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"LA CRITICA E' ORA LA COSA PIU' IMPORTANTE"


Una testimonianza sulla svolta riformista di Craxi dopo il Midas

Data: 2011-01-18

di Massimo Pini

Nel numero del gennaio 1975, la fotografia di un comizio di Luciano Lama, il segretario comunista della CGIL, risaltava sulla copertina di "La Critica Sociale", una rivista senza pretese stampata su carta giallina. Nell'interno, un avviso riquadrato informava i lettori che "con questo fascicolo, ‘La Critica Sociale' sospende temporaneamente le pubblicazioni: così ha deciso il suo consiglio di amministrazione prendendo atto che mancano i mezzi per continuare...".

La direzione della rivista - composta dallo storico Ugoberto Alfassio Grimaldi e da Reno Ferrara, condirettore - ricordava che nel lontano ottobre 1926 essa aveva dovuto sospendere le pubblicazioni perché "ormai la bestia fascista imperversava, e dovevano passare diciannove anni prima che questa voce riprendesse a parlare". Certamente quindi non era di buon auspicio che proprio nel momento in cui "il fascismo risorge e minaccia", le forze socialiste e democratiche non apparissero in grado di "tenere in piedi viva e vitale la testata gloriosa della "Critica".

E così concludevano i due direttori: "È un fatto che porta a meste considerazioni: quasi ci vedessimo innanzi agli occhi Turati e Faravelli costretti a riprendere la via dell'esilio".

Quell'ultimo numero riportava tra le sue pagine la pubblicità di alcuni istituti bancari: la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, il Banco di Napoli e l'IRFIS, un istituto di credito siciliano. Era quello il risultato degli sforzi di Giannino Parravicini, il socialdemocratico presidente del Banco di Sicilia, e all'epoca il più illustre dei soci della "Critica", se si esclude Giuseppe Faravelli, direttore per lunghi anni dopo Ugo Guido Mondolfo che aveva fatto rinascere la rivista il 15 settembre 1945.

E proprio alla memoria di Giuseppe Faravelli, da poco scomparso, era stato dedicato il numero del dicembre 1974 della "Critica Sociale", a cura di Virgilio Dagnino. Venuto a mancare Faravelli, la rivista si rivolgeva ai lettori e ai simpatizzanti, chiedendo aiuto, perché la ‘Critica Sociale' viva". 15.000 lire annue per un abbonamento sostenitore, 6.000 per un ordinario...

Per la verità, tra l'autunno del 1974 e il biennio 1975/6 non era il fascismo a risorgere e a minacciare, ma semmai il comunismo: la variante nazionale di un fenomeno globale alquanto pericoloso per la pace, anche se senescente. In seguito al successo riportato dal referendum per la abrogazione del divorzio, voluto dal segretario della DC Fanfani, e alla valanga di NO che aveva raggiunto quasi il 60% dei votanti, il Partito socialista era diventato, nonostante la mitezza del suo segretario Francesco De Martino, sempre più movimentista. Il centro-sinistra era davvero finito dopo oltre dieci anni, e il certificatore del decesso fu il ministro delle Finanze, il socialdemocratico Mario Tanassi, alle ore 19,30 del primo ottobre 1974.

Lo scandalo dei petroli, scoppiato nell'autunno del 1974, portò a conoscenza della opinione pubblica il finanziamento da parte della Unione petrolifera di tutti i partiti, escluso il PCI: era l'inizio della "questione morale". Però lo stesso PCI aveva offerto alla DC la scappatoia del "compromesso storico", la formula inventata da Enrico Berlinguer e dai suoi accoliti cattocomunisti, e ispirata dalla tragedia di Salvador Allende in Cile: non si può governare un paese nel mondo occidentale con una maggioranza del 51%, ma solo con ampie coalizioni, quale avrebbe potuto essere quella tra DC e PCI.

