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I SEQUESTRI DELLA CRITICA SOCIALE

La lotta per la libertŕ di pensiero e di stampa in Italia dal 1891 al 1901

Data: 2011-01-17

di Enrico Bassi

La storia della Critica Sociale ha degli aspetti ancora poco noti o addirittura sconosciuti, che meritano di essere messi nella dovuta luce, perché hanno un valore morale e una importanza politica di primo ordine, così da costituire un interessante capitolo della storia politica e costituzionale dell'Italia. Uno degli aspetti, che io ritengo degno di essere portato a conoscenza dei lettori della rivista, e sul quale, almeno per quanto mi consta, non si sono ancora soffermati gli studiosi della rivista ed i suoi storici, riguarda i sequestri subiti dalla Critica Sociale, sia nel periodo pre-fascista, sia nel periodo fascista, e precisamente sino al momento in cui la rivista venne, nell'ottobre 1926, soppressa dal Governo fascista. Nel periodo prefascista la Critica Sociale ebbe a subire sequestri nel corso del decennio 1891-1901 e la censura preventiva nel periodo 1915-1919, che è il periodo che comprende gli anni della partecipazione dell'Italia alla prima guerra mondiale e di quell'immediato dopoguerra.
Ora, in ciascuno dei tre periodi considerati, 1891-1901, 1915-1919 e 1922-1926, si osserva la stessa tendenza nel potere esecutivo e nei suoi organi periferici, a sovrapporsi alla costituzione, limitando o sopprimendo arbitrariamente la libertà di pensiero, di stampa e di riunione. Per cui la storia dei sequestri della Critica Sociale rappresenta un po' la storia della lotta combattuta in Italia, contro gli abusi e i soprusi del potere esecutivo, in difesa della libertà di pensiero, di stampa e della stessa Costituzione.
Pertanto essa potrà contribuire a chiarire anche certi aspetti tuttora oscuri delle origini del fascismo in Italia, che sono strettamente legati all'organizzazione di uno Stato burocratico centralizzatore, privo di quel pluralismo delle fonti di potere, garanzia della costituzione e dei diritti dei cittadini, contro gli abusi e i soprusi del potere esecutivo, giacché, questo, anche in regime parlamentare, come dimostra la stessa storia italiana dall'unità nazionale in poi, è portato, quando non è soggetto ad alcun controllo e freno, a sostituire la sua volontà a quella popolare. Tuttavia va rilevato che, in ciascuno dei tre periodi considerati, i sequestri della Critica Sociale vengono eseguiti non con criteri uniformi, ma in forme diverse e con diverse conseguenze per la rivista e soprattutto per la raccolta della medesima, alla cui storia anche il presente articolo vuole essere un contributo. Infatti, per esempio, nel decennio 1891-1901, nonostante la proclamazione nel 1894 dello stato d'assedio in Sicilia e in Lunigiana, la promulgazione di leggi eccezionali contro i socialisti e gli anarchici, la istituzione del domicilio coatto e di tribunali militari per civili, la proibizione dei congressi operai e socialisti, lo scioglimento del Partito Socialista, dei circoli socialisti, delle leghe di resistenza e delle Camere del Lavoro, le repressioni militari per i fatti di Milano del maggio 1898, che obbligarono ad una “forzata sospensione”, dal maggio 1898 al giugno 1899, della Critica Sociale, per l'arresto e la condanna a 12 anni di carcere di Filippo Turati, i sequestri della rivistaavvenivano in modo diverso da quello che verrà più tardi praticato dal fascismo.
Essi infatti venivano ordinati dopo che la rivista era stata stampatae per lo più anche spedita agli abbonati, giacchè l'articolo 7 dell'editto sulla stampa stabiliva che “l'obbligo di presentare all'autorità giudiziaria, per ogni numero, la copia firmata dal gerente responsabile, non può in alcun modo sospendere o ritardare la spedizione o distribuzione del giornale”. Per cui i sequestri venivano eseguiti, non preventivamente presso la tipografia dove si stampava la rivista, come farà poi il fascismo, ma presso l'ufficio di spedizione delle poste, dove però, per le ragioni anzidette, non sempre erano ancora reperibili i fascicoli della rivista, perchè già partiti per la loro destinazione. Tuttavia nella rivista si leggono, come nel numero 12 del 16 giugno 1894, note che avvertono i lettori che non avevano ricevuto l'ultimo numero, che ciò era dipeso dal fatto “che esso ci fu sequestrato nelle poste dall'autorità giudiziaria”. Talvolta, invece, il sequestro avveniva in una sola determinata città, dove quell'autorità, o per ordini ricevuti dal centro o di propria iniziativa, riteneva che la diffusione della rivista potesse, in quel momento, per ragioni locali, eccitare l'opinione pubblica e fomentare disordini.Questa procedura nell'eseguire i sequestri, che era del resto quellaprescritta dall'editto sulla stampa, può spiegare perchè le raccolte private e pubbliche della rivista, in quel decennio, almeno per quanto ho potuto constatare, siano ugualmente complete, nonostante i sequestri. Per cui se i sequestri procuravano un notevole danno economico alla rivista, perchè essa doveva provvedere ad un supplemento di tiratura o spedire duplicati, il sistema con il quale essi venivano eseguiti nonimpediva agli abbonati, che lo desideravano, di riceverne, direttamente o indirettamente, tutti i numeri, in modo da averne completa la raccolta.
