma che venne poi liberato su intercessione del Vaticano.
La nave Mavi Marmara portava due gruppi distinti di persone: il gruppo più numeroso era composto da turchi, più di quattrocento persone di cittadinanza turca, affiliati all' "Ihh", una organizzazione già messa sotto inchiesta in Turchia nel 1997 perché accusata di avere rapporti con la Jihad internazionale e nei cui uffici la polizia sequestrò numerose armi. Verso la Ihh il governo turco di allora prese dei provvedimenti. Oggi l'Ong mantiene non solo rapporti con Hamas, tramite il suo leader a Damasco, Khaled Meshal, ma persino - si sospetta - con Al Qaeda. Questa organizzazione era lo sponsor della "missione umanitaria" e della Freedom Flottilla. L'altro gruppo era composto da occidentali, 150 pacifisti vari, volti noti, sempre gli stessi. Si sapeva da giorni che il governo israeliano avrebbe reagito per impedire alla spedizione di violare il blocco di Gaza, che serve per controllare e bloccare il traffico di armi usate da Hamas nella Striscia per attaccare la sicurezza di Israele. Al momento dell'ispezione a bordo, la pattuglia dell' esercito israeliano, come ormai è noto a tutti, è stata accolta da gente armata. Si trattava dunque di una reazione annunciata, di un divieto noto, e di una azione di sorveglianza, che spetta all'esercito nelle acque internazionali dove la polizia non può intervenire, per accertare se nelle navi dirette a Gaza ci siano o meno armamenti. Non nel passato remoto, ma in questi mesi sono state bloccate molte navi cariche di rifornimenti militari, missili compresi, per Hamas.
Le cose, dunque, cominciano a chiarirsi e non è un caso se l'ordine del giorno del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che solitamente non è mai tenero verso gli israeliani, non abbia condannato Israele ma "i fatti accaduti". Non c'è stata una condanna internazionale di Israele, come ha chiesto la Turchia.
Questo per quanto riguarda la dinamica degli avvenimenti, così come comincia a delinearsi.
Per una valutazione politica della situazione, le idee mi sembrano chiare.
Da dove viene la provocazione (perché di una provocazione si è trattato)?
Proviene dalla Turchia, per ragioni di politica interna e di politica estera.
I motivi di politica interna sono dovuti al fatto che, seppur con una maggioranza relativa, (un conto è il Parlamento e altro conto sono i suffragi), con il trenta-trentacinque per cento degli elettori turchi, ovvero con la minoranza assoluta, c'è stata una svolta islamista che ha oggi la maggioranza parlamentare ed il governo del Paese: una situazione che per la prima volta si verifica in Turchia. L'evento e la reazione politica del governo turco sembrano tesi a rafforzare la posizione islamista interna. Ma questi sono fatti loro.
Poi ci sono motivi di politica estera. La Turchia farà fatica ad entrare in Europa per l'opposizione della Francia e della Germania, che qualcosa contano nell'Unione europea. E da un po' di tempo si può osservare un progressivo avvicinamento della Turchia all'Iran e alla Siria nella speranza, molto vaga a mio parere, di acquisire un ruolo ed un'influenza sull'Asia caucaso-turcomanna, un'area formalmente indipendente, ma dove è in corso -come è noto - un confronto tra Occidente e Russia per il controllo politico della zona, in realtà già sotto influenza russa. I Turchi sperano di riuscire ad avere una qualche influenza nell'area, perché l'origine culturale di quelle popolazioni è Ottomana e proviene, così come l'identità nazionale turca, dall'Asia centrale.
La Turchia sta pensando seriamente di uscire dalla NATO e di diventare una potenza regionale e in Medio Oriente. I Turchi non sopportano gli Arabi per ragioni storiche e non hanno avuto difficoltà a stringere un'alleanza strategica con Israele. Ma oggi se la stracciano, non è certo a causa dell'episodio del convoglio, dei morti o di Gaza (che è stata sgomberata da Israele con un forza militare imparagonabile a quanto accaduto sulla nave) ormai due anni fa e senza nessuna opposizione né critica da parte della Turchia. L'episodio per quanto tragico, perché ci sono pur sempre dei morti, accaduto sulla nave turca, non è il vero motivo di una rottura dell'alleanza storica con Israele.
