Pre-distribuzione è un concetto coniato da Jacob Hacker, professore a Yale, che sostiene la necessità che lo Stato prevenga il sorgere di intollerabili disuguaglianze nella società piuttosto che utilizzare la tassazione e la spesa pubblica redistributive per fronteggiare le conseguenze di eccessivi squilibri sociali. Prevenzione dunque, non cura ex post. Gli ultimi trent’anni hanno testimoniato crescenti squilibri nei livelli di reddito. La risposta redistributiva non è stata efficiente ed ha avuto l’effetto di aumentare il carico fiscale per i contribuenti, dando forza alle critiche neoconservatrici e liberiste al Welfare State. Pertanto, i riformisti dovrebbero focalizzarsi su riforme del mercato che incoraggino una più equa distribuzione del potere economico, prima che sia il governo a farlo con inasprimenti fiscali ormai insostenibili e dagli effetti marginali sul benessere del corpo sociale.
Viviamo in un’era di bassa crescita, di cambiamenti demografici significativi e di crescenti costi. Tutti fattori che concorrono a svuotare gli istituti tradizionali dello Stato sociale. In un tale contesto, l’accento sulla pre-distribuzione è un tentativo per tracciