Rino Formica
“In queste elezioni amministrative, parziali e non particolarmente decisive, Berlusconi ha voluto forzare il corso delle cose e ha voluto alzare la posta all'ennesime potenza.
Perchè lo ha fatto? Penso che vi sia stato un concorso di sollecitazioni (sedare i contrasti interni con la Lega, sfregiare Fini, spezzare le reni all'opposizione e bloccare l'offensiva giudiziaria), ed il celato scopo di vincere a tavolino una partita da lungo tempo aperta con il Capo dello Stato (chi possiede la vera decisiva investitura popolare).
In sostanza Berlusconi voleva con una sola giocata portare a casa:
i sindaci per ridurre al minimo il potere locale delle opposizioni;
una ampia fiducia popolare per il Capo del Governo per zittire Tremonti ;
la designazione a futuro Presidente della Repubblica.
Troppa grazia S.Antonio!
Solo il devastante male delle vertigini del potere onnipotente poteva spingerlo a tanto!
La saggezza, la acuta sensibilità istituzionale ed il concreto senso del reale aveva spinto nei giorni scorsi il Presidente della Repubblica a chiedere al Parlamento di valutare l'ampiezza della base politico parlamentare del Governo, dopo l'infornata dei sottosegretari reclutati anche nei gruppi di opposizione.
La data del dibattimento dovrà essere fissata.
L'opposizione e la Lega ed i volenterosi della maggioranza dovrebbero richiedere il rinvio della discussione a giugno dopo i ballottaggi e dopo l'arrivo dei Capi di Stato esteri per il 2 giugno (salviamo la faccia!).
A giugno si tireranno le somme!
Un ciclo sta per esaurirsi: non è detto che si riesca a chiuderlo bene.
Nel 90/92 si determinò una situazione analoga e le forze politiche non seppero ritrovare la via del riformismo costituzionale e democratico.
Oggi lo scenario è peggiorato, ma la Nazione ha ancora un saldo e decisivo punto istituzionale: la tranquilla forza democratica del Capo dello Stato.
Oso ripetermi nella speranza di trovare più orecchie attente di quante ne trovai nel 90/92
P.S.-Colgo l'occasione per riprendere il filo di un discorso che avevo avviato anche sul Riformista quando chiesi ai socialisti rifugiati nel PDL di accompagnare il Cavaliere ad un giusto e non traumatico riposo. Oggi vorrei invitare i socialisti di Milano, anch'essi eredi della grande tradizione del municipalismo socialista, da Filippetti a Caldara, da Greppi a Cassinis, da Vigorelli ad Aniasi, da Tognoli a Pillitteri, di compiere un gesto di orgoglio e di fede non votando Letizia Moratti, espressione di un mondo di interessi sociali e politici che non furono mai di sostegno alle cause socialiste”. Rino Formica
Ugo Finetti
Questo testo è stato scritto per il giornale on-line "Il sussidiario" alla vigilia del voto del 15 maggio, e prevedeva a causa dello spostamento a destra del Pdl nela campagna elettorale, una pesante perdita di voti moderati, socialisti, cattolici, laici
“Il voto di Milano è naturalmente stato presentato come un test con ripercussioni immediate sul piano nazionale. E' non solo la città più importante, ma è anche l'unica, tra i capoluoghi di Regione al voto, ad essere di centro-destra e dove Berlusconi misura la sua popolarità dopo gli attacchi subiti, il Pd la capacità di recupero e Fini il suo “valore aggiunto” passando al Terzo Polo. Eppure è proprio qui che i tre partiti protagonisti hanno compiuto i propri più evidenti errori di posizionamento. Il finale infiammato è conseguenza da un lato di voler recuperare l'area del non voto e di ridimensionare un astensionismo minaccioso e dall'altro di cercare di rimediare ad errori compiuti e meglio riposizionare le proprie liste.
Cominciamo dal Pdl. Colpisce come il PDl di fronte alla scissione di Fini e dovendo fronteggiare il tentativo di un insidioso attacco sulla sua “sinistra” (ovvero l'elettorato moderato di centro) si è invece spostato a destra dando l'impressione di essere una sorta di conglomerato tra Destra del vecchio Pli e Movimento Sociale. Alla base c'era il fatto che Gianfranco Fini sin dall'estate era ricorso al “richiamo della foresta”, all'ammutinamento nei confronti di Berlusconi in nome di una identità perduta nella confluenza nel Pdl.
Che tra fuoriuscite, tentennamenti e ripensamenti nell'area ex missina in seno al Pdl si sia dato spazio a una marcatura a uomo anche scambiandosi reciprocamente - tra Fini ed ex colonnelli - accuse di tradimento e richiami alla coerenza e alla propria storia è del tutto naturale. Ma era un capitolo che andava chiuso con la “conta” sulla fiducia in dicembre e comunque è stato sbagliato trasferire questo schema di caccia al militante in caccia all'elettore. A Milano il Pdl doveva recuperare al centro e non nell'ex Msi.
Lo sbandamento politico a destra del Pdl più dannoso è stato indubbiamente l'attacco a Tremonti “socialista” (coinvolgendo così gli ex Psi che stanno con Berlusconi e votano Letizia Moratti). Si è agitato un rilancio dello “spirito del '94” tutto, appunto, destra liberale e missini ignorando il fatto che la vittoria contro Occhetto fu ottenuta da Berlusconi soprattutto grazie all'elettorato democristiano e socialista. All'attacco a Tremonti si sono poi aggiunte inopportune contestazioni della Moratti, dando l'impressione che nel Pdl - tra i “fedelissimi” di Berlusconi - stesse prevalendo uno spirito di “duri e puri” imperniato sulla categoria dell'“epurazione” di partito che è l'esatto contrario dell'“allargamento” ovvero della ricerca del consenso elettorale. La cacciata degli “infedeli” è un modulo elettorale inedito. Contestare l'estrema sinistra da posizioni riformiste ha un senso e un effetto, farlo da posizioni di destra ne ha un altro e - soprattutto a Milano - è tempo perso .
Pisapia. Il caso Pisapia non è quello della “zona grigia” dell'estremismo degli anni '70. Il caso Pisapia è quello del dalemismo tirato fuori da “Mani Pulite”. Si tratta cioè del rapporto “disturbato” che la sinistra milanese ha ancora oggi con la sinistra “reale” e cioè il fatto che non solo la sinistra antagonista, ma lo stesso Pd rifiuta ogni coinvolgimento con la storia della sinistra che ha governato Milano. Vale ancora nel Pd il motto di Occhetto che nel 1993 sentenziò: “A Milano Craxi aveva i suoi amici, io i miei nemici”. E chi erano i “nemici” di Occhetto? Essi avevano (ed hanno) nome e cognome. Si chiamano “amici di Giorgio Napolitano”. Milano dalla metà degli anni settanta e per tutti gli anni ottanta è stata governata dagli amici di Bettino Craxi insieme agli amici di Giorgio Napolitano. Lo sbilanciamento della sinistra milanese è rappresentato dal fatto che Il Pd va così al voto a Milano al motto di “Nessun nemico a sinistra”. E' proprio su questo punto che va sottolineato il richiamo di Napolitano contro la sinistra che non è ancora un'alternativa credibile”. Ugo Finetti