Se per i sequestri della Critica Sociale, ritenuta una rivista scientifica, riservata agli iniziati e quindi di non larga diffusione tra il popolo, l'autorità giudiziaria sì atteneva alle norme fissate nell'editto sulla stampa, non così invece la stessa autorità si comportava verso tutta l'altra stampa quotidiana o settimanale di sinistra, che veniva non solo censurata e sequestrata, ma addirittura soppressa. Così infatti denunciava Filippo Turati nel numero 3 del 1° febbraio 1894 della Critica Sociale, commentando il primo sequestro della rivista, quello cioè del numero 2 del 16 gennaio 1894, che aveva pubblicato una lettera di Zolfanello diretta al Cav. Crispi su “Lo stato d'assedio” in Sicilia: numero che conteneva anche un vigoroso e coraggioso articolo di Filippo Turati, “La Sicilia insorta”, dove il Turati, con una intuizione, che precorse di alcuni decenni i più recenti studi sulla Sicilia e la questione meridionale,affermava che “quella che si chiama la questione siciliana non è se non la questione italiana”.
Questa acuta osservazione Filippo Turati la riprendeva e la sviluppava, dopo la sua elezione a deputato, avvenuta il 15 giugno 1896, nel suo primo intervento alla Camera dei Deputati, il 10 luglio 1896, con il memorabile discorso “Date la libertà alla Sicilia”, il cui testo integrale venne pubblicato nel numero del 25 26 luglio 1896 della Lotta di Classe di Milano, organo settimanale del Partito Socialista. Dopo il sequestro del predetto numero 2 del 16 gennaio 1894, l'autorità inasprì la vigilanza e le persecuzioni anche contro la Critica Sociale.
Nella Critica Sociale del 1 giugno 1894 il Turati pubblicò, con il titolo “Consummatum est!”, il commento alla sentenza del Tribunale Militare di Palermo, che profuse decine di anni di carcere, per i moti siciliani, a fulgide figure di apostoli. Ma tale commento, in cui il Turati non solo definiva la sentenza “lugubre” e “scritta prima del processo”, ma esprimeva il “grido di dolore e l'indignazione di tutti gli animi onesti”, provocò un nuovo sequestro della Critica Sociale e la sua denuncia all'autorità giudiziaria, che poi la condannò.
In una lettera del 19 febbraio 1892 di Filippo Turati a Napoleone Colajanni, pubblicata a pag. 231 del volume “Democrazia e Socialismo in Italia, Carteggi di Napoleone Colajanni: 18781899”, a cura di Salvatore Massimo Ganci, edito a Milano dal Feltrinelli nel 1959, si legge: “Giorni fa si iniziò il processo per quell'innocuo articolo In difesa dell'onore dei briganti del n. 17 di Critica Sociale non sequestrato”. Di questo processo, che non fu preceduto dal sequestro della rivista, come avvenne peril commento alla sentenza di Palermo, “Consummatum est!”, non è data notizia nella Critica Sociale, cosa che invece il Turati fece poi in seguito per tutti i sequestri e per tutti i processi, come si rileva da questo mio articolo. Per cui il processo per l'articolo “Consummatum est!” non è stato il primo che ebbe a subire la Critica Sociale, come si poteva ritenere sfogliando la rivista, ma il secondo.
Il Turati, nel suo articolo “In difesa dell'onore dei briganti (echiafricani dell'ultima ora)”, pubblicato a pag. 272 del n. 17 del 30 novembre 1891 della Critica Sociale, richiamandosi a scritti di Gustavo Chiesiapparsi nell'Italia del Popolo, che paragonava i recenti macelli africani a «certe scene di brigantaggio nella Sila», e di Napoleone Colajanni, che a proposito della politica coloniale militare parlava di «brigantaggio collettivo», dichiarava che sentiva «il dovere di coscienza di prendere le difese dell'onore relativo dei briganti», che non erano da confondere «coi semplici ladri per cupidigia e cogli assassini per brutale malvagità», poiché, faceva osservare il Turati, la loro azione era da considerarsi «un fatto di lotta per l'esistenza e una reazione, feroce fin che si vuole, ma ben naturale e fino ad un certo segno giustificabile, alla invasione della tirannide borghese in ambienti tuttora moralmente impreparati».
Queste considerazioni del Turati dimostrano con quanta acutezzaegli seguiva e giudicava gli avvenimenti e, nel caso particolare del fenomeno del brigantaggio, come egli faceva giustamente osservare, che esso aveva radici di natura sociale e più profonde di quelle che ritene vano coloro che nell'esaminare il fenomeno non andavano oltre, scriveva il Turati, «all'epidermide».
Ma la Sicilia doveva essere ancora argomento di sequestro. Infatti ilnumero 20 del 16 ottobre 1894 della Critica Sociale venne sequestrato per «le poche parole» che Filippo Turati aveva premesso alla riproduzione di un brano del rinomato volume di Napoleone Colajanni, «Gli avvenimenti in Sicilia e le loro cause», al quale il Turati aveva dato il titolo «I Linciaggi Siciliani», come rendeva noto lo stesso Turati nel successivo numero del 1° novembre 1894 della rivista, nell'articolo: «Ancoraun sequestro».
Non solo la Critica Sociale veniva fatta oggetto di frequenti sequestri, ma nel frattempo si cominciò a sequestrare anche gli opuscoli editi dalla Critica Sociale, riproducenti articoli o saggi già apparsi liberamente nella rivista senza riserve da parte dell'autorità, come «I Sobillatori» di Filippo Turati e il «Sorgete» di Giuseppe Oggero, edito a Torino, che la Critica Sociale aveva in deposito per la vendita ai suoi abbonati. I sequestri di questi due opuscoli avevano avuto un precedente nel gennaio 1892, con il sequestro della seconda edizione, eseguita pergli abbonati della Critica Sociale, dell'opuscolo di Filippo Turati «Il dovere della resistenza», la cui prima edizione, pubblicata anonima nel 1891, come Prefazione allo Statuto della Lega di Resistenza dei Metallurgici di Milano, era stata invece lasciata circolare liberamente. «Fra la prima e la seconda edizione — scriveva Turati nella Critica Sociale del 1" febbraio 1892, in un articolo «Il sequestro di un opuscolo» — v'era questa sola differenza: che la prima, essendo annessa allo Statutodella Lega, e dovendo quindi serbare carattere impersonale, era rimasta anonima. La seconda, riservata agli abbonati della Critica Sociale,aveva in fronte il nome dell'autore».Nella stessa lettera del 19 febbraio 1892 (2), il Turati informa il Colajanni: «Oggi mi sequestrano l'opuscolo che ti mando». Si tratta dell'opuscolo «Il dovere della resistenza», scrive il Ganci, nella nota n. 127 posta in calce alla stessa lettera : opuscolo, delle cui vicende ho dato dettagliate notizie nel testo del presente articolo. Qui desidero solo precisare che non è esatto quanto scrive il Ganci nella sua nota, e cioè che“Il dovere della resistenza” fosse “estratto dalla Critica Sociale del 2 gennaio 1892”. Nella Critica Sociale n. 2 del 16 gennaio 1892, a pag. 31, l'opuscolo “Il dovere della resistenza” appare annunciato per la prima volta nella rubrica “Opuscoli di propaganda” in vendita presso gli uffici di Critica Sociale, e a pag. 32, dello stesso n. 2, si informano i lettori della rivista che “si è pubblicato: Filippo Turati, "Il dovere della residenza"”, aggiungendovi alcune righe di presentazione che ricordano, cosa che fa anche il Ganci, come esso fosse stato scritto per servire di prefazione allo “Statuto della lega di resistenza fra gli operai metallurgici ed affini di Milano, votato nell'assemblea del 7 novembre 1891”.
Ma, eccettuati questi annunci, del testo dell'opuscolo “Il dovere della resistenza”, la Critica Sociale non ebbe mai a pubblicare alcuna pagina, al contrario di quanto essa faceva per gli altri opuscoli di sua edizione, che, in genere, uscivano prima nella rivista e poi in opuscolo.L'opuscolo “Il dovere della resistenza” ebbe numerose edizioni e adognuna di esse il Turati aggiungeva delle note, nelle quali dava notizia dei progressi o dei regressi nel frattempo registrati dalla lega, accennando anche alle conquiste, concordate con i rappresentanti degli stabilimenti principali, come la costituzione di una “Commissione arbitramentale, di gran lunga più vantaggiosa agli operai, scriveva il Turati, che non sia quella nascente dalla legge sui probiviri”. Alcuni capitoli de “Il dovere della resistenza”, quelli compresi fra pag. 15 e pag. 21 delle edizioni della Critica Sociale, furono ripubblicati in opuscolo a parte, con il titolo “La potenza dei sindacati”, insieme alla traduzione italiana di uno scritto di Georges Renard, “I sindacati e il socialismo”.Al sequestro dell'opuscolo “Il dovere della resistenza”, che tantocontribuì alla formazione del moderno movimento sindacale italiano e della coscienza dei suoi organizzatori, sempre nel 1892, aveva fatto seguito anche quello dell'Inno dei Lavoratori. Il che, si noti, avveniva dopo sette o otto anni dalla sua prima edizione, anni nel corso dei quali l'Inno aveva avuto infinite ristampe, in tutte le parti d'Italia, senza che nessuna autorità avesse mai pensato al suo sequestro, come faceva presente Filippo Turati nella Critica Sociale del 16 maggio 1892, in un articolo “Mezzo milione di reati ad istigazione di un uomo solo”.
Il Turati faceva seguire ad ogni sequestro, la cui notizia egli fornivaregolarmente ai lettori della rivista, note e commenti che rimangono modelli di satira politica e di critica giuridica. Esempi di queste note sono i due articoli or ora citati, “Il sequestro di un opuscolo” e “Mezzo milione di reati ad istigazione di un uomo solo”, come pure i successivi trafiletti, “Sobillatori sequestrati e Sobillatori in trionfo”, dove il Turati fa un parallelo tra il sequestro dell'opuscolo “I Sobillatori” e l'assoluzione del “Pio Tanlongo” e “Condannati”, che è il commento che il Turati scrisse alla sentenza che lo condannava per la nota alla sentenza di Palermo, “Consummatum est!”. Questi due trafiletti sono pubblicati nella Critica Sociale del 1° agosto e del 16 settembre 1894.
Il Turati, in queste sue bellissime note, metteva in evidenza come ilpotere esecutivo procedesse arbitrariamente contro la stampa socialista e come la magistratura condannasse, il più delle volte, senza specificare il titolo dell'imputazione. Cosa che accadde allo stesso Turati. Infatti, nel corso del processo a Milano per l'opuscolo “I Sobillatori”, il Turati, nonostante le sue insistenze, non riuscì a farsi spiegare dai giudici il titolo della imputazione, in base alla quale lo si voleva condannare, come di fatto lo si condannò, a tre mesi e a cinquanta lire di multa, con la semplice motivazione di “apologia di reato”.
