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I SAGGI E LA SAGGEZZA NON SONO COINCIDENTI

Coinvolgere i cittadini nella decisione sulla riforma dello Stato

Data: 2013-06-10

di Mauro Del Bue

Bisognerebbe tornare a Platone. Al suo governo dei saggi. Cioè dei filosofi, gli unici che avevano la possibilità di scrutare nel mondo delle idee. Era un modello istituzionale di tutto rispetto. Con un evidente conflitto d’interesse, essendo lui stesso, Platone, un filosofo. E dunque proponendosi di fatto come il più saggio di tutti. Dunque come il naturale capo di tutti i governi. Sarebbe come se in Italia si proponesse un governo delle banche presieduto da un esponente del mondo bancario. Oddio, Monti non veniva dall’Iperuranio. Il problema di Platone derivava dalla difficoltà di realizzare il suo progetto. Andava e veniva da Siracusa, ospite dei governati locali, ma ogni volta ne trovava uno diverso e finiva sempre per essere cacciato e anche imprigionato.

Avrà pensato: “Che razza di Paese però l’Italia dove i governi cambiano così in fretta…”. Non era arrivato ancora a pensare ai giorni nostri. D’altronde, a forza di stare nell’Iperuranio può accadere. La verità è che tra i saggi e la saggezza c’è di mezzo il mare. Quello che separa Grecia e Italia. E che d’estate è assai frequentato anche a fronte della crisi che ha rischiato di far precipitare entrambi i Paesi nel baratro. Così capita ancor oggi che i saggi vengano scelti senza occuparsi della loro saggezza. Prendiamo quelli nominati da Napolitano che avrebbero dovuto elaborare un programma di governo comune. A cosa sono pervenuti dopo giorni di intenso lavoro? A stabilire, ad esempio, che tra le riforme possibili vi è il semipresidenzialismo alla francese, e che sulla legge elettorale esistono posizioni diverse? È saggio ammettere di non essere riusciti nell’intento. Errare humanum, sed perseverare diabolicum.

E invece ecco che i saggi vengono riproposti elevando il loro grado a più numerosi aspiranti. Ben 35 platonizzanti, ma in Grecia il diploma di saggio-filosofo si otteneva solo dopo tre cicli di scuola, si arrogano ora il diritto di fare proposte di riforma istituzionale e costituzionale. Chi li ha eletti? Nessuno. Da chi hanno ottenuto un così elevato riconoscimento? Dal presidente Letta. Ma sbirciandone i nomi, risulta all’occhio che sono stati tenuti presenti i soliti equilibri politici. A un Violante corrisponde un D’Onofrio. E via equilibrando. Che non ci sia neppure un socialista, nemmeno l’ex presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, non stupisce.

I sette parlamentari del Psi battano un colpo. Resta il fatto che a costoro spetterà la prima mossa. Vuoi vedere che arriveranno alla stessa conclusione dei saggi precedenti, che sono poi in certa misura quelli attuali? Non vorrei che a Letta capitasse quel che capitava ai governanti di Siracusa dopo ogni viaggio di Platone. E che facesse anche lui una brutta fine. Non è mai saggio fidarsi troppo dei saggi….(Mauro del Bue)

 

Riformismo dall’Alto? Una velleità difensiva seguita dalla ribellione

di Stefano Carluccio

Il “riformismo dall’alto” in tutta, ma proprio tutta, la Storia ha sempre avuto un’origine nei tentativi estremi di difesa di regimi contestati, nei tentativi di adeguamento del potere alle sempre più pressanti manifestazioni di insoddisfazione se non di ostilità’ delle popolazioni.

Sempre il riformismo dall’alto si è risolto in un “prendere il braccio” una volta “dato il dito” da parte dei popoli e dei sudditi.
Che la cittadinanza formale sia ormai una realta’ sociale e “giuridico-regolamentare” di sudditanza e’ un fatto storico che prosegue da 20 anni e che non è più sopportato.
Alla stanchezza per questa situazione si cerca di porre rimedio “concedendo” ( obtorto collo, peraltro) riforme dall’alto, ovvero dagli stessi che hanno tenuto sudditi i cittadini italiani per 20 anni. Meglio tardi che mai, si dirà. Ma non c’ e’ mai vero riformismo in quelle concessioni, c e’ arroccamento. C’è’ autodifesa di censo, non democrazia. Mai, per la natura stessa dei rapporti di potere sottostanti.
Le “Riforme dall’alto” di oggi sono la linea più avanzata di azione riformista imposta da Napolitano a sua volta costretto a farsi rieleggere per l’ impazzimento generale dei partiti, in particolare del PD.
Non si sottovaluti, in questo contesto, il rifiuto del voto di metà dei romani. Ma si osservi che la stragrande maggioranza della popolazione medio bassa (dalle periferie in la’, verso le borgate) non ha votato sindaci sentiti come “non propri”, ma altrui, della classe politica cui ruota attorno il partito romano, che non è di destra ne di sinistra, ma estraneo. Al voto sono andate le classi medio alte, e più ampia sara’ l’ astensione al ballottaggio. Sara’ evidente lo stacco tra la crosta istituzionale e la realtà popolare.
Il voto sta progressivamente diventando un comportamento minoritario, d élite, e una riforma elettorale che si vuole a posteriori rispetto alla forma del governo, quindi cucita su misura da chi intendete fingere di cambiare per nulla cambiare da 20 anni, sarà’ una legge elettorale che sposterà la rappresentanza dal parlamento al presidente, senza obbligo del 51 per cento dei voti.
Il principio di sovranità sarà cancellato, e con esso il popolo dallo Stato.

