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HITCHENS

Il 15 dicembre è morto Christopher Hitchens, originale e controverso polemista anglo-americano, da agitatore politico nel ’68 a convinto sostenitore di Bush nella guerra in Iraq. Nel 2008 un lungo articolo apparso sulla rivista britannica Prospect delineava un ritratto del personaggio. La traduzione di Critica Sociale

Data: 2011-12-16

Alexander Linklater*, Prospect, 24 maggio 2008, n.146

Christopher Hitchens oggi è giornalista, scrittore, critico letterario ed analista politico britannico.
Commentatore per Vanity Fair, The Nation e Wall Street Journal. Collabora, come esperto di affari correnti americani, con il quotidiano britannico Daily Mirror. Per gran parte della sua quarantennale carriera, la notorietà di Christopher Hitchens è rimasta ristretta al giornalismo intellettuale ed ai circoli politici, accademici e letterari. Negli ultimi quindici anni, il suo nome è diventato familiare ai lettori di Vanity Fair, The Atlantic ed ai telespettatori dei programmi di approfondimento politico americani, ormai avvezzi ai suoi commenti caustici sugli avvenimenti di attualità. La sua verve iconoclasta si è espressa al meglio, quando, commentando la morte di Lady Diana e di Madre Teresa di Calcutta ebbe a definirle rispettivamente "una smorfiosa bambi narcisista ed una fraudolenta, fanatica, nana albanese." Quando poi sostenne la guerra in Afghanistan ed Iraq ed appoggiò la rielezione presidenziale di George W. Bush nel 2004, la sinistra, alla cui famiglia politica egli apparteneva da sempre, divenne bersaglio privilegiato delle sue invettive. Ad ogni modo, qualsiasi posizione difendesse, Hitchens pareva destinato a rivolgersi ad una platea specialistica e limitata, portando avanti posizioni minoritarie. Soltanto Dio è stato capace di farlo andare oltre la sua audience di nicchia, fornendogli il soggetto per un vero e proprio best seller. Se infatti Hitchens ha scritto 16 libri, inclusi lavori su Henry Kissinger, Bill Clinton, gli Elgin marbles (marmi originari del Partendone, ndt), George Orwell, Thomas Paine e Thomas Jefferson, il suo attacco frontale alla religione in God is not Great ha convinto per la prima volta un editore ad organizzare un vero e proprio tour americano per una sua opera.
Ora, il suo proselitismo ateo gli ha permesso di diventare una figura nota. Ma, qual è il motivo per cui questo insolentemente, carismatico, alto borghese inglese sembra attrarre, e repellere, così tante persone? La risposta potrebbe avere a che fare con la combinazione del suo fascinoso, e mediatico, stile da intellettuale vecchia maniera con il suo interesse per le grandi narrazioni. L'attuale battaglia contro la Fede è la più importante della sua carriera - è la prima questione che si è posto da bambino e sarà quella che lo accompagnerà sino alla fine.
L'appartamento di Cristopher Hitchens è rimasto curiosamente identico alla prima volta che gli feci visita a Washington 13 anni fa. Un ritratto suo e della moglie, piccole opere d'arte su i muri, ricordi di viaggio, scaffali di libri, un ampio salone, una piccola cucina, un ripiano per gli alcolici. Esteticamente, l'impressione è che tutto sia predisposto per non distrarlo dagli aspetti essenziali della sua vita: leggere, incontrare persone, bere, ridere, questionare, scrivere.
Sono circa le 3 del mattino, c'è una bottiglia mezza piena di whisky sul tavolo e Hitchens sta ricordando il passato. Da parte mia, sono interessato a ricostruire il suo percorso umano ed intellettuale attraverso la sinistra ideologica - dalle convulsioni del 1968, per le inversioni del 1989 sino ai dilemmi morali suscitati dalla guerra in Iraq. Ma per rompere il ghiaccio nella nostra prima conversazione, Hitchens mi guida a ritroso nella Storia sino ad uno dei suoi argomenti di discussione preferiti: la contesa tra corona e parlamento ai tempi della guerra civile inglese del diciassettesimo secolo.
Per Hitchens, la rivolta di Cromwell non rappresenta soltanto la lotta cui si deve l'affermazione del predominio parlamentare, ma il grande rifiuto del diritto divino. Hitchens si abbandona così alla recita de "The Battle of Naseby" , l'elogio che, nel diciannovesimo secolo, Thomas Babington Macaulay dedicò allo scontro decisivo della Rivoluzione Inglese nel 1645. (La memoria di Hitchens è enciclopedica. Ian McEwan ha osservato come ogni cosa da egli letta o sentita sia "istantaneamente disponibile neurologicamente.")
In God is not Great si dichiara un protestante ateo. Sostiene che le liturgie della Bibbia di Re Giacomo e del libro di preghiere di Cranmer (Arcivescovo di Canterbury nel sedicesimo secolo, ndt) contengano una poetica cui abbandonarsi ed un sistema di credenze da rifiutare. Hitchens ne coglie l'aspetto letterario e ne critica le radici religiose, ma non si considera un ottimistico razionalista illuminato. Si identifica piuttosto con la disillusione di Thomas Paine di fronte al terrore rivoluzionario in Francia, con il famoso avvertimento di Rosa Luxemburg a Lenin sull'inesorabilità del governo di un sol uomo. Egli conserva tuttavia qualcosa della sua gioventù marxista; quell'assolutismo intellettuale che lo porta a disprezzare i dilemmi ed i contrappesi del liberalismo. Da qui la feroce critica al liberalismo gentile di Isaiah Berlin (filosofo, politologo e diplomatico britannico, recentemente scomparso, ndt) in un saggio del 1998. Vi è sempre un fondo di violenza nel suo argomentare, un'incapacità di creare empatia. Ad esempio, egli non è per nulla interessato alle sensazioni dei credenti, al motivo per cui milioni di persone si affidano alla Fede, a cosa essa significhi per loro - anche se, a differenza del suo co-anti-religionario Richard Dawkins, ammette l'inestirpabilità del sentimento religioso dalle masse.
Similmente ad altri polemisti pubblici, considera diretta personalmente contro di sé ogni argomentazione sollevata contro una sua tesi. La sua posizione di partenza è sempre il confronto, la lotta il suo modo di procedere, la convinzione dell'esattezza delle sue opinioni il punto d'arrivo. E questa soprannaturale sicurezza nella bontà delle proprie convinzioni, che traspare fluentemente ed elegantemente dai suoi scritti, che ha fatto di Hitchens il più scintillante e scomodo giornalista britannico della generazione del '68. Egli non esagera poi tanto quando afferma: "Nel mondo dove vivo mi capita normalmente di dover sostenere almeno cinque dispute al giorno; se non mi capita, mi metto alla ricerca di un interlocutore per poter testare l'efficacia delle mie argomentazioni."