Alle elezioni amministrative del 15 giugno 1975, il voto sembrò dar ragione alla proposta del "compromesso storico": il PCI arrivò al 33,4% contro il 12% dei socialisti, il cui amaro commento fu: "Noi abbiamo scosso l'albero e loro hanno raccolto i frutti". In seguito alla sconfitta della DC, passata dal 38,8% al 35,3%, Amintore Fanfani venne rovesciato e gli subentrò alla segreteria politica Benigno Zaccagnini. Ora che DC e PCI raccoglievano insieme il 70% dei suffragi, le prospettive per il PSI si facevano sempre più inquietanti: al Comitato centrale del 10 luglio 1975 Bettino Craxi, all'epoca vice-segretario e capo della corrente autonomista che si riferiva a Pietro Nenni, volle lanciare un messaggio chiaro a tutti, comunisti per primi: "Insisto nel sottolineare il carattere determinante che ha, deve avere e dovrà avere il nostro partito".

Milano, città di Turati, della Kuliscioff, del sindaco Caldara, era stata la capitale del socialismo riformista; a Milano aveva iniziato le pubblicazioni nel 1891 "La Critica Sociale", un anno prima che a Genova venisse fondato il Partito socialista italiano. Filippo Turati e Anna Kuliscioff avevano rilevato una testata letteraria che si chiamava "Cuore e Critica", trasformandola nella "Critica Sociale", sino a farla divenire, ricorda Carlo Tognoli, "un luogo d'incontro della cultura di sinistra".

Ma nel 1975 a Milano il PCI era il primo partito, con 25 seggi nel consiglio comunale, contro i 22 della DC, i 12 del PSI e cinque del PSDI. Armando Cossutta, responsabile nel PCI degli enti locali, ai primi di luglio elaborò la formula delle "giunte aperte", un metodo per arrivare al "compromesso storico" mettendo da parte le "giunte rosse", vale a dire formate con maggioranze che escludessero i democristiani. Nell'ombra Bettino Craxi manovrava: il suo disegno consisteva nel far fallire a Milano la "giunta aperta" e spingere i democristiani all'opposizione. E fu proprio ciò che accadde: come sottolinea Carlo Tognoli, il quale sarà eletto sindaco di Milano dopo le elezioni politiche del 20 giugno 1976, era necessario far saltare ogni possibile intesa fra comunisti e DC, che avrebbe messo fuori gioco i socialisti. Il capolavoro di Bettino Craxi fu di avere costruito addosso ai berlingueriani l'immagine di un successo tattico - la "giunta rossa" - che era in realtà una sconfitta strategica per la prospettiva del "compromesso storico".

Nel contempo, Craxi aveva un occhio molto attento per gli equilibri interni del suo partito: divenuto segretario del PSI nel comitato centrale del luglio 1976, dopo la sconfitta di De Martino alle elezioni politiche, egli si era posto il problema di una pubblicazione periodica da affiancare a "Mondo Operaio", il mensile orientato verso la sinistra di Riccardo Lombardi. Poiché io controllavo una casa editrice, la SugarCo, e facevo parte da dieci anni del circolo dei suoi amici intimi, Craxi mi propose di acquistare le quote della "Critica Sociale" dai soci, tra i quali Giannino Parravicini, Reno Ferrara e Piero Caleffi, l'autore di "Si fa presto a dire fame", gravemente malato. Si trattava di una missione complessa, perché i soci, dopo la chiusura della rivista, non intendevano cedere il controllo della testata che si era posizionata storicamente fra socialisti e socialdemocratici, non escludendo un interesse verso i laici e i repubblicani di Ugo La Malfa. D'altra parte il ruolo di segretario del PSI ricoperto con tanta passione ed attivismo da Craxi dal luglio 1976 sembrava fin dall'inizio contestato al punto che un capo-corrente dell'epoca, Claudio Signorile, erede politico di Lombardi, aveva dichiarato: "Se non marcerà lo faremo fuori in tre mesi".

Alla fine però riuscii a portare sotto il controllo della mia casa editrice tutte le quote de "La Critica Sociale", e venerdì 29 aprile 1977 alla Villa Comunale di via Palestro a Milano si svolse la cerimonia di presentazione della nuova serie del quindicinale, con una grafica moderna e completamente rinnovata. Erano presenti il sindaco di Milano Carlo Tognoli, Umberto Dragone vicepresidente della Lega delle Cooperative, il filosofo Riccardo Bauer e il giornalista Italo Pietra, tra gli altri. La rivista, diretta dallo storico Ugoberto Alfassio Grimaldi e con la condirezione di Reno Ferrara esecutore testamentario di Faravelli, ricordava dunque la direzione della vecchia serie, nel nome e nella memoria di Giuseppe Faravelli al quale era stato dedicato il numero 1/2 del 1977, fuori commercio e destinato agli abbonati. Dal numero 4 del 27 maggio 1977 però Ferrara lascerà la condirezione: Umberto Giovine diventerà capo-redattore, e confermata la direzione responsabile di Ugo Intini.