La politica estera turca va analizzata alla luce della fine dell'impero sovietico e dei nuovi spazi regionali che la Turchia ritiene che le si aprano nell'area. Non bisogna dimenticare, infatti, che Russia e Turchia sono sempre stati nemici "storici", addirittura dalla guerra di Crimea, e poi nella prima guerra mondiale. I Turchi hanno sempre avuto timore dei Russi: il genocidio degli armeni avviene perché sospettati ingiustamente di essere una quinta colonna russa nel Paese.
La provocazione verso Israele è quindi un episodio che si inserisce nello spostamento in atto nella politica estera della Turchia che intende divenire potenza regionale nella medesima area dove insistono Iran e Siria.
In questo cambiamento di scenario ai nostri confini europei, l' Europa è quel che è, c'è chi tira di qua, e chi tira di là. L'Europa è, come si suol dire, "irrilevante", paralizzata dalle sue divisioni.
Si dice ora che quanto accaduto danneggia il processo di pace. Credo che invece non danneggi nulla, perché il processo di pace semplicemente non esiste, questa è la verità. Il processo di pace cosiddetto può andare avanti, così è stato stabilito, solo a condizione che le trattative siano "indirette". Naturalmente Israele ci sta, non vuole scontentare Obama. Ma le vere trattative di pace si fanno guardandosi negli occhi direttamente, "trattative di pace indirette" è un controsenso per principio.
La verità è un'altra e si trova nel campo palestinese.
Primo: la Striscia di Gaza è controllata da Hamas che tra l'Autorità Nazionale Palestinese e Israele è oggi un terzo interlocutore che non fa mistero di essere legato all'Iran, alla Siria e agli Hezbollah, e che al massimo propone una tregua, ma mai una pace.
Secondo: l'ANP controlla (si fa per dire) la Cisgiordania, ma teme le elezioni, tant'è che sono state rinviate perché, secondo gli osservatori, rischierebbero di mettere in minoranza addirittura il governo di Abu Mazen. Quindi ci troviamo di fronte a una situazione di paralisi sostanziale, dove Israele non può farsi accusare di rifiutare di stare alle trattative, "dirette" o "indirette" che siano. Ma non c'è in realtà nessun processo di pace in corso. Hamas è già virtualmente in maggioranza nei territori palestinesi. E discutere con Hamas è come discutere con l'Iran che vuole la cancellazione di Israele.
Naturalmente si può fare tutto. E in proposito veniamo agli Stati Uniti.
Gli USA sono in una posizione curiosa. Non credo che si arriverà a una rottura dei rapporti con lo Stato di Israele, un'ipotesi contro cui optano la storia, la cultura democratica, ecc. Ma contro cui opta soprattutto il Congresso americano, sia nella sua parte democratica che repubblicana.
Nancy Pelosi, lo speaker del Congresso, ha detto apertamente a Netanyahu di stare tranquillo per quanto si riferisce al Congresso: esso è schierato, sia democratici che repubblicani, in netto appoggio allo Stato di Israele. Su questo punto il Presidente Obama rischia di trovarsi isolato con una politica della "mano tesa" ai nemici di Israele che non sembra aver portato alcun risultato, né sembra portarlo in prospettiva.
Dall'altro canto, contrariamente a quello che scrive Lucia Annunziata sulla Stampa, quello di Netanyahu non è un governo di estrema destra, ma di "unità nazionale" con la presenza dei socialisti, oltretutto alla Difesa dove semmai un appunto tecnico debba essere rivolto per quanto è accaduto, va in capo appunto al suo ministro socialista, Barak.