Suole ripetere che l'impulso istintivo che lo spinse negli anni sessanta ad abbracciare il trotzkismo aveva meno a che fare con la simpatia per le correnti minoritarie e perdenti che con l'antipatia per quelle maggioritarie e vincenti. Le preoccupazioni socialiste per il pane ed il burro - redistribuzione, tassazione, welfare e via di seguito - non hanno mai esercitato grande attrazione su di lui. Piuttosto, è riguardo ai valori universali di libertà e progresso che Hitchens dà il meglio di sé.
Due libri scritti di recente da giornalisti britannici - What's Left? di Nick Cohen e The Fallout di Andrew Anthony - hanno descritto l'insoddisfazione dei rispettivi autori riguardo le risposte liberal della generazione del baby boom alla guerra in Iraq, all'estremismo islamico ed al multiculturalismo. Entrambi seguono un sentiero battuto in precedenza da Hitchens. I suoi attacchi a Clinton negli anni novanta, sferrati mettendo in difficoltà un amico come Sidney Blumenthal, ai tempi collaboratore del presidente, già segnalavano una presa di distanze dai suoi vecchi compagni. Dopo l'11 settembre e dopo la sua convinta adesione alla guerra in Iraq, molti amici si trasformarono in nemici. Alexander Cockburn, un ex collega a The Nation, pubblicò un pezzo nella sua newsletter dove definiva Hitchens "un bugiardo, egoista, ubriaco, un cinico bastian contrario ed un venditore di fumo opportunista." Molti ex amici si sono semplicemente rifiutati di discutere della questione. Robin Blackburn, da quarant'anni esponente di prima piano dell'estrema sinistra britannica, ha rifiutato di parlare di Hitchens più per il dispiacere che per la rabbia, associando le ultime idee espresse da Christopher all'insorgere di una vera e propria malattia: "Spero che presto si riprenda."
Le reazioni dei media e degli accademici liberal alle uscite recenti di Hitchens sono riconducibili a quattro scuole di pensiero sul personaggio: che egli sia un analista politico scadente, sebbene rimanga un fine letterato; che egli sia stato sedotto dalla possibilità di ingraziarsi la benevolenza di chi stava al potere ed aveva deciso l'invasione dell'Iraq; che, giunto alla mezza età, abbia vissuto uno spostamento, sempre più comune tra i politici e gli intellettuali, dalla sinistra alla destra; che sia semplicemente un bastian contrario che ama la rissa verbale e che crede di suscitare l'interesse di una più vasta platea contrastando la posizione mainstream dei progressisti (di cui condivideva un tempo le vedute generali). Sono state proposte anche varianti edulcorate che rintracciano un parallelismo tra le idee neoconservatrici sulla politica estera e ciò che rimane in Hitchens dell'internazionalismo di sinistra.
Disquisendo su Hitchens, con un pezzo intitolato "No Bullshit's Bullshit" per la London Review of Books, Stefan Collimi ha inquadrato piuttosto bene il personaggio. "Analizzando il lavoro di Hitchens, si percepire quanto egli sia interessato a dimostrare di avere ragione e di stare della parte giusta. Di aver compreso quale sia la direzione che il mondo dovrebbe intraprendere, mentre altri, per quanto preparati e ben considerati, non lo hanno capito."
Chiaramente, Hitchens non può essere considerato un analista politico scadente o fallace, almeno dal punto di vista della popolarità e della visibilità, considerando che i suoi scritti non sono mai stati letti e diffusi come sta accadendo oggi. Gli editori lo ricercano e gli commissionano generosamente nuovi lavori. Può contare su numerosi alleati nei circoli di Washington così come nelle diverse fazioni irachene. Se gli si chiedono lumi sulla sua coerenza rispetto alle idee che egli ha espresso in passato, Hitchens non si tira indietro e risponde a tono, poiché si considera pienamente coerente con i suoi antichi principi. Sono gli altri, dice, che si sono rifugiati nella reazione e nel conservatorismo. "Occupo gran parte del mio tempo ad osservare l'insorgenza della sinistra reazionaria. La sto identificando per combatterla."
Non che Hitchens creda che esista un unico punto di vista per interpretare gli avvenimenti che dal '68, passando per il cruciale '89, per arrivare all'11 settembre, hanno caratterizzato la storia delle relazioni internazionali. Egli è tuttavia convinto che vi sia un modo inequivocabilmente corretto di valutare quegli eventi. Ai tempi della crisi bosniaca, egli mi disse che sarebbe stato in grado di prevedere con esattezza lungo quali linee la sinistra si sarebbe divisa sulla vicenda. Per qualsiasi persona della mia generazione (thatcheriana) la sola idea che qualcuno potesse prendere una posizione soltanto sulla base di considerazioni aprioristiche appariva inconcepibile. Ma il mio interlocutore rimane sulla sua posizione. "Sapevo come sarebbe andata. Sapevo che Richard Gott si sarebbe schierato dalla parte di Milosevic, che Perry Anderson si sarebbe mantenuto neutrale, che Misha Glenny si sarebbe dimostrato filo-bosniaco."
Se c'è qualcosa che identifichi con chiarezza Hitchens come uomo di estrema sinistra è la sua tendenza a portare i ragionamenti alle loro logiche conclusioni, sostenendo che ciascuno avrebbe dovuto, a partire dal crollo del Muro di Berlino in poi, portare necessariamente avanti determinate idee. Interessa conoscerle? A me sicuramente. Hitchens propone una lista di proposizioni sull'evoluzione delle relazioni internazionali dopo il 1989 che avrebbero dovuto trovare d'accordo tutti gli uomini di sinistra. Sempre che gli uomini si sinistra avessero correttamente ragionato da uomini di sinistra: "In primo luogo, tutti avrebbero dovuto rallegrarsi per la caduta del Muro e del rovesciamento di Ceausescu, mentre, pochi mesi prima, avrebbero dovuto sentire il bisogno morale di parteggiare per i manifestanti di Piazza Tienanmen." Quella è la base di partenza. Inoltre, continua, chiunque osi definirsi di sinistra non può che essere stato "dalla parte di Salman Rushdie e contro gli ayatollah". Poi, la sinistra avrebbe dovuto percepire come fallace "la semi-utopica profezia di Francis Fukuyama sulla fine della Storia" e comprendere quanto apparisse illusoria la convinzione che l'era dei totalitarismi si fosse esaurita. Infine, quando Milosevic invase la Bosnia e Saddam Hussein il Kuwait i veri uomini di sinistra non si sarebbero dovuti limitare ad auspicare "che essi venissero fermati, bensì rovesciati...perché ci si dovrebbe sempre opporre con forza al totalitarismo ed in particolare alle sue forme razziste e teocratiche. L'ineludibile realtà che si cela dietro simili considerazioni è che molte persone, che negli anni sessanta avevano una visione negativa di quello che gli Stati Uniti rappresentavano, oggi dovrebbero riconsiderare le loro convinzioni...io non ho rispetto per coloro che non sono in grado di rivedere le proprie posizioni su questo punto."