Noi prestiamo una viva attenzione ai fatti di Roma, più che ad altri fenomeni di contestazione.
Il disertare il voto dei romani, non è un campanello d allarme, e’ uno smottamento concreto.
Non si dimentichi Cola di Rienzo e la Repubblica del 49: Roma e’ paziente, ma spietata e senza alcuna soggezione per l autorità formale. La citta’ “popolare” riconosce disciplina solo verso il “costume”, il solo buon senso morale, l autorità morale e la condivisione degli interessi, (declinazione piu concreta del “bene comune” cui non crede nessuno. Per esperienza, non perché non sia ritenuto un giusto valore).
La convivenza fisica tra la Roma politica e i Romani può riservare delle sorprese che la Lega Nord si sognava.

Queste sono esattamente le “riforme dall’alto”: operazioni dilatorie della resa dei conti.
Di qui la seconda azzardata previsione: o ci sarà la ripresa economica vera, reale e non statistica, oppure al referendum “confermativo” dopo la riforma in vitro della repubblica in cui dovremmo vivere, il risultato sarà’ un voto contrario. Roma in testa.
Finalmente si capirà, ma saranno altri a capirlo e a farlo, che occorreva coinvolgere il massimo della forza morale contenuta nella popolazione, con una Assemblea Costituente convocata con una manifestazione solenne in Piazza del Popolo ( dove venne letta la costituzione della Repubblica romana a cui si ispirarono gli emendamenti alla costituzione americana e la nostra attuale costituzione italiana), e votata a suffragio universale, senza alcuno sbarramento perche’ anche chi prende l uno per cento potrebbe avere una buona idea, anche migliore di chi ha il 20.
Tutto questo e’ politicamente indispensabile per rendere partecipi gli italiani non solo dei sacrifici che l Europa ci chiede, ma soprattutto della repubblica in cui si deve vivere.
Ma fare questo vuol dire per chi è stata classe politica durante tutta la fallimentare seconda repubblica, mettersi in gioco.
Meglio allora “le riforme dall’alto”. Un’ illusione che svanirà già a partire dalle europee….che smentiranno gli impegni presi “a scatola chiusa”, e non solo in Italia. (S.car.)

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Il principio di sovranità sarà cancellato, e con esso il popolo dallo Stato.

 

Noi prestiamo una viva attenzione ai fatti di Roma, più che ad altri fenomeni di contestazione.
Il disertare il voto dei romani, non è un campanello d allarme, e’ uno smottamento concreto.
Non si dimentichi Cola di Rienzo e la Repubblica del 49: Roma e’ paziente, ma spietata e senza alcuna soggezione per l autorità formale. La citta’ “popolare” riconosce disciplina solo verso il “costume”, il solo buon senso morale, l autorità morale e la condivisione degli interessi, (declinazione piu concreta del “bene comune” cui non crede nessuno. Per esperienza, non perché non sia ritenuto un giusto valore).
La convivenza fisica tra la Roma politica e i Romani può riservare delle sorprese che la Lega Nord si sognava.

Queste sono esattamente le “riforme dall’alto”: operazioni dilatorie della resa dei conti.
Di qui la seconda azzardata previsione: o ci sarà la ripresa economica vera, reale e non statistica, oppure al referendum “confermativo” dopo la riforma in vitro della repubblica in cui dovremmo vivere, il risultato sarà’ un voto contrario. Roma in testa.
Finalmente si capirà, ma saranno altri a capirlo e a farlo, che occorreva coinvolgere il massimo della forza morale contenuta nella popolazione, con una Assemblea Costituente convocata con una manifestazione solenne in Piazza del Popolo ( dove venne letta la costituzione della Repubblica romana a cui si ispirarono gli emendamenti alla costituzione americana e la nostra attuale costituzione italiana), e votata a suffragio universale, senza alcuno sbarramento perche’ anche chi prende l uno per cento potrebbe avere una buona idea, anche migliore di chi ha il 20.
Tutto questo e’ politicamente indispensabile per rendere partecipi gli italiani non solo dei sacrifici che l Europa ci chiede, ma soprattutto della repubblica in cui si deve vivere.
Ma fare questo vuol dire per chi è stata classe politica durante tutta la fallimentare seconda repubblica, mettersi in gioco.
Meglio allora “le riforme dall’alto”. Un’ illusione che svanirà già a partire dalle europee….che smentiranno gli impegni presi “a scatola chiusa”, e non solo in Italia. (S.car.)







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