IL RIFORMISTA. CUI PRODEST?
Emanuele Macaluso, Bologna, 6 luglio 2011,
Non è la prima volta che partecipo a iniziative che, come questa di Bologna, hanno l'obiettivo di ricollegare il nostro giornale, Il Riformista, alle persone, ai compagni e agli amici che vogliono impegnarsi nel sostenerci. Vorrei anzitutto darvi un'informazione che sembra utile per capire quali sono gli obiettivi che ci poniamo e perché abbiamo deciso con l'associazione delle Ragioni del Socialismo (la rivista che curiamo da quindici anni) di assumerci questa grande responsabilità del quotidiano. Le ragioni di fondo vanno ricercate nel momento in cui nacque la rivista "Le Ragioni del Socialismo". La rivista nacque dopo il tentativo di Occhetto alla Bolognina di dare una svolta al Pci e dopo la crisi del Partito Socialista. Un gruppo abbastanza nutrito di comunisti e di socialisti prese allora l'iniziativa di formare un movimento, che chiamarono movimento della sinistra di governo (che vide impegnati Macaluso stesso, Napolitano, Formica e Signorile, ndt). Un movimento che raccolse grandi consensi, volto com'era a mobilitare dal basso compagni socialisti e comunisti. L'intento di quel movimento era di correggere gli errori commessi dal neo-nato Partito Democratico della Sinistra (Pds) e di stimolare il Partito Socialista di Craxi. Infatti, dopo la caduta del Muro di Berlino, le due forze politiche non avevano saputo mettere in campo una linea che superasse "Il grande duello" a sinistra (come lo ha definito Luciano Cafagna in un suo libro) e permettesse di costruire finalmente in Italia un grande Partito Socialista nell'ambito del socialismo europeo. Il movimento non ebbe tuttavia la possibilità di svilupparsi perché la crisi del Partito Socialista del '93 disperse le forze che si erano radunate e sembrò ormai che quella iniziativa non avesse un futuro. Fu allora che un gruppo di ex comunisti e di socialisti mise in campo l'associazione delle Ragioni del Socialismo fondando l'omonima rivista. Costituimmo una cooperativa con l'obiettivo di mantenere aperta la battaglia per un socialismo moderno. Una battaglia chiaramente incentrata sulla cultura politica e sulla polemica politica.
Per quindici anni abbiamo tenuto accesa questa fiaccola e l'abbiamo tenuta accesa, voglio ricordarlo, con una specificità che non ha eguali in nessun'altra rivista perché ci siamo occupati di politica e di informazione, pubblicando un inserto che dava conto di tutti i documenti rilevanti prodotti dai partiti socialisti europei. Piattaforme congressuali ed elettorali, interventi di leader importanti, articoli che avevano un significato più generale.
Nel 2002 un gruppo di ex comunisti costituì un quotidiano, "Il Riformista", con direttore Antonio Polito. Nacque una cooperativa. La nuova testata riceveva sostegno anche nell'attivismo di gruppi che avevano a loro volta rapporti economici che consentirono la nascita e la sopravvivenza del giornale. Ai tempi della mia direzione a l'Unità, Polito aveva lavorato con me e così, quando mi chiesero di collaborare, acconsentii a curare una rubrica quotidiana sul giornale. Operammo anche una sinergia; siccome Le Ragioni del Socialismo (a differenza de Il Riformista) aveva ottenuto come cooperativa un finanziamento pubblico, si decise di far godere il contributo anche alla nuova testata.
Per un certo periodo nulla è cambiato, sin quando Polito decise di presentarsi al Senato per la Margherita, sconsigliato anche da me: comunque si presentò per fare il parlamentare e direttore del giornale divenne per un periodo Paolo Franchi. Ai tempi dell'esperienza politica di Polito, la testata venne acquistata da un gruppo privato, il gruppo Angelucci, molto equivoco. Pertanto smisi di collaborare con Il Riformista pur mantenendo sempre un minimo di rapporti, soprattutto con Paolo Franchi. In seguito decisi di rompere completamente. Contrastavo l'idea di Polito (tornato direttore) di trasformare il Riformista in un giornale generalista, in concorrenza con le grandi testate nazionali. Si riteneva di avere alle spalle un grande editore (Angelucci appunto) che, detenendo anche la proprietà di Libero, aveva in mente un progetto faraonico che si è poi dimostrato inconsistente. Una inconsistenza che ha portato il giornale in una difficoltà tale da rischiare la chiusura.
Polito è un giornalista intelligente, che ha maturato una ricca esperienza a Repubblica e all'Unità. Tuttavia, l'idea di far concorrenza al Corriere, Repubblica o al Messaggero in un momento di grave crisi dell'editoria, si è rivelata sbagliata. La testata, in vendita, non trovava acquirenti e l'unica possibilità di salvare il giornale, che era nato con un impegno politico molto significativo, siamo rimasti noi. E l'abbiamo fatto anche se con mille difficoltà.