Questa modalità di argomentare e di prendere posizione deriva da un nucleo di principi immutabili che rimandano ad una sorta di trotzkismo talmudico "che insegna tesi e metodi per sostenerle che sono nel mio patrimonio culturale e che non ho mai perso." Se Hitchens si concede una minima empatia nei confronti dei credenti e dei religiosi, la dimostra quando discute della perdita della Fede, politica o religiosa appunto. "Lo dice uno la cui Fede laica è stata scossa e svalutata" scrive in God is not Great. "Quando mi consideravo marxista, non ritenevo le mie opinioni espressione di una Fede, ma ritenevo che fosse possibile scoprire ed elaborare una teoria strutturata, unificata e complessa che spiegasse la realtà. Il concetto di materialismo storico non era un assoluto e non aveva elementi soprannaturali, ma mostrava il suo elemento messianico nell'idea che il momento del giudizio sarebbe arrivato e che di sicuro non sarebbe coinciso con quello profetizzato dal papato. Anzi."
La perdita della Fede si è concretizzata lentamente per Hitchens. "Se qualcuno mi avesse chiesto quale fosse il mio schieramento politico negli anni novanta, mi sarei definito senza titubanze marxista e socialista." In seguito, si trovò a scrivere di questo agli studenti. Né scaturì il testo Letters to a Young Contrarian, del 2001. Così, dovette egli stesso constatare che, a trent'anni dall'effetto catalizzatore del 1968, non esisteva più un movimento internazionale socialista così come non si intravedeva una seria critica socialista dell'attuale che potesse riportarlo in vita.
"E allora, come posso definirmi socialista? Cosa sto facendo?", si chiede. "Tutto ciò che stai facendo è assicurarti che nessuno ti confonda con un liberale - una posizione, il liberalismo, che ho peraltro sempre avversato, identificandola con la debolezza. Ma definirsi solo in opposizione al liberalismo è una posizione inaccettabile. E'solo un modo di atteggiarsi. Così decisi di abbandonare il marxismo. Non l'ho ripudiato, non ne ho ribrezzo, non lo odio e non voglio che si parli di folgorazione sulla via di Damasco. Piuttosto, devo prendere atto che coloro che un tempo criticavano il capitalismo ora si sono convertiti alla reazione. Essi preferiscono il feudalesimo agrario, sono pre-capitalisti. Il marxismo, almeno, guarda all'innovazione ed al progresso. Il capitalismo globale sembra ormai l'unica forza rivoluzionaria rimasta. In questo senso, io guardo ad esso con occhi marxisti."
Molti critici di Hitchens rintracciano in discorsi simili la sua implicita dichiarazione di appartenenza alla temperie culturale neoconservatrice. Egli replica di non considerarsi "in alcun modo conservatore." Preferirebbe essere considerato un falco per la difesa dei diritti umani. "Dovremmo spendere parole di apprezzamento per quelle persone che credono che gli Stati Uniti debbano usare il loro potere per opporsi ai totalitarismi." Tramontate le speranze salvifiche legate alle rivoluzioni francese e russa ed al ruolo del proletariato, tutto resta affidato all'idea di America come "ultima rivoluzione in città" - con il suo spirito di libertà risorto nella lotta per trasformare il Medio Oriente.
Mentre dalla notte si passa al giorno, Hitchens tenta di spiegare come lo strappo neoconservatore sia scaturito da uno scisma all'interno della sinistra anti-stalinista di New York. La materia, complice l'orario, si fa sempre più complessa. "Riesci a seguirmi?", mi chiede a un certo punto, "lo so, devono sembrare i ricordi astrusi di un tizio che disquisisce di quando era governatore generale del Punjab."
Come gli capita spesso quando non ha impegni o incontri il giorno dopo, Hitchens al mattino si sveglia tardi . Lui e le sue ragazze, come chiama la seconda moglie Carol e la loro figlia Antonia, mi hanno invitato a stare da loro per tre giorni ed egli ha già ben chiaro quali saranno i passaggi e i tempi delle nostre conversazioni. Il suo stile di vita, apparentemente rilassato ed improvvisato, nasconde una ferrea, feroce, organizzazione interiore. Scrive articoli ad ogni ora del giorno e della notte, con straordinario velocità e scorrevolezza - anche in condizioni di alterazione alcolica. Torna a lavorare ad un paio di pezzi mentre respiro un attimo, distogliendo la mente dai nostri lunghi colloqui.
Sorprendentemente, dopo aver trascorso quarantanni della sua vita a celebrare le virtù delle "sue" Rothman's, ha deciso di smettere di fumare. Sembra averlo fatto con la stessa predisposizione d'animo con cui si è liberato dal suo credo socialista: in entrambi i casi, non ha voluto compiere un solenne atto di ripudio, ma ha agito nella consapevolezza che abbandonando le due antiche passioni sarebbe vissuto più a lungo. Anche se beve ancora, e pesantemente, ha razionalizzato la cosa. Se è un alcolista, vuole essere un alcolista consapevole, controllato ed altamente efficiente. Ricorda con piacere l'aspetto leggiadro della sua giovinezza, oggi perso ("non farti ingannare dall'aspetto del mammifero che ti trovi di fronte adesso"), anche se, in realtà, nonostante molti ritengano che la degenerazione e l'eccentricità delle sue opinioni siano andate di pari passo con il suo declino fisico, Hitchens porta bene i suoi 59 anni. E anche la salute non è male. Tuttavia, c'è qualcosa di inquietante nell'aspetto mattutino dell'Hitchens post-nicotina e preferisco starmene sulle mie, almeno sino all'ora di pranzo in un ristorante greco nella zona di Dupont Circle a Washington.
Il proprietario è un amico stretto di Hitchens e si presenta con un bicchiere colmo di Johnny Walker. Poi i due si dilettano con una fine disquisizione sulle differenze tra l'halloumi ed il kasseri, formaggi rispettivamente ciprioti e greci. Parla di Atene non solo come la culla della civiltà occidentale, ma anche del luogo dove sua madre è morta e la sua fanciullezza è finita. Un suo vecchio amico, David Rieff, mi ha messo in guardia, invitandomi a non dare un taglio psicologico alla mia lunga intervista, "non ti seguirà." Ma alcuni editori, sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti, stanno stimolando Hitchens affinché scriva un libro di memorie. Così, prende spunto dalla nostra conversazione per esercitare la sua vena autobiografica.
E' strano che una personalità tanto debordante ed appariscente sia rimasta sino ad oggi così abbottonata e restia quando si è trattato di parlare, e scrivere, di sé. L'unica testimonianza personale di Hitchens risale al 1988. Un pezzo per il giornale new-yorchese Grand Street, dove raccontava come suo fratello fosse venuto a conoscenza, dopo molti anni dalla morte della madre, del fatto che essa fosse di religione ebraica. Hitchens, nell'articolo in questione, cercava di comprendere se quell'eredità materna stesse condizionando il suo modo di vedere le cose. Oggi, conclude con soddisfazione: "No." Racconta con fastidio le esortazioni di quegli editori che gli ricordano la sua libertà, perché di origini ebraiche, di criticare Israele. Ed è proprio questa l'eredità del '68 che Hitchens deplora e rifiuta con maggior forza. Il fatto di "parlare come." Parlare come omosessuale, come scozzese, come madre single, come musulmano e via di seguito. Ossia, il fatto di essere condizionati nell'esprimere un parere su ogni questione dalla propria identità politica, culturale o di altro genere. Un'identità che condiziona a priori le persone, impedendo loro di sviluppare un libero ragionamento. Ad ogni modo, pur rifiutando la nozione di "thinking with blood" tipica di Rudyard Kipling, prova un certo piacere nel riconoscersi legato "etnicamente" ad una grande tradizione, quella ebraica, di critici e di outsiders intellettuali.
Sembra esistesse tempo fa un'atmosfera di antisemitismo gentile in Gran Bretagna che, unita al conservatorismo della famiglia del marito, indusse Yvonne Hitchens a tenersi per sé il mistero sulle sue origini. Uno dei richiami più narcisistici riscontrabili nel pezzo scritto vent'anni fa per Grand Street suggerisce che Yvonne avesse riposto le proprie speranze ed ambizioni sul suo primo figlio. Hitchens ricorda una discussione tra i genitori, durante la quale suo padre cercava di convincere la madre dell'impossibilità per la famiglia di permettersi la retta di una scuola privata. La risposta della donna fu secca: "Se si sta formando una classe dirigente in questo Paese, Christopher dovrà farne parte." Con quell'insistenza tenace, sospetta Hitchens, essa voleva favorire qualcosa di più della semplice affermazione sociale del figlio. "Ora mi piacerebbe chiederle", scrive, "se tutti quei sacrifici mirassero a fare di me non solo un gentiluomo ma soprattutto un vero inglese."
Nato nel 1949, il primo ricordo di Hitchens è la vista del grande porto di La Valletta, dove si trovava con la madre mentre il padre serviva come ufficiale navale a Malta. In quel periodo, nel 1951, nacque suo fratello Peter. Quando parla di eventi legati alla figura di sua madre, lo stile di Hitchens assume un tono emotivo inusitato. Un tono diverso da ciò che usualmente traspare dai suoi discorsi. "Mi ricordo il blu profondo del mare e del cielo, il bianco ed il verde di La Valletta, e gli ulivi scendere lungo quel magnifico porto naturale. Sono sempre stato felice nel Mediterraneo. Non saprei dire per quale motivo non abbia deciso di viverci."
Sua madre stava a Wren durante la guerra, quando conobbe il futuro marito. L'uomo trovò in lei un savoir faire nella vita sociale che gli tornò molto utile, perché compensava le limitazioni che egli aveva. Hitchens scivola nel sentimentalismo solo quando parla della bellezza della madre e quando la ricorda fuori dalla scuola ad aspettarlo. "Non ricordo nulla di mio padre, solo lei mi appare con nitidezza. Era piena di premure per me, anche per mio fratello si intende, ma ho sempre percepito una particolare attenzione nei miei confronti, quasi fossi la cosa più importante della sua vita."
Invece, racconta dei suoi rapporti con il padre con un distacco che pare quasi spietato e cinico. Figlio di un maestro, il comandante Hitchens fece la sua gavetta nei ranghi navali, combatté una guerra mondiale e fu esonerato dall'incarico negli anni cinquanta, in seguito ad una controversia con i comandi della Marina in merito al trattamento pensionistico dei veterani. Hitchens parla del padre come di un uomo buono e ligio al dovere, ma anche "decisamente orientato a destra e pieno di risentimento classista." Quel tipo di risentimento che si indirizza sia in alto che in basso nella scala sociale. "Egli provò sempre odio per i sindacati ed avversò i sistemi di welfare, ma nutriva altresì sdegno per coloro che non avevano lavorato un sol giorno nella propria vita, per quella che lui definiva la affluent society. Lo stesso tipo di risentimento che lo aveva spinto a ribellarsi contro la Marina Militare, che non garantiva la giusta ricompensa, in termini pensionistici, ai veterani sacrificatisi in battaglia. Sentiva di esser stato sfruttato ed abbandonato."
Il grande giorno nella carriera del Comandante Hitchens rimase il 26 dicembre del 1943 quando, nel corso della battaglia di North Cape, la sua nave, l'Hms Jamaica, affondò l'incrociatore tedesco Scharnhorst. L'episodio suscita un minimo di orgoglio figliale in Hitchens, che descrive l'impresa così: "In un giorno di lavoro, egli ha fatto qualcosa di più importante di tutto ciò che io ho realizzato in tutta la mia vita:" Ogni Boxing Day (festività pubblica del Regno Unito che cade il 26 dicembre, ndt) era buono per rievocare l'evento in casa Hitchens e, sebbene il Comandante non amasse parlare di guerra, dovette confidare a Christopher: "Non stimo gli uomini che parlano sempre della stessa cosa, ma, sfortunatamente per me, quella è stata l'ultima circostanza nella quale sono stato sicuro di ciò che stavo facendo." Ben presto, egli sarebbe diventato un bevitore accanito.
La vita Hitchens venne movimentata e condizionata dalle traversie lavorative del genitore, che alla fine trovò un impiego come tesoriere presso una scuola media di Oxford. Il giovane Hitchens si dimostrò precoce sia come lettore che come oratore, ma crebbe in un'Inghilterra che stava perdendo definitivamente la sua dimensione imperiale e che influenzò con la sua disillusione un'intera generazione di giovani di sinistra. Egli stesso si descrive come un piccolo, carino ed intelligente ragazzino, giunto tardi alla pubertà e che imparò presto a combattere le sue debolezze con la forza del suo argomentare. Ricorda il rapporto di quegli anni giovanili con il fratello minore Peter, oggi un noto opinionista conservatore, come una grande seccatura. Le loro convinzioni politiche divergono - benché Peter sia stato brevemente trotzkista - ma la somiglianza fisica e temperamentale tra i due permane. L'antipatia ha lasciato spazio ad una gelida amicizia ed i loro occasionali dibattiti pubblici richiamano un folto pubblico (recentemente in Michigan sono accorsi in 1.200).
Dall'età di 13 anni, la frequenza della scuola privata, che il padre gli permise di frequentare a costo di grandi sacrifici, rese le cose più interessanti. Hitchens frequentava la Leys School di Cambridge, insieme ai figli degli uomini d'affari dello Yorkshire metodista che "pensavano che la loro posizione sociale fosse un diritto di nascita." Il suo nascente spirito socialista venne alimentato dal contatto quotidiano con ragazzini che disprezzavano i figli della classe lavoratrice. "Ci arrivai da solo (al socialismo). Non tanto perché provassi simpatia per i disprezzati, ma piuttosto per il disappunto che nasceva in me nel sentire che qualcuno si permettesse di trattarli in quel modo." Sviluppò da allora un gusto per la polemica politica, ispirato dalla lettura di Hanged by the Neck di Athur Koestler e di Orwell. "Rimasi ammaliato da Orwell, perché nei suoi romanzi sociali egli descriveva un genere di famiglia che ricordava quella da cui provenivo, ed anche perché egli stesso si era trovato a frequentare una scuola dove tutti erano più ricchi di lui."