Di fronte a questi sistemi sbrigativi e arbitrari di una magistraturache condannava senza specificare il titolo della imputazione, la Lotta di Classe, il giornale del Partito Socialista, nel suo n. 45 del 1011 novembre 1894, commentando la sentenza di condanna del Turati, la definì, ironicamente, “Progressi della giurisprudenza”. E il Turati, all'indomani della sentenza, in una lettera all'Italia del Popolo di Dario Papa, che poi riprodusse nella Critica Sociale del 16 novembre 1894, premettendovi il titolo “Logogrifo”, ripeteva la domanda già rivolta ai giudici, cioè di aver il diritto di conoscere il titolo della imputazione, in base alla quale lo si era condannato. Ma la risposta non arrivò e tanto meno arrivò da parte del Governo, al quale la domanda era rivolta, perchè era esso il vero responsabile di questi sistemi, di cui si faceva però complice la magistratura.Ma il “Logogrifo” doveva avere la sua spiegazione e questa fu rintracciata nel fascicolo del procedimento penale, promosso a Torino, contro Giuseppe Oggero, autore dell'opuscolo “Sorgete”, sequestrato, come ho ricordato in precedenza, quasi contemporaneamente a “I Sibillatori” del Turati, che conteneva una lettera, veramente rivelatrice, dovuta al Procuratore del Re di Ivrea, Frola, il cui testo integrale il Turati pubblicò nella Critica Sociale del 1° dicembre 1894, facendola precedere daltitolo: “La soluzione del Logogrifo”. Infatti il Frola, rivolgendosi al suo collega di Torino, gli chiedeva notizie di “tal Oggero Giuseppe statovi testè citato per imputazione di socialismo o simile”.Ora l'arcano era svelato, giacchè dalla lettera di questo “umoristico”procuratore Frola, come lo definiva il Turati, o, per usare un'altra arguta espressione dello stesso Turati, “così Frola e così magistrato”, che “ci aveva fatto condannare”, si sapeva finalmente che il Turati e l'Oggero, alla cui condanna il Turati, nella Critica Sociale del 16 novembre 1894, dedicò una nota, “L'uno e universo jure”, erano stati condannati, non in base a reati previsti da precise disposizioni di legge, ma per “imputazione di socialismo o simile”.Ma il procuratore Frola, è bene ricordarlo, non era solo l'autore della lettera rivelatrice, ma anche di un libro, nel quale sosteneva - dice il Turati - “che si può essere puniti anche per aver riprodotto le pagine dei segretari di Crispi non incriminate, nè, a quanto pare, incriminabili”.
Ora, coincidenza fortuita o no, la tesi del Frola, al processo di Milano contro Turati per l'opuscolo “I Sobillatori”, fu fatta sua dal Pubblico Ministero, in polemica con l'avvocato del Turati, Luigi Majno, e con il Turati stesso. Giacchè il Turati, nel suo opuscolo “I Sobillatori”, citava non solo brani di opere di Achille Loria e di Giuseppe Sergi, ma anche di Michelangelo Vaccaro, segretario di gabinetto di S. E. Crispi, autore di un saggio, pubblicato nel 1886, “La lotta per l'esistenza e i suoi effetti nell'umanità”, dal quale, riferiva la Lotta di classe del 10-11 novembre 1894, furono tratte, come “fu ampiamente provato”, nel corso del dibattito, “tutte le frasi incriminate”, per le quali venne condannatoil Turati. Per questa e per le altre condanne subite per “imputazione di socialismo o simile”, o per il “reato di pensiero sovversivo”, il Turati scriveva: “nulla ci attendevamo di diverso e non moviamo doglianza”, perchè “strumento di lotta di classe, il magistrato doveva compiere la funzione sua, e l'ha compiuta”.Ma, tuttavia, questo “quarto d'ora di pazzesca reazione” - commentava il Turati in una nota: “Grazie, illustrissimi! La nostra nuova condanna”, apparsa nella Critica Sociale del 16 novembre 1894 - testimonia della illegalità in cui operava il Governo contro i socialisti e i sovversivi in genere. Il che, egli soggiungeva, dovrebbe “a questo vecchio popolo ignavo "fare" imparare ad apprezzare la libertà e a riconquistarsela”.
Parole ammonitrici, vere ieri e vere oggi, che gli Italiani, dopo l'esperienza fascista, dovrebbero avere sempre presenti, perchè essi ben sanno quanta fatica e quanti sacrifici morali e materiali comporti la riconquista della libertà e anche e soprattutto la sua difesa.Nonostante la bufera reazionaria che il 1894 aveva visto sorgere e sviluppare, facendo altresì prevedere ulteriori inasprimenti contro la libertà di pensiero e di organizzazione, Filippo Turati chiudeva il quarto anno di vita di Critica Sociale con un articolo “La fine”, che era un auspicio per l'avvenire e dove, senza esitazioni e con franchezza, assicurava la continuità dell'indirizzo della rivista, nella lotta contro i soprusi del potere esecutivo, per la libertà e per il socialismo.