Potevamo contare solo sul contributo pubblico, sulle nostre energie e sulle nostre idee, in particolare quella di fare del Riformista un giornale effettivamente riformista. Un riformismo moderno, ma un riformismo socialista, perché non c'è dubbio che la parola "riformista" si sia dequalificata col tempo. Tutti, da Berlusconi in giù, parlano di riformismo. Tutti sono diventati riformisti, ma penso che la categoria a cui noi siamo legati sia un'altra.
Il riformismo socialista è la storia. Una storia fatta di promozione dell'avanzata sociale, di tutela dei diritti democratici e di difesa della giustizia e delle garanzie di libertà. Quindi un riformismo che non si può, e non si deve, confondere con quello che oggi viene svilito dallo stanco dibattito politico e dal linguaggio consumistico di molti giornali. Io ritengo che un riformismo di qualità possa ancora avere spazio nell'Italia di oggi, pur tenendo conto delle limitazioni dell'attuale fase politica del Paese e del fatto che abbiamo alle spalle né un potere economico né un partito.
Non c'è dubbio che intendiamo condurre una battaglia politico-culturale, una battaglia sui temi del riformismo nel solco tracciato dalla tradizione del socialismo europeo. Ma un giornale è un giornale, nel senso che deve guardare alla quotidianità in cui si svolge la vicenda sociale, culturale e civile di questo paese.
Se guardiamo al panorama nazionale, vediamo un centrodestra che oggi vive una forte difficoltà, ma che ha tuttavia costituito un blocco sociale di interessi. Sarebbe assurdo ritenere che la crisi di quello che viene chiamato "berlusconismo" sradichi l'antica, forte, radice conservatrice del nostro paese, che è stata sempre presente dal '48 in poi. Il centrosinistra vive un'anomalia perché in Italia manca ciò che esiste in tutti i paesi europei (nessuno escluso) e cioè un grande Partito Socialista come alternativa al conservatorismo. Partiti socialisti che sono stati al governo o che sono all'opposizione e pensano di tornare al governo, partiti socialisti che hanno avuto cadute (anche dal punto di vista della cultura politica) ma che sono stati in grado di riconoscere gli errori e di riproporsi con piattaforme politico-culturali rinnovate.
In Italia non abbiamo un partito socialista che faccia parte del Partito Socialista Europeo, che stia dentro, l'Italia è il solo paese europeo. Abbiamo un partito che è il Partito Democratico dove sono confluiti i Ds e la Margherita, dove ci sono forze che si richiamano al riformismo socialista e forze che si richiamano al riformismo cattolico. L'idea iniziale di questo partito era di fondere il riformismo socialista insieme a quello cattolico e a quello laico in una forza che contenesse e facesse una sintesi di queste storie e di queste prospettive: così è nato il Partito Democratico.
Io, come sanno quelli che mi conoscono, ho manifestato precocemente una sostanziale contrarietà a questo concetto. Il giorno in cui nacque il Partito Democratico pubblicai un libro che intitolai "Al capolinea. Controstoria del Partito Democratico" in cui non risparmiavo critiche a questo progetto. Le mie critiche credo abbiano avuto, e hanno, un fondamento. Qual è la situazione sul terreno? Esiste un Partito Socialista, ormai un piccolo partito, anche se sopravvivono molti circoli di associazioni di giovani e di anziani che professano un legame e una vocazione verso il socialismo europeo e che spesso confluiscono nel Pd, la forza principale del centrosinistra. Poi abbiamo Sinistra Ecologia e Libertà (Sel) di Nichi Vendola, un piccolo partito che si presenta nell'agone politico con una certa combattività. Infine, l'Italia dei Valori che personalmente non considero una forza di sinistra, perché ritengo le posizioni di Antonio Di Pietro viziate da un giustizialismo che non ha cittadinanza dentro la storia della sinistra italiana. Questa è la coalizione del centrosinistra che già nel mio primo articolo come direttore del giornale ho criticato. Il Riformista non auspica una crisi distruttiva del Partito Democratico, ma vuole impostare una battaglia politico-culturale per conferire a questa forza uno sbocco che vada verso il socialismo europeo. E' una battaglia complicata, costruttiva e attiva. Una ricerca del confronto sulle scelte quotidiane e fondamentali che riguardano la riforma del welfare, i diritti civili - ad esempio, la discussione sul testamento biologico - che riguardano i problemi della collocazione dell'Italia in Europa e nel mondo, che riguardano le questioni della scuola e della giustizia. Questa è la missione del giornale, che non ha l'ambizione di creare un altro partito ma di influenzare in senso riformista e progressista le scelte delle forze politiche.