Sdegnato ed aggressivo verso i suoi compagni, Hitchens si unì ai sessantottini. Si iscrisse al Partito Laburista a 15 anni, marciò contro la guerra del Vietnam ed ebbe "diversi corpo a corpo con i poliziotti." Nel frattempo si dedicò anima e corpo a perseguire la sua principale ambizione di quegli anni, ossia scrivere per il New Statesman. Quando arrivò a casa, via lettera, la tanto attesa offerta di lavoro ricorda che persino suo padre non seppe trattenere l'emozione. La famiglia festeggiò l'evento uscendo a cena. "E' stato l'ultimo ricordo felice che posso legare alla mia famiglia. E anche il primo."
Fu nel 1973 che il ventiquattrenne Hitchens, che già lavorava al New Statesman, ricevette una telefonata da suo padre, che gli chiedeva lumi sul destino della madre. La donna era sparita e con lei il suo passaporto. Egli era pienamente consapevole del fatto che ella avesse una relazione extra-coniugale. In passato gli aveva presentato un uomo, ma ciononostante continuava a recitare alla perfezione il suo ruolo sociale di madre di famiglia per salvare le apparenze. Per questo motivo la sua scomparsa appariva alquanto misteriosa. Due giorni dopo, il Times e la Bbc annunciarono il ritrovamento del suo cadavere, insieme a quello dell'amante, in un hotel di Atene.
Il padre non era nelle condizioni di recarsi in Grecia, così Hitchens dovette seppellire da solo la madre. Una nota lasciata dalla donna rivelava la stipula di un patto suicida. Christopher scoprì anche che essa aveva cercato di mettersi in contatto con lui nei giorni immediatamente precedenti la sua tragica morte.
Nel maggio 1973, la giunta militare di Georgios Papadopoulos, che aveva preso il potere da sei anni, era impegnata nella repressione di un tentativo di insurrezione. "Una delle cose che più colpì noi ragazzi degli anni sessanta fu il fatto che un paese come la Grecia fosse tenuto con pugno di ferro da un regime fascista supportato dall'esercito. Il golpe greco del 1967 rappresentò uno degli eventi politicamente catalizzanti della gioventù di Hitchens - la complicità degli Stati Uniti nel favorire la sovversione delle istituzioni di uno Stato membro della Nato e culla della democrazia occidentale era evidente - e si combinò con il dramma personale.
I corpi della madre e del suo uomo vennero scoperti dopo due giorni dalla morte, e, per quanto la stanza fosse pulita e curata, lo scena si presentò straziante - la donna aveva assunto delle pillole, lui aveva usato un coltello per uccidersi. "Mi affacciai alla finestra dell'albergo per riprendere fiato e mi si parò davanti l'immagine del Partenone immerso nella luce del giorno. E giù, nelle strade, carri armati, militari, macchie di sangue sul selciato." Quando Hitchens parla di quel momento intenso ed agghiacciante lo associa alle immagini sue e della madre nel porto di La Valletta. "Ho provato questa sensazione tante e tante volte", ripete. "L'ho provata a Cipro, in Libano, a Creta e recentemente in Tunisia. I lampi di luce, il verde, il bianco e due volte il blu. E' una visione forte, che mi fa sentire a casa."
Il vicario anglicano di Atene celebrò i funerali, senza mascherare il suo fastidio nell'autorizzare la sepoltura di due suicidi. Poco dopo Hitchens avrebbe scritto un pezzo sul New Statesman, dove preconizzava la rapida caduta del regime dei colonnelli, ma non riuscì a predire con esattezza la causa scatenante del crollo, ossia gli eventi che avrebbero condotto alla divisione di Cipro. In seguito all'occupazione dell'isola da parte della Turchia nel 1974, Hitchens tornò sull'argomento ed in proposito scrisse anche nel suo primo, serio, lavoro pubblicistico. La tesi era che la Gran Bretagna avesse disatteso al suo dovere di proteggere l'isola; l'Occidente si era colpevolmente mantenuto neutrale e non era intervenuto come avrebbe dovuto. La lezione cipriota rimase viva nella memoria di Hitchens, che la considerò valida anche nell'interpretazione degli eventi futuri, ad esempio per la guerra in Iraq.
La morte di sua madre significò la fine irrevocabile della giovinezza. "Da allora non ho più avuto una famiglia. Mio padre non ha mai voluto parlare dell'argomento. Mio fratello prese la sua strada. Per quanto la cosa potesse dispiacermi, alla fine provai un senso di sollievo. Non ci sarebbero più state feste comandate né riunioni di famiglia." Ancora oggi, egli non vuole ammettere che quella tragica morte possa aver esercitato un qualche tipo di influenza sul suo modo di essere. Certo, la considera un evento centrale e toccante della sua vita, con forti implicazioni emotive, ma non tale da incidere sulle proprie convinzioni e sulla propria visione del mondo.
Se Hitchens si mostra usualmente restio ad aprire agli altri il suo universo psicologico, si astiene ugualmente dall'esplorazione dell'anima altrui. La sua massiccia produzione di scritti politici, contrariamente ai suoi lavori critico-letterari, si sofferma quasi mai su i dissidi interiori e sulle recondite motivazioni che determinano il comportamento dei protagonisti degli eventi descritti. Tuttavia, vi sono eccezioni a questa sua predisposizione piuttosto manicheista nei confronti della personalità umana. Il suo libro su Jefferson colpisce per la complessità delle circostanze narrate e indaga nel passato del protagonista, un tempo schiavista. E, ancora più efficacemente, nella sua raffinata e lucida opera, Orwell's Victory, egli esamina come sia maturata in Orwell la determinazione a ripudiare "l'imperialismo acritico che albergava in seno al suo ambiente famigliare." Nel processo di rifiuto in questione, Hitchens non si limita ad enucleare l'affermazione di un principio ma descrive la lotta interiore al personaggio; Orwell dovette infatti combattere non solo il suo ambiente, ma anche se stesso, "la sua sfiducia ed antipatia nei confronti dei poveri, la sua repulsione per le masse coloured che popolavano l'impero britannico, il suo sospetto verso gli ebrei, le sue difficoltà con il genere femminile."
Quando gli chiedo se avesse rintracciato simili problematiche in sé stesso, devo attendere una pausa non rituale prima di ricevere una risposta. "Le persone spesso mostrano ripulsa per le cose che segretamente condividono. So cosa significhi." Ma, oltre a rifiutare il conservatorismo della sua famiglia, egli non va oltre e non specifica cosa esattamente intenda quando parla delle "catacombe" della vita interiore.
