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LA FINE DEL PORCELLUM

La Cassazione prende in esame il ricorso contro la legge elettorale

Data: 2013-05-28

La Corte di Cassazione, Sez. I  Civile ha fatto proprie le  censure ci costituzionalità di 27 cittadini elettori patrocinati dagli avvocati Bozzi e Tani  in un giudizio che prendeva le mosse dalle sentenze n. 15 e 16 del 2008 della Corte Costituzionale, dove le censure erano già state sollevate dall'Avv. Felice Besostri nel  febbraio del 2008. 

L'avv. Besostri, già componente della commissioni affari costituzionali del Senato, è lo stesso che ha discusso il ricorso davanti alla Cassazione lo scorso 21 Marzo. "Si sarebbe potuti arrivare prima a questo traguardo - ha sottolineato Besostri - se i giudici amministrativi avessero rimesso alla Corte nei ricorsi contro le elezioni del 2008 e se il Tribunale e la Corte d'Appello di Milano non si fossero, illegittimamente, sostituiti alla Corte Costituzionale".

 Un pensiero va anche ai mezzi di comunicazione che hanno ignorato le vicende per ben 5 anni.

Scrivevamo nel febbraio del 2012 sul Nuovo Avanti di Critica Sociale:

“Nel più assoluto e scientifico silenzio stampa (ai limiti della censura documentabile) sta passando inosservata la notizia che il prossimo 22 marzo la Corte d'Appello di Milano è stata chiamata, da un gruppo di “cittadini-elettori” milanesi e lombardi ma non solo, a pronunciarsi sulla richiesta di rinviare alla Consulta la questione di costituzionalità relativa al premio di maggioranza, alle liste bloccate, all' indicazione sulla scheda elettorale del premier e al quoziente elettorale differenziato. In pratica alcuni elettori hanno chiesto al giudice ordinario di sottoporre alla Corte costituzionale se sia attualmente rispettato il proprio diritto al voto in modo conforme alla Costituzione. Sono persuasi di no, come un sempre crescente numero di elettori, ormai, di fronte al “parlamento dei nominati” pagati con le tasse di tutti (il “costo della politica” senza partecipazione politica) ma scelti in camera caritatis, a destra, a sinistra, al centro. Le parti della legge di cui si eccepisce la costituzionalità, sono - come si vede (maggioritario, preferenze, presidenzialismo “di fatto”) - le stesse che sarebbero state sottoposte al referendum abrogativo “Passigli-Sartori”. Insomma il Porcellum.

Questa iniziativa “civile-civica” - dal basso - non sorge però all'improvviso, ma poggia, ed è rafforzata, proprio dalle motivazioni contenute nel rigetto da parte della Consulta, lo scorso gennaio, dei referendum elettorali “pro-mattarellum” o, in alternativa, “pro-elezioni anticipate” (per tenersi la legge che c'è). Questa seconda ipotesi non sembra più percorribile, visti i sondaggi in discesa di tutti i principali partiti politici: una gara all'ingiù. Lasciato il manubrio del governo ai tecnici, i partiti hanno cose più importanti di cui occuparsi, cioè di loro stessi. E questo lo si decide con la legge elettorale che li plasma e ne crea le condizioni per ritornare a schemi nuovi di sopravvivenza. Cosa diceva la Corte nella motivazione di gennaio? Essa richiamava il precedente di due sentenze del 2008 (la numero 15 e 16 della Consulta) con sui si eccepiva la costituzionalità del maggioritario, che tuttavia non si prendeva in esame nelle decisioni al momento da assumere, poiché la Corte era chiamata a pronunciarsi sulla ammissibilità del referendum e non sulla legge: cosa, appunto, che essa chiedeva le venisse sottoposta, per un giudizio di costituzionalità, dal giudice ordinario in assenza di iniziative correttive del Parlamento.

La questione sollevata, è stata più volte richiamata dal Presidente Napolitano.Ma il Parlamento non ha corretto nulla, anzi. Né - dal canto suo - il giudice, sia civile che amministrativo, ha mai preso l'iniziativa (pur potendolo fare) dichiarandosi “carente di giurisdizione” a trattare la legge elettorale. La soluzione indicata dal Tribunale, a cui si era già chiesto in passato di intervenire, aggiungeva la beffa al danno: rinviare la decisione alla Giunta per le Elezioni della Camera e del Senato, ovvero - anziché alla Corte - agli stessi eletti di cui si mette in dubbio la correttezza del metodo con cui sono stati eletti, loro giudici di se stessi. Questo è lo stato di salute della sovranità popolare, la cui sottrazione agli elettori garantisce i partiti della seconda repubblica, da un ventennio, di autotutelarsi tenendo a debita distanza la partecipazione politica degli elettori dalle istituzioni rappresentative occupate dai “nominati” (prima con l' uninominale, poi con lista bloccata e ora addirittura in vacanza permanente).Di qui l'iniziativa “civica” del gruppo di ricorrenti. Si tratta di evitare che la faccenda si ammatassi su se stessa. La strada scelta non è stata, da parte loro, di “impugnare i comizi”, ovvero di contestare lo svolgimento delle elezioni già tenutesi, ma di chiedere al Tribunale - con un'azione ordinaria - che si consenta alla Corte Costituzionale di pronunciarsi sul diritto di poter votare secondo Costituzione. Non si mette, cioè, in discussione il risultato elettorale, ma il modo di votare, per cambiarlo nel rispetto dei diritti costituzionali degli elettori, prima del prossimo ritorno alle urne.

La controparte naturale - non potendo essere il Presidente della Repubblica che promulga le leggi, ma è costituzionalmente irresponsabile - è il Governo che le controfirma, ed in particolare la Presidenza del Consiglio ed il Ministro degli Interni, al tempo del “porcellum”, Berlusconi e Maroni. L'esecutivo di allora si oppose con l'Avvocatura di Stato alla richiesta del comitato civico promotore dell'azione giudiziaria. Nella totale indifferenza della stampa e delle televisioni, comprese quelle che a ogni piè sospinto fustigano la “casta”, si è consumato, nella disattenzione generale, un ultimo scandalo con la redazione di un principio ( articolo







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