Il 1894, aveva scritto Filippo Turati nell'articolo “La fine”, “è statoil più fecondo di purulenze e di ferocie fra quanti ne seguirono al così detto risorgimento della terza Italia”. Nonostante ciò la reazione non era riuscita nè a stroncare, nè ad affievolire lo spirito combattivo delle masse operaie e socialiste. Anzi si notò un fiorire ed un espandersi, pur tra il perdurare delle leggi eccezionali, del movimento operaio e socialista. La Critica Sociale era il centro e l'anima della resistenza e della lotta contro la reazione. E poichè la Corte d'Appello di Milano, aveva confermato la sentenza di quel Tribunale che condannava “al confino da tre a cinque mesi quelli tra i socialisti milanesi cui fu fatto l'onore di un processo per associazione sovversiva” (”e noi naturalmente siamo delnumero”, scriveva Turati nella Critica del 1° giugno 1895), la direzione della rivista ritenne suo dovere dare notizia ai lettori della minaccia incombente, prospettando la eventualità di dovere “portare le tende per alcuni mesi nella simpatica Udine”, dove già si trovavano confinati altri socialisti. La minaccia non ebbe seguito, ma suscitò un'ondata di proteste contro il Governo e di simpatia e di solidarietà per la rivista e per il suo direttore. Leonida Bissolati, il “nostro antico e carissimo amico” “sempre pronto agli slanci generosi”, come di lui scriveva il Turati nella Critica Sociale del 1° novembre 1895, informava lo stesso Turati diessere pronto a trasferirsi a Milano per supplirlo “ad ogni evenienza”.
E il Turati, nel ringraziarlo pubblicamente e nell'attestargli la sua riconoscenza e la sua stima, lo nominava “condirettore di questo periodico”.E così apprendiamo, per la storia della rivista, che il primo condirettore di Critica Sociale fu Leonida Bissolati.La situazione politica interna si andava sempre più inasprendo, nonsolo per il perdurare della reazione, ma anche per lo svolgimento della campagna militare in Africa, che venivano a confermare la fondatezza delle critiche socialiste all'impresa, e a mettere in luce le insufficienze e le ambiguità della borghesia italiana nel promuoverla. Per cui, avendo il Turati premesso, ad un articolo clic prendeva in esame “L'impresa d'Africa e la borghesia italiana”, un commento dal caustico titolo di “Becchi e bastonati!”, il numero 2 del 16 gennaio 1896 della Critica venne sequestrato, dando così al Turati la opportunità di scrivere, nel numero successivo del 1° febbraio 1896, una delle sue brillanti e magistrali note: “Filosofia di un sequestro”.
Intanto il Partito Socialista, nonostante le sue ristrettezze finanziariee le difficoltà fra le quali doveva condurre la sua lotta contro la reazione e in favore del diritto di associazione e delle altre libertà, si accingeva a realizzare una sua antica aspirazione : la pubblicazione di un suo quotidiano, che doveva sostituire il settimanale Lotta di classe di Milano, organo centrale del partito, pur esso bersagliato dalla censura, contro i cui frequenti sequestri protestava la Critica, la quale notava, per esempio, nel n. 10 del 16 maggio 1893, che la Lotta di classe era “stata sequestrata tre volte in un mese”. E ciò, come si legge nella Lotta di classe del 67 maggio 1393 in una nota intitolata “Il bavaglio”, peravere riassunto lo svolgimento di una interrogazione alla Camera dei Deputati di Gregorio Agnini “sulle infamie della polizia che, coalizzata ai proprietari, manovrò l'esercito contro i contadini nel basso bolognese”.
Filippo Turati diede all'iniziativa del quotidiano del Partito tutto ilsuo appoggio morale e finanziario, impegnandosi “a versare in due anni il contributo di lire cinquecento”. Analogamente aveva fatto nel 1892 per il settimanale Lotta di classe, a favore del quale, nella Critica Sociale del 16 luglio 1892, aveva pubblicato, sotto il titolo “Il giornale del "Partito dei Lavoratori", un «Appello alle Società ed agli Amici», dove dava notizia che «Il Partito socialista dei lavoratori, che dopo la cessazione del vecchio Fascio operaio era rimasto muto, privo di un organo popolare, centrale, nazionale», «avrà alfine la sua voce propria»,che porterà per titolo: “La lotta di classe”. E poiché, in qualche amico erano sorte «dubbiezze» «sull'opportunità del titolo Lotta di classe», poteva «ferire certi pregiudizi e certe titubanze mantenute e coltivate da altri partiti interessati», il Turati, spiegando il perché del titolo, scriveva che esso «compendia e caratterizza il movimento emancipatore moderno e taglia corto agli equivoci e non carezza quei pregiudizi e quelle titubanze».E così a favore del quotidiano del Partito, nella Critica Sociale del16 settembre 1896 Filippo Turati rivolgeva, in un articolo «Pel giornale quodiano del Partito», un invito agli «Amici della Critica Sociale» perchè contribuissero alla iniziativa «senza indugi e senza lesinerie». E nel numero 19 del 1° ottobre 1896 la rivista forniva le istruzioni per il versamento dell'importo dell'abbonamento «al futuro giornale socialista quotidiano», mentre nel numero 23 del 1" dicembre 1896, in una nota «Pel giornale quotidiano», il Turati scriveva: «Oggi vogliamo ricordare l'importanza ch'esso potrà avere anche al di fuori del Partito. Oggimaitutti discorrono di socialismo: pochi con competenza. Da questo punto di vista una pubblicazione socialista, che segua i fatti quotidiani, presenta un alto interesse anche — e quasi diremmo specialmente — pei non socialisti, per tutti coloro che cercano, che aspettano, magari che temono». Al giornale si voleva dare il titolo di Italia nuova, ma il numero 24 del 16 dicembre 1896 della Critica Sociale, nell'annunciare in un caloroso brillante articolo «Avanti il giornale del Partito», la data di uscita del medesimo, che era stata fissata per il 25 dicembre 1896, ci informa che «ad esso fu imposto il nome di Avanti!». E ciò perché questo titolo, spiegava Filippo Turati, «parve il più semplice, il più battagliero, il più cosmopolita, il più largo, il più squillante, quello che meglio si collega, pur mirando al più lontano avvenire, con le origini dellanostra lotta in Italia e con le principali espressioni di questa lotta nellecapitali straniere». «Infatti, continuava Turati, fu con l'Avanti! di Imola prima e poi di Roma, che Andrea Costa segnò alcune delle prime e più importanti tappe del nostro cammino: e Avanti! (Vorwàrts!) si chiamano il valoroso quotidiano dei socialisti tedeschi, il settimanale supplemento alla Gazzetta Popolare dei socialisti newyorchesi, e più altri fogli socialisti di questa e quella nazione. Sia dunque Avanti! — e il nome sia promessa, sia augurio, sia rullo di tamburo che suona a raccolta.Il Governo, concludeva il Turati, sospinto dagli inconfessabili interessi che ne sono ragione e condizione di vita, accumula ogni sorta di violenza contro di noi, gridandoci: Di qui non si passa! Noi rispondiamo Avanti! e passeremo». Questa ferma e decisa risposta alla sfida del Governo, — che ricordava la chiusa del forte discorso alla Camera, «Date la libertà alla Sicilia”, dove al “di qui non si passa” del Governo egli rispondeva “la storia passerà lo stesso”, venne fatta sua da Leonida Bissolati, che ne fece oggetto del suo famoso articolo, “Di qui si passa”, con il quale l'Avanti! iniziava le sue pubblicazioni del 25 dicembre 1896.
Da quel momento l'Avanti! fu all'avanguardia del movimento di difesa e di emancipazione del proletariato italiano. E perciò ebbe ben presto le sue persecuzioni, i suoi sequestri; anzi il primo di essi colpì il quinto numero, il 29 dicembre 1896, per un articolo di Guglielmo Ferrero, “La rivincita”, sul militarismo italiano. L' Avanti! ebbe a subire anche un assalto nell'aprile 1897, con incendio della redazione, che per il modo come fu organizzato ed eseguito, e in particolare, per il contegno delle forze dell'ordine, costituisce il precedente tipico dell'assalto e dell'incendio fascista che l'Avanti! subì a Milano nell'aprile 1919.
Questo episodio di teppismo pre-fascista merita di essere rievocatoper più motivi: 1) perchè serve, come accennavo in principio, a spiegare le origini lontane di certi aspetti del fascismo ancora inesplorati, che si riconnettono a questo mal costume del potere esecutivo; 2) perchè di esso dà notizia Filippo Turati nel fascicolo del 1° maggio 1897 della Critica, nell'articolo “La censura restituita: a difesa del giornale del Partito”; 3) perchè di esso non è fatto cenno nella recente accurata interessante “Storia dell'Avanti!” di Gaetano Arfè, dove, a pagina 20 del primo volume, con riferimento agli stessi avvenimenti dell'aprile 1897 ai quali si richiamava nel suo articolo il Turati, è solo detto che “l'Avanti! viene sequestrato con sempre maggiore frequenza”. Ora, invece, dall'articolo del Turati si apprendono due notizie importanti. La prima è la denuncia che il Turati fa dell'autorità, la quale, nel corso dei “fatti che toccarono l'Avanti!”, si accodò “alla canaglia che ne devastava i locali”.La seconda riguarda ancora l'autorità che, per perseguire l'Avanti!, arbitrariamente “ha sospeso l'editto albertino”, ristabilendo “la censura preventiva, che formò il ridicolo e la vergogna dei Governi contro i quali l'Italia è diventata nazione”.Ecco come si svolsero i fatti, ai quali si richiama il Turati. All'indomani dell'attentato di Acciarito al Re, il 22 aprile 1897, l'Avanti! del 24 usciva con un articolo di fondo intitolato “L'attentato”, dove era precisata con dignità la posizione del Partito Socialista. Nel fermo, coraggioso atteggiamento dell'Avanti!, l'autorità ravvisò invece “apoteosi di reato, eccitamento all'odio di classe e offese alla persona del Re”, e pertanto ne ordinò il sequestro, nonostante che, come riconobbe lamaggioranza della stampa, questi estremi non vi fossero nell'articolo incriminato. Apparve tuttavia chiaro a tutti che il vero scopo del sequestro, come si legge nell'Avanti! del 25, in un fondo dal titolo “Il sequestro: giudici comandati”, era di “impedire che la narrazione esatta delle scene selvagge di cui fummo oggetto per parte di gente che aveva plaudito prima sotto la reggia”, “diminuisse la importanza e il valore della dimostrazione monarchica nella capitale, che doveva servire di esempio a dimostrazioni consimili, attese nelle altre città”.