Hitchens giunse ad un età nella quale la politica avrebbe tolto voracemente spazio ad ogni suo altro interesse. Dire che egli sia stato un figlio del '68 è qualcosa di più che un clichè, nel senso che le tendenze gemelle che caratterizzarono il periodo - distruzione ed emancipazione - lo spinsero ad allontanarsi sempre di più dal suo ambiente famigliare. "Non so come descriverlo. Mentre il 1967 finiva, la Cia mostrava le immagini del corpo di Che Guevara, Isaac Deutscher era morto, la rivoluzione vietnamita raggiungeva il suo acme, si percepiva che il mondo intera stava contorcendosi e rivoltandosi. Ci si svegliava al mattino con una notizia sempre nuova: l'offensiva del Tet, l'assassinio di Martin Luther King. E ancora. De Gaulle rischiò di essere rovesciato, Robert Kennedy venne ucciso, Praga invasa dai carri armati sovietici. E poi ci furono le Olimpiadi di Città del Messico, con gli studenti ammazzati per strada, le Pantere Nere sul podio dei Giochi, la riesplosione dell'Irlanda del Nord. Grazie ai miei contatti politici io vissi, spesso indirettamente, la portata di questi eventi. Come membro di un'eccentrica organizzazione trotzkista-luxemburghista mi sentivo in quel momento non solo un osservatore degli eventi, ma percepivo di esserne in qualche modo parte."
Per Hitchens il '68 ebbe poco a che fare con le mode culturali del tempo - la musica, le droghe, gli stili alternativi di vita. Egli rimase anche indifferente alle implicazioni pratiche del femminismo, interessandosi solo alle sue elaborazioni teoriche. Entrò a far parte della eccentrica organizzazione International Socialists (Is) ad Oxford, poco prima di iniziare l'università. Venne notato a raduni maoisti e ad alcune manifestazioni contro la guerra del Vietnam e fu avvicinato da Peter Sedgwick, che Hitchens descrive come un "libertario di sinistra." All'epoca l'Is contava su 5 membri, cresciuti a 300 entro la fine del 1968. Risale ad allora il gusto, tuttora presente in Hitchens, di operare su larga scala potendo contare su una piccola organizzazione.
Più che l'università, egli considera l'Is la sua scuola. Essa, a quei tempi, era "fortemente anti-comunista e non condivideva l'interpretazione trotzkista secondo la quale il comunismo di Stato si distaccasse dalla dottrina che l'aveva originato. Eravamo convinti del fatto che una working-class emancipata dall'ignoranza avrebbe potuto liberare non solo sé stessa ma l'intera società. L'Is era anti-razzista, anti-religiosa e piena di membri di origine ebraica, nessuno dei quali sionista."
Dalle sue parole non traspare nostalgia per quel periodo. "Io appartengo ad una generazione che ha visto tante volte sfilare nelle città europee lavoratori, soldati, marinai e studenti che impugnavano una bandiera rossa e che avrebbero potuto, in quel determinato giorno o settimana, prendere il potere con la forza. Non si assisterà più a scene del genere."
Egli forse tendeva più alla distruzione che all'emancipazione ed oggi parla con chiarezza di quello che più lo soddisfaceva: "Potevo notare gli sguardi smarriti delle autorità scolastiche al college o dello stesso primo ministro britannico. Non avevano idea di cosa stesse succedendo, stavano perdendo il controllo della situazione, erano preoccupati. Ed io mi gustavo quelle facce spaurite e godevo dell'ansia che quei personaggi autoritari stavano provando."
La disillusione tuttavia, nelle parole di Hitchens, era scritta nel Dna del 1968. All'età di 19 anni si trovava a Cuba, quando le truppe sovietiche invasero la Cecoslovacchia, e, mentre Fidel Castro rifletteva su come reagire all'accaduto, sembrava che il popolo cubano stesse dalla parte dei cecoslovacchi. "Poi, Castro tenne uno dei suoi lunghi, tediosi e mendaci discorsi per giustificare l'operato del Cremlino e, in quel momento, un osservatore acuto avrebbe potuto comprendere che il comunismo era finito. Ciò che non colsi allora era che stavamo celebrando la fine, non l'inizio di qualcosa: il 1968 fu l'ultimo spasmo del socialismo idealista. Si trattò di un afflato menzognero e l'unica cosa che annunciò sarebbe stato il 1989. Una prova generale della fine del Socialismo Reale, sebbene molti miei compagni tardarono a capirlo, che si sarebbe concretizzata vent'anni più tardi in Ungheria, Cecoslovacchia, Yugoslavia ed altrove.
E allora, cosa rimane di quel genere di trotzkismo una volta eliminate le illusioni? L'internazionalismo? "Certamente, ed il ruolo delle idee nell'azione. Una fusione di idee ed estetica con l'interventismo. Sì, l'internazionalismo è ancora un concetto prezioso per me."
Durante l'ultimo anno trascorso ad Oxford, Hitchens incontrò James Fenton, un promettente poeta, che convinse ad aderire all'Is. Da parte sua, Fenton mise in contatto Hitchens con il mondo letterario londinese. "Mi presentò Roy Fuller ed io pensai «Dio, sto bevendo qualcosa con Roy Fuller, che conosceva Auden e Spender»". Entro il 1973, Hitchens avrebbe scritto editoriali politici sul New Statesman avvalendosi della collaborazione di intellettuali come Fenton, Martin Amis, Julian Barnes e Clive James. Più tardi aggiunse Salman Rushdie al novero delle sue amicizie. In quel periodo, Hitchens viveva nel cuore di quello che sarebbe stato, e che sarebbe rimasto, il principale gruppo letterario britannico. Sebbene fosse dal punto di vista politico il pensatore più avanzato di quell'élite emergente, Hitchens si considerava "un pianeta secondario in quel sistema, e contento di esserlo. C'era molto da imparare ascoltando."
Tra tutte le sue amicizie, quella con Amis fu la più intensa ed inizialmente Hitchens la visse con una certa sudditanza. "Era incredibile, un tipo alla Mike Jager. Non provai mai gelosia nei suoi confronti. Ero convinto che il suo successo fosse meritato. Lo incontrai la prima volta in occasione della pubblicazione del suo primo romanzo, The Rachel Papers. Tenne un party per celebrare l'evento, del quale ho un buon ricordo, in particolare della sorella con cui mi intrattenni quella notte. Lei non era la Amis che mi interessava realmente, ma non mi potei lamentare." Amis ha sempre detto di essersi accorto che l'invidia di Hitchens nei suoi confronti riguardasse più il rapporto che egli aveva con il padre che il valore dei propri scritti. Hitchens concorda, descrivendo il rapporto quasi amicale tra Amis e il genitore di lui, Kingsley.