Il numero tre del 13 maggio 1977, presentato a Milano alla Villa Comunale , era dedicato alle elezioni europee, ed aveva nel suo interno quattro inserzionisti di pubblicità: la Mondadori, la CBS Sugar, la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, ed infine la Edilnord. Per chiedere il sostegno pubblicitario, mi ero recato personalmente negli uffici di Berlusconi a Foro Buonaparte 24, su indicazione di Bettino Craxi. Berlusconi, all'epoca noto soprattutto come costruttore di Milano Due, sostenne la "Critica" e anzi ne ospitò gli uffici per un certo periodo. "Non ci pare casuale", chiarì Carlo Tognoli alla presentazione, "che questa gloriosa testata alla quale è legato il patrimonio più alto e migliore della tradizione laica, riformista, umanitaria del socialismo italiano e, crediamo, non solo italiano, ricompaia in questo momento che è di generale ripresa e considerazione critica delle linee portanti e delle matrici culturali del socialismo nel nostro Paese". Il direttore Alfassio Grimaldi ci tenne a ribadire: "Non siamo una rivista del partito socialista come ‘Mondo Operaio', ma dell'area socialista. Perciò saremo aperti alla collaborazione di tutte le componenti laiche e cattoliche della sinistra non comunista...". Quella dichiarazione faceva capire fin troppo chiaramente ciò che bolliva in pentola nei rapporti fra PSI e PCI, una vera e propria sfida culturale prima ancora che politica. La critica al dogmatismo sovietico, l'accentuazione del carattere pluralistico ed aperto della futura società socialista, la riconsiderazione del rapporto libertà-giustizia sociale, l'intero tessuto in cui si era venuta articolando la trama del revisionismo socialista erano "oggi più che mai", aveva concluso Carlo Tognoli, "di fronte alla attenzione della cultura di sinistra e ricevono continui apporti di analisi e contributi da parte degli esponenti intellettuali più avvertiti".

Nel numero del 26 agosto 1977 "La Critica Sociale" riportava la "mappa del potere" nella RAI, dopo la lottizzazione voluta dai comunisti col nuovo consiglio di amministrazione presieduto dal socialista frontista Paolo Grassi. La polemica con i comunisti si ampliava quindi dalla disputa ideologica alle ben più concrete questioni del controllo di quotidiani e del monopolio televisivo. Il PCI reagì per la penna di Elio Quercioli, responsabile per il partito del settore dell'informazione, il quale tacciò di "qualunquistiche" le critiche; e non mancò un corsivo anonimo ne "L'Unità" che additava come "pericolose" certe iniziative. Nonostante l'eurocomunismo, lo stalinismo di fondo non riusciva a mascherarsi.

Il 14 gennaio 1978 usciva nuovamente la "Critica"; da allora sono trascorsi altri trentatrè anni, e ancora oggi la rivista - dopo 120 anni questo 15 gennaio -  è viva e vitale. E' una delle più antiche testate italiane, testimone e punto di raccolta della tradizione socialista.

Essa è sopravvissuta alla tragica fine del Partito socialista italiano, distrutto e costretto alla diaspora dal colpo di Stato di "mani pulite": ed oggi rappresenta forse l'unico punto di coagulo di una rinnovata organizzazione dei socialisti.

Fu dunque profeta Bettino Craxi quando, nel corso della estate del 1976, mi disse: "Bisogna ridare vita alla ‘Critica Sociale'... Ricorda bene: è la cosa più importante da fare in questo momento...". Il suo messaggio è stato e sarà accolto. La "Critica", la più antica rivista italiana, ha vissuto e vivrà, nell'auspicio che attorno ad essa facciano fronte non solo le memorie, non solo la storia del movimento dei lavoratori, non solo le analisi grandiose che si trovano nella raccolta che presentiamo, ma le diaspore socialiste finalmente riunite nel nome di Turati, Nenni e Craxi.







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