Per cui appare evidente che la cronaca obbiettiva degli avvenimentidata dall'Avanti! avrebbe tolto ogni valore al tentativo di una messa in scena, che, giova ricordarlo, fa parte della tattica di tutti gli aspiranti al colpo di stato, l'idea del quale, come è risaputo, serpeggiò sempre nel corso di quel decennio e venne ripresa e attuata dalla stessa monarchia con l'appoggio dato al fascismo e al colpo di stato fascista del 3 gennaio 1925, che poi doveva, al termine della sua parabola portare l'Italia alla disfatta militare e alla rovina. Ora, seguendo lo svolgimento dei fatti, si rileva che la sera del 24 aprile 1897, come si legge a pagina 2 dell'Avanti!' del 25, sotto il titolo “Contro l'Avanti!”, dal corteo costituito dalla stessa gente “che aveva plaudito sotto la reggia” e che “aveva disturbato prepotentemente i pubblici ritrovi”, echeggiò “un grido”, che dominò gli altri: “Rechiamoci all'Avanti! Abbasso il giornale Avanti!”. “Nell'impeto della dimostrazione, scrisse il Popolo Romano, alcuni gettarono una torcia di resina in una finestra della Redazione”, che “andò a cadere, riferiva dal canto suo il Don Chisciotte, nell'interno della Redazione”, “Fu la scintilla, proseguiva il Don Chisciotte, anzi qualche cosa di più, che fece scoppiare l'incendio”.“La gazzarra, si legge ancora nei giornali, durò parecchio senza che la forza intervenisse. E dire, rileva ironicamente l''Avanti!, che il Governo si affannava a dichiarare che “mandava carabinieri e soldati a proteggere i nostri uffici”, mentre carabinieri e soldati “assistevano tranquillamente allo spettacolo ameno”. Non solo. Ma quando i redattori dell'Avanti, di fronte al perdurare della gazzarra, si difesero dall'aggressione facendo volare alcune seggiole fuori dalle finestre, allora il delegato di polizia, “come al solito, scriveva sempre l'Avanti!, credendo (o fingendo) che la provocazione fosse venuta dalle nostre finestre, salì nell'ufficio di Redazione e fece perquisire i quattro nostri compagni, ordinando ai carabinieri di ammanettarli”.Coloro che abbiano letto gli scritti documentati sul fascismo di Giacomo Matteotti, o la raccolta di scritti, “Il Fascismo e i Partiti Politici”, inserita nella “Biblioteca di Studi Sociali” (1922-1923) diretta da Rodolfo Mondolfo, o il volume “Fascismo: inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia”, che, a cura della Casa Editrice Avanti! di Milano, ebbe due edizioni, la prima nel 1921 e la seconda nel 1922, avranno la conferma che l'assalto all'Avanti! dell'aprile 1897 costituisce, come ho già ricordato, il precedente tipico dell'assalto fascista allo stesso giornale dell'aprile 1919: cioè protezione e tolleranza degli aggressori da parte dell'autorità e della polizia e arresto degli aggrediti. L'assalto all'Avanti! ed altri episodi, unitamente ai continui sequestri, dimostrano le condizioni di difficoltà in cui la stampa socialista era costretta a svolgere la propria attività, e nello stesso tempo, la volontà del Governo di combattere con tutti i mezzi il socialismo, speranza sempre più viva delle classi lavoratrici, che ne abbracciavano con entusiasmo la fede.Il Governo, animato da questo proposito, perseverava nella sua politica di restrizione e di repressione, mandando tra l'altro quanti più poteva al domicìlio coatto. Ma tutti questi provvedimenti reazionari non avevano fatto che inasprire la lotta, che diventò ancor più acuta a causa della crescente miseria prodotta dalla politica economica del Governo, che finì con il ridurre il paese alla «carestia», come denunciava Filippo Turati nell'articolo «Pane e Libertà» apparso nella Critica Sociale del 1° febbraio 1898. Di conseguenza le classi lavoratrici, tra reazione e miseria, erano venute a trovarsi in una situazione drammatica, che poi doveva esplodere nelle tragiche giornate milanesi del maggio 1898, che portarono anche alla sospensione, come ho già ricordato in precedenza, della Critica Sociale. I fatti del 1898 sono noti. Liberato Filippo Turati dal carcere in principio del giugno 1899, la Critica Sociale riprendeva le sue pubblicazioni il 1° luglio 1899, dopo cioè 13 mesi di sospensione.L'articolo di fondo, «Ripigliando», esordiva con la famosa frase «Heri dicebamus», che significava impegno di continuare con la stessa tenacia e con la stessa fede la lotta contro la reazione e per l'elevazione e l'emancipazione delle classi lavoratrici, per il socialismo e per la libertà.
Ma contemporaneamente alla ripresa delle pubblicazioni della rivista si addensavano sull'orizzonte nuove grandi nubi, che minacciavano ancora, non solo il .movimento operaio e socialista, ma le libertà costituzionali. Infatti il Governo, non ammonito sufficientemente dal recente passato, persisteva nel proposito di arrestare il diffondersi del movimento operaio e socialista. E a questo scopo sin dal febbraio 1899 aveva presentato al Parlamento una serie di nuove leggi eccezionali, che Saverio Cilibrizzi nella sua «Storia parlamentare politica e diplomatica d'Italia», voi. IlI, pagine 104-105, così riassume: 1) militarizzare il personale ferroviario, postale e telegrafico; 2) punire lo sciopero degli impiegati, degli agenti e degli operai addetti ai pubblici servizi; 3) istituire il domicilio coatto per i delinquenti recidivi; 4) vietare, per ragioni di ordine pubblico, le riunioni e gli assembramenti pubblici all'aperto; 5) sciogliere, in seguito a richiesta dell'autorità giudiziaria, le associazioni dirette a sovvertire con vie di fatto gli ordinamenti sociali o la costituzione dello Stato; 6) frenare la libertà di stampa, stabilendo, accantoalla responsabilità del gerente, quella dell'autore dello scritto incriminato, punendo la pubblicazione o riproduzione, scientemente fatta, di notizie false, atte a turbare la pubblica tranquillità, e dando infine alla autorità giudiziaria la facoltà di potere, in caso di nuove condanne, fissare una cauzione, instaurare la censura o addirittura sospendere per tre mesi la pubblicazione del giornale. Questi provvedimenti, con i quali, secondo la denuncia di Edoardo Scarfoglio, si mirava ad un vero «colpo di stato», ebbero la più «ragionata autopsia», come la definì Filippo Turati, da parte di Claudio Treves in un vigoroso e magistrale saggio “L'Ukase”, che occupò quasi l'intero fascicolo del 16 luglio 1899 della Critica Sociale.Dalla ripresa delle sue pubblicazioni, nel luglio 1899, alla grandevittoria elettorale delle sinistre, e in modo particolare del Partito Socialista, nel giugno 1900, che segnò l'abbandono graduale dei provvedimenti reazionari del Governo Pelloux e l'inizio di una nuova politica, la Critica Sociale continuò la sua battaglia per il ripristino delle libertà costituzionali e contro i soprusi del potere esecutivo. Il che le procurò ancora nuovi sequestri: quelli del numero 16 del 16 agosto 1900 e del numero 5 del 1° marzo 1901, entrambi inflitti, non più con la tradizionale motivazione di eccitamento all'odio fra le classi, ma per un accenno alla questione istituzionale. Infatti il numero 16 - il cui articolo di fondo di Filippo Turati, intitolato “I teppisti dell'ordine”, era parso “piccante” al Procuratore Generale di Milano - venne sequestrato per una dichiarazione di adesione in via di principio dei socialisti alla forma repubblicana dello Stato, contenuta in una sola riga di un articolo di Arturo Labriola, dedicato allo studio e alla elaborazione del programma minimo del Partito Socialista. Questo fascicolo della Critica Sociale, purgato nella riga incriminata, venne ristampato,e per la prima volta, nella storia della rivista, sul lato destro della prima pagina si trova impressa, in grassetto, la seguente dicitura: “2a Edizione (dopo il sequestro)”. E ciò allo scopo di evitare che la polizia sequestrasse negli uffici postali anche le edizioni purgate, come si era verificato di frequente in passato. Per lo stesso motivo venne sequestrato anche il numero 5 del 1° marzo 1901, per un articolo di Ivanoe Bonomi, “La Sinistra al potere”, che svolgeva un concetto già accennato nel precedente numero del 16 febbraio da Filippo Turati nell'articolo “Fasenuova” dove (come riferiva poi lo stesso Turati, nella Critica Socialedel 16 marzo 1901, in una caustica nota di commento al sequestro, “Gli spassetti d'un magistrato”) si sosteneva “che non al Re, ma alla maggioranza della Camera spetta la responsabilità” di decidere l'aumento delle spese militari.
Sono questi gli ultimi due sequestri che subì la Critica Sociale, dopoun decennio di persecuzioni, nel corso del quale la rivista condusse una tenace, coraggiosa lotta contro gli abusi e i soprusi del potere esecutivo, i cui arbitri erano avallati da una magistratura per la quale, come denunciava Claudio Treves in uno dei suoi brillanti articoli, “La giustizia giacobina”, pubblicato nella Critica del 1° ottobre 1899, valeva sempre il motto del guardasigilli Eula, “la magistratura rende servigi, non sentenze”. La severa, costante, animosa critica all'operato del potere esecutivo e della magistratura, condotta con tanta perspicacia per un decennio dalla rivista, le aveva procacciato larghi consensi nell'opinionepubblica e tra tutti gli uomini rappresentativi, non solo della sinistrapolitica, ma anche della cultura. Giacchè era oramai opinione comune che il Governo per combattere il movimento operaio e socialista non esitava, in nome di un presunto diritto di legittima difesa dello Stato contro i cittadini, a mettersi fuori dalla legge, anzi contro la legge, tanto da essere accusato di essere lui, secondo la vivace espressione di Turati, il vero “teppista dell'ordine”.
Questa battaglia per il rispetto della costituzione e per la libertà impegnò gli uomini migliori della democrazia e del socialismo. E fra costoro mi piace ricordare, per l'affinità ideale e l'elevatezza dei sentimenti, Francesco Saverio Merlino, di cui per merito di Aldo Venturini e di Pier Carlo Masini si sono ripubblicati, in questo dopoguerra, parecchi importanti scritti. Il Merlino non fu solo un insigne giurista, ma anche un profondo e originale pensatore socialista, il quale, nel fascicolo del gennaio 1899 della sua Rivista Critica del Socialismo, che pubblicò nel periodo in cui era sospesa la Critica Sociale, sottopose ad una fine e spietata critica “il diritto di legittima difesa dello Stato contro i cittadini”, critica che, ancora insieme al Turati, egli riprese e sviluppò, dopo un quarto di secolo, nella lotta contro gli abusi e i soprusi dello Stato fascista, nel suo aureo volumetto “Politica e Magistratura”, che fu uno degli ultimi, se non l'ultimo, dei volumi editi, prima di emigrare a Parigi, da Piero Gobetti.Il richiamo, come conclusione della prima parte di queste ricerche,alla comune e concorde azione in difesa della libertà, di due uomini, come Filippo Turati e Francesco Saverio Merlino, entrambi nutriti distudi politici e giuridici, che pur in quegli stessi anni ebbero vivaci polemiche sulla tattica socialista, vuol significare che nello studio del pensiero e dell'azione di questi uomini, si dovrebbe oggi cercare, per trarne utili e fecondi insegnamenti, ciò che li univa e non ciò che li divideva.
E in questo sforzo, in cui si dovranno sempre tenere presenti le ragioni dei loro contrasti, si avrà modo di osservare che la parte del loro pensiero e della loro azione che rimane tuttora valida è quella che li univa e nella cui ispirazione si sente vibrare una forte e profonda esigenza di libertà e di umanità, senza della quale non erano per loro e non sono per noi concepibili la democrazia e il socialismo.






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