A Cipro, mentre nel 1977 scriveva un libro sulla partizione, Hitchens conobbe la sua prima moglie, Eleni Meleagrou, che gli avrebbe dato due figli. Alla fine degli anni settanta, i due già pensavano di partire per l'America. Aveva abbandonato l'Is nel 1976 (poco prima che si trasformasse nel Partito dei Lavoratori Socialisti). Intanto l'ascesa della Thatcher stava aggravando le prime fratture interne alla sinistra. "Molte persone di sinistra dovettero prendere atto di quanto fosse molto più radicale essere thatcheriani. Io non fui tra quelli. La tesi di Tom Nairn-Perry Anderson era che il maggior problema della Gran Bretagna riguardasse le istituzioni nazionali - un sistema da ancient regime - e che il Labour non avesse fatto nulla per modernizzarle. Cosa che invece fecero i conservatori. Ecco perché decisi di lasciare il Paese; sapevo che la sinistra non era in grado di fare ciò che serviva, ma non volevo collaborare ad un tentativo di modernizzazione promanante da destra."
Un'offerta di Victor Navasky per The Nation, a New York - che aveva legami col New Statesman - convinse Hitchens al grande salto. Si sposò sul World Trade Centre ed ebbe quasi subito il primo figlio (descrive Alexander come un "duro" e recentemente l'ha portato in Iraq). Prima vissero a New York e poi a Washington dal 1982. Presto Hitchens scoprì di essere arrivato dove voleva.
Hitchens negli anni ottanta si occupò dei crescenti squilibri nel mondo sovietico, del lascito degli interventi degli Usa in America Latina, e - anche grazie all'amicizia stretta con Edward Said - sostenne la causa palestinese. Più di ogni cosa, avversò convintamene l'amministrazione Reagan, pur riconoscendo al reaganismo il merito di aver dato forza alla causa della sinistra anti-sovietica. Nel 1982 si schierò con il governo Thatcher contro la junta argentina riguardo le Falklands, contrapponendosi alla quasi totalità della sinistra britannica e questionando aspramente con Fenton. "Sono stato a Buenos Aires e ho constatato di che cosa il regime di Galtieri fosse capace." Cita l'episodio per esemplificare il graduale regresso della sinistra britannica verso posizioni reazionarie. "Se avessimo lasciato correre, avremmo dato modo alla Junta di rimanere al potere almeno altri dieci anni e di distruggere la società delle isole Falklands." Hitchens paragona la reazione degli amici liberal alla sua presa di posizione sulle Falklands a quanto è avvenuto in seguito alla sua decisione di sostenere Bush in Iraq. "Ti trattano come se tu fossi un perfetto idiota. Non esiste un'intolleranza tanto acuta quanto quella dei liberal, non esiste chiusura mentale più ermetica della loro."
Nel 1989, il matrimonio di Hitchens finì. Poco prima aveva conosciuto Carol Blue. In quel periodo cambio anche il suo modo di scrivere. Martin Amis ritiene che il 1989 con i suoi avvenimenti- fu l'anno della fine del comunismo sovietico e della fatwa contro Salman Rushdie - liberò la prosa di Hitchens. Entro certi limiti, Hitchens concorda : "Finché è durata, la guerra fredda condizionava chiunque scrivesse. Si rischiava di essere considerati sostenitori di uno dei due campi in lotta se appena si osava criticare l'altro."
Se negli anni ottanta era stato Ronald Reagan il bersaglio preferito di Hitchens, negli anni novanta la sua furia, questa volta condita da un astio personale, si scatenò contro Bill Clinton. Nel suo libro No one Left to Lie to, Hitchens accusò apertamente il presidente di corruzione in relazione all'affare Whitewater. Per Hitchens, soprattutto, Clinton rappresenta l'incarnazione della corruzione stessa. Dietro il rancore verso Clinton si cela la rabbia verso l'intera generazione del '68, incapace di mantenere le promesse che aveva lasciato intravedere. "(Clinton) Non mi piace perché ha screditato la preziosa alleanza tra i movimenti per i diritti civili e pacifisti, di cui fui membro ed a cui devo la mia formazione politica. Perché ha mentito sul suo essere un disertore. Perché ha tentato ostentatamente di mostrasi più favorevole al rispetto dei diritti di civili di quanto lo era stato un tempo. Si è comportato in modo cinico, ambizioso ed egoista. Mi fa star male l'idea che egli sia stato il personaggio della generazione del '68 che ha ottenuto il lavoro più importante e prestigioso."
Alla fine degli anni novanta, Hitchens cominciò gradualmente a riconciliarsi con la sua generazione e con l'idealità socialista. Decise di lanciare un crociata, di sinistra, contro Henry Kissinger, cercando di portarlo in tribunale per i crimini connessi al bombardamento della Cambogia ed al rovesciamento del governo Allende in Cile. La causa fu archiviata proprio il giorno del ventottesimo anniversario del golpe cileno, l'11 settembre 2001. Ricorda Hitchens: "Mi trovavo in California quella mattina, quando arrivò un chiamata di Carol che mi invitava ad accendere la televisione per constatare che la campagna per arrestare Kissinger si stava risolvendo in un nulla di fatto."
Ciò che Hitchens provò dopo gli attacchi del 2001 fu paragonabile ad una sorta di ebbrezza, un'improvvisa scarica di energia riconducibile a quella che sentiva sprigionarsi ai tempi del '68 - "un incoraggiante segnale di polarizzazione" come ebbe a dire il suo amico Israel Shahak. "Appena vidi gli aeroplani schiantarsi, capii cosa stava avvenendo. Compresi che l'attacco proveniva dall'Islam. Un flash che illuminava l'intera scena. Già sapevo cosa avrei detto in proposito, come già sapevo in che modo avrebbero commentato quei fatti drammatici i miei compagni della vecchia sinistra."
In cinque anni di guerra. Hitchens ha avuto modo di discutere e questionare con molti personaggi chiave. Diversi sono passati dal suo appartamento. E' stato accusato di razzismo, di auto-compiacimento, di aver tradito le sue amicizie. Ma Hitchens sostiene di non aver perso molto tempo a litigare con i vecchi compagni. Piuttosto ha raccolto intorno a sé un piccolo gruppo, composto da sunniti, sciiti e curdi desiderosi di impegnare le proprie energie contro quello che appare il mostro stalinista dei giorni mostri. "Questa esperienza mi ricorda gli anni sessanta, quando operavo in sinergia con i rivoluzionari. Mi ricorda i miei giorni migliori."
Allo stesso tempo, è entrato in contatto anche con i detentori del potere. Nel 2002 si incontrò con Paul Wolfowitz, allora vice di Donald Rumsfeld alla Difesa. Sorprendentemente, Hitchens scoprì di condividere alcuni punti di vista di uno dei "falchi" della Casa Bianca: la scarsa simpatia verso Kissinger e la convinzione che nel 1991 gli Usa avessero tradito la ribellione sciita contro Saddam Hussein. I due rimasero amici.
Anche Qubad Talabani, figlio dell'attuale presidente iracheno Jalal e lobbista in America per il governo regionale curdo, ha avuto un'intima e serrata discussione con il Nostro nell'appartamento di Washington. Tanti i temi sul tavolo: le incursioni turche nel nord dell'Iraq, gli errori di Paul Bremer, il primo governatore americano dell'Iraq, i legami tra Saddam ed al-Qaeda, la necessità di creare un Iraq federale. Non è difficile scorgere nei discorsi del giovane Talabani l'ideale cosmopolita di Iraq che Hitchens auspica, in contrapposizione al permanente rischio di guerra civile tra sciiti e sunniti. Egli è impegnato sul fronte iracheno dai primi anni novanta, quando si muoveva nel Paese alla ricerca delle prove dell'utilizzo, da parte del regime, di armi chimiche contro la minoranza curda.
Hitchens sostenne l'invasione dell'Iraq nel 2003 non perché convinto della presenza di armi di distruzione di massa nel Paese, ma perché persuaso dell'urgenza di eliminare Saddam Hussein, considerato un azzardo troppo grande per il Medio Oriente. E' possibile rintracciare nel suo ragionamento la convinzione che esista la necessità storica di spazzare via il totalitarismo. Il voltafaccia che molti rimproverano ad Hitchens deve essere piuttosto inteso come un ripensamento sulla natura degli Stati Uniti: non più ostacolo alla rivoluzione, ma agente imprescindibile per scardinare lo status quo. Ovviamente, ne scaturisce una postura meno critica nei confronti del potere americano ed occidentale in genere.
Il magazine online Slate ha recentemente condotto un'inchiesta tra i "falchi liberal", domandando loro se fossero ancora convinti, cinque anni dopo, della bontà della decisione di invadere l'Iraq. Hitchens è stato l'unico a rimanere ostinatamente sulle sue posizioni. Spiega il suo pensiero con un excursus, che rimanda ad una lunga serie di tradimenti patiti dagli iracheni e cagionati dagli Stati Uniti. A partire, ironicamente, dal ruolo giocato dalla Cia nel favorire il golpe del 1968, che avrebbe portato al potere proprio Saddam Hussein. L'invasione del 2003 rappresenta un'inversione di tendenza rispetto alla lunga serie di atroci beffe che l'America ha inflitto negli ultimi decenni all'Iraq.
Hitchens non pretende di dimostrare che tutto stia andando per il meglio. Ma si chiede che cosa sarebbe oggi l'Iraq post-Saddam senza l'occupazione militare. "L'Iraq era proprietà di un fascista sadico, che stava ammazzando ed umiliando la sua gente, sprecando le risorse del Paese e preparando la successione ai suoi fanatici figli, che probabilmente avrebbero finito con lo scatenare un lotta intestina per il controllo dello Stato. Invece oggi abbiamo un curdo socialista ed umorale alla presidenza dell'Iraq. E qualcuno crede che io debba scusarmi per le posizioni che ho espresso, ed esprimo, in proposito. Al diavolo! Dall'altro lato abbiamo quanto di peggio esista politicamente al mondo: i baathisti, ossia i nazisti del Medio Oriente, i sunniti fondamentalisti, ossia coloro che si oppongono alla modernizzazione ed al progresso, e, per finire, il governo dell'Iran."
L'ultimo impegno che ho con Hitchens si consuma in compagnia di Ayaan Hirsi Ali, accusata di apostasia dal fondamentalismo islamico, ed impegnata, agli occhi del Nostro, sul nuovo fronte della lotta tra razionalismo illuminato e Fede. Vi è qualcosa di più dell'ateismo che spinge Hitchens verso Hirsi Ali. Entrambi annoverano tra i loro avversari sia musulmani che liberal occidentali. Ian Buruma e Timothy Garton Ah, entrambi pensatori liberal di primo piano, contestano le modalità intransigenti con cui Hirsi Ali ha deciso di contrapporsi al mondo musulmano islamista. Lo stesso motivo per cui Hitchens invece l'apprezza.
Secondo Hitchens, la deriva palestinese è stata causata proprio dalla tendenza crescente a dare spazio all'islamismo nella vita politica. "Io sono ancora a fianco della loro causa...ma hanno concesso troppo ad Hamas, si sono compromessi con la Siria ed Hezbollah e si stanno sempre più identificando con le dittature più spregevoli del Medio Oriente."
Coniando il termine "fascismo dal volto islamico", egli trova il modo di coagulare i suoi argomenti contro il fascismo, il comunismo e la religione. Resiste tuttavia alle suggestioni del centrismo liberale. "Non sono mai stato affascinato dall'arte del possibile o da argomentazioni del tipo in medio stat virtus. Perché infastidire la gente con la politica se fossero così banali le conclusioni a cui potremmo giungere grazie ad essa? Servono uomini politici o semplici manager?
Tento di rispondere, ricordandogli che a volte il centrismo e la moderazione dei liberali è animata dal desiderio di aiutare i bisognosi - preoccupazione liquidata da Hitchens come "carità cristiana." Hitchens diventa sbrigativo quando gli si chiede di spiegare le sue convinzioni in tema di politiche socio-economiche. Sostiene di non avere preconcetti: "Qualsiasi cosa funzioni; qualsiasi cosa indichi l'evidenza dei fatti." Disquisendo di affari internazionali, Hitchens, si attesta a fatica su posizioni post-ideologiche, pur essendo ancora illuminato dalla chiarezza di una mente ideologica. Spesso rimane tuttavia invischiato in un groviglio di contraddizioni.
Dice di ritenere gli Stati nazionali essenziali per la democrazia, ma rimane a favore di un'Europa sopranazionale. Sostiene di non credere più alla redistribuzione, ma difende il modello scandinavo, non sopporta lo stile "law and order", ma apprezza l'operato di Rudolph Giuliani a New York. Sull'immigrazione non ha un parere perché sostiene di non saperne abbastanza. Hitchens è un polemista, non un filosofo politico od un tuttologo.
La nostra conversazione sembra al capolinea, ma Hitchens divaga improvvisamente, sferrando un ultimo attacco alla religione ed al suo ruolo pernicioso nella Storia. Tuttavia, ironia della sorte, la convinzione di Hitchens che la Storia possa essere oggetto di dibattito e possa essere interpretata in modo univocamente coerente si avvicina ad una vera e propria professione di fede. La casualità degli eventi umani ha disilluso miriadi di idealisti, moralisti e rivoluzionari. Ma Hitchens è per temperamento incapace di abbandonare le sue abbaglianti certezze e di trasformarsi in un realista liberale. Le rotture, le divisioni ed i contrasti che hanno caratterizzato la sua carriera non hanno fatto altro che esacerbare il suo assolutismo. Originate dalla brace di un passato imperiale, le sue sono le ultime fiammate di una furia politica tipicamente inglese.

Il giornalista di Prospect, Alexander Linklater, ha trascorso tre giorni con lui a Washington per analizzare la parabola di uno dei maggiori esponenti del ‘68.






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