Persino Kadima, che è all'opposizione, ha sostenuto il governo, in questa circostanza.
Dunque non ci sono spazi politici per una reale complicazione, tanto meno per una rottura, dei rapporti con lo stato di Israele.
In questo quadro dei rapporti politici tra USA e Israele, la politica di Obama della "mano tesa" all'Iran si espone con più evidenza la sua mancanza di successi.
Prevedo dunque che l'episodio della nave non allontani, né avvicini il "processo di pace", perché un "processo di pace in forma indiretta" mi sembra quantomeno bizzarro. Il presidente Obama non ottiene successi con la "mano tesa" poiché essa è respinta sdegnosamente dall'Iran che continua con la sua politica di riarmo.
Dunque la sostanza non cambia: gli equilibri in Medio Oriente stanno modificandosi, ma restano ancorati ad un equilibrio militare che resta immutato, per ora. E, in proposito, come ha detto Netanyahu, "il mondo è pieno di Paesi importanti". Prima di tutto l'India, che è la maggiore potenza anti-islamista del mondo. E poi Israele ha un rapporto speciale con la Russia che ha sì una politica di competizione con l'occidente, ma non dimentica mai di avere circa un milione di cittadini russi che vivono in Israele, la componente più numerosa, e quindi mantiene un rapporto speciale, non di alleanza ma di comprensione: un esempio è la vicenda di quel naviglio russo che trasportava armi, missili, verso Gaza, poi scomparso e ritrovato a Capo Verde con 39 morti, a cui nessuno ha fatto caso. Netanyahu si precipitò a Mosca e la cosa è finita lì.
La sostanza non cambia in Medio oriente e non si possono cambiare gli equilibri militari consentendo all'Iran l'arma atomica. La situazione creatasi all'Onu con le sanzioni da un lato e l'accordo tra Iran Turchia e Brasile dall'altro, se non vi si pone rimedio, rischia di portare alla guerra. Non credo che Israele possa accettare una politica occidentale che consenta all'Iran di avere la bomba atomica per poi gestire la nuova situazione all'interno degli accordi internazionali di controllo e disarmo, fidando così che non la usi.
Per trent'anni l'equilibrio atomico in Medio oriente ha consentito a Israele di avere dalle 100 alle 400 testate e nessuno ha mai avuto niente da ridire, nemmeno i paesi arabi. Ma se l'Iran avesse l'atomica, un minuto dopo la vorrebbero l'Arabia Saudita, l'Egitto e la Turchia, perché l'atomica nelle mani di un paese sciita spezzerebbe l'equilibrio, prima che ai danni di Israele, a danni dei maggiori Stati arabi.
Penso che Israele terrà i nervi a posto, ma se la comunità internazionale non farà nulla, allora credo che non vorrà correre il rischio di essere cancellato da tre bombe atomiche. Basta prendere una cartina geografica per capire che con tre bombe ben indirizzate (una a Tel Aviv, una a Gerusalemme e una ad Haifa) tre quarti della popolazione verrebbe annientata. Sarebbe un secondo Olocausto.
Salvo Israele, il Medio Oriente è già un'area denuclearizzata. L'attuale equilibrio, quindi, per quanto tormentato, è pur sempre un equilibrio. Se venisse spezzato dall'Iran occorrerà fare i conti con le conseguenze necessarie al diritto alla sopravvivenza di un Paese con qualche milione di abitanti, circondato da centinaia di milioni di musulmani.
Ci sono già i precedenti dell'Iraq (1980) e poi della Siria, recentemente, che voleva dotarsi di armi atomiche, ma c'è stato un bombardamento israeliano, su cui è calata una coltre di silenzio.
Se si consentirà all'Iran di dotarsi di armi atomiche, credo che Israele farà quel che sarà costretto a fare con l'accordo sotterraneo della altre potenze regionali, che non si vede come possano, altrimenti, non rivendicare di avere anch'esse armi atomiche.