Un altro tema che mi pare stia maturando riguarda il ruolo del sindacato. Teniamo conto che oggi i sindacati conservano un ruolo importante perché sono le uniche forze che organizzano le masse lavoratrici e che mantengono un disegno sul fronte della lotta sociale. Chi conosce la storia del socialismo italiano sa benissimo che esso nacque nell'800 sulla questione sociale. L'organizzazione dei partiti socialisti è stata fondamentale per la classe operaia, i contadini, i braccianti, gli intellettuali. Nel secondo dopoguerra il Partito Socialista e il Partito Comunista sono stati in grado di organizzare queste forze e di inquadrarle in un'attività politica di massa. Oggi questo non esiste più, i partiti hanno perso una presenza territoriale consistente e l'unica realtà che mantiene un contatto con le forze sociali è il sindacato, che peraltro è in grave difficoltà perché non vi è dubbio che i processi di globalizzazione pongono problemi nuovi. Lo si è visto con la vicenda della Fiat che è stata molto significativa da tutti i punti di vista. Per non parlare della rottura dell'unità sindacale, molto pesante, che ha fatto apparire un pezzo del mondo sindacale (Cisl e Uil) allineati con le posizioni del governo e un altro pezzo (Cgil) con l'opposizione. Il risultato è stato la perdita di un ruolo più autonomo e forte del sindacato.
Diversamente da altri, ho apprezzato molto l'accordo recentemente raggiunto fra i sindacati e penso che chi lo sottovaluta si sbagli in maniera enorme. L'accordo, che pone fine alla separazione, ha un grande vantaggio che è ignorato da chi lo critica, Cofferati in primis. Ebbene io penso che la cosa più importante sia il fatto che i lavoratori si sono messi finalmente in comunicazione tra di loro, dopo che nei momenti più duri dello scontro a Pomigliano la lacerazione pareva insanabile. I veri riformisti non possono auspicare la fine del sindacato, la sua frammentazione o radicalizzazione. A patto di restare unito, oggi il sindacato ha ancora una sua ragion d'essere e può ancora assolvere una funzione in una fase storica caratterizzata dalla grande offensiva del capitale finanziario. Il sindacato è stato la base del riformismo. I laburisti inglesi erano addirittura il partito del sindacato e anche il Partito Socialista Italiano nacque in simbiosi con la vecchia Cgil.
Concedetemi una piccola divagazione per tornare a discutere del Riformista. A metà settembre intendiamo rendere più appetibile il giornale, anche graficamente; ridurremo il prezzo di vendita e pubblicheremo ogni domenica un inserto culturale, di cultura politica, diretto da Paolo Franchi. Perché di cultura politica? Perché si tratta di una questione aperta nel nostro paese. Nel dopoguerra nacquero tante riviste, con l'intento di proporre, dopo la fine del Fascismo, dei grandi indirizzi di cultura politica. Venne alla luce Rinascita, nacque Socialismo, la testata che poi ho ripreso con Saragat nelle Ragioni del Socialismo, Luigi Salvatorelli fondò la Nuova Europa, mentre venivano costituite tante altre riviste per rispondere all'esigenze di un pubblico assetato di politica.
Da oltre vent'anni le grandi questioni politiche, sociali e culturali sembrano non interessare le masse come un tempo. Il vuoto lasciato dalle sezioni di partito, dai circoli, dalle riviste, dai giornali e dagli accessi dibattiti pubblici non è stato riempito. Posso affermare senza timore di smentita che un bracciante o un contadino siciliano degli anni '50-'60 avevano una cultura politica più alta di quella che possiede oggi un laureato. Un vulnus a cui porre rimedio.
Sappiamo benissimo che anche nei partiti socialisti questo problema si è posto e si pone. Io seguo molto questa questione perché penso che sia essenziale un processo formativo, non individuale ma collettivo. Una coscienza politica si costruisce con la battaglia, con l'impegno quotidiano ma anche con la cultura politica. Quindi noi vogliamo dare un indirizzo, un indirizzo culturale e politico chiaro, un punto di vista di parte ma pronto al dialogo. Le ragioni di ottimismo non mancano, come dimostrano gli incontri che ho con molti giovani intellettuali che vogliono contribuire al progetto che abbiamo in mente.
Concludo con una notazione, non certo ultima per importanza: la necessità di raccogliere sostegno per il giornale. Non abbiamo dietro alcuno, è la nostra forza. Domani posso scrivere un articolo critico nei confronti di chiunque perché non dobbiamo rendere conto o dare spiegazioni. Siamo una cooperativa che in due mesi ha già realizzato 1100 abbonamenti. Dobbiamo aumentare la nostra presenza in tutto il paese, non solo nelle edicole, perché la forza di un giornale non sta solamente nei lettori ma anche nei sostenitori, persone impegnate nel diffondere il giornale in una battaglia politica che si fa battaglia delle idee. Può sembrare strano che in questa epoca di dequalificazione della politica vi sia un giornale che conservi questa ambizione. Penso che stia rinascendo un forte interesse per la cosa pubblica. Uno spazio che può essere sfruttato per influenzare e orientare le scelte delle attuali forze politiche. Se perseguiremo questa ambizione e sapremo raccogliere il sostegno necessario, potremo migliorare il nostro giornale e renderlo sempre più adeguato ai tempi, coinvolgendo forze nuove, soprattutto giovani, in questo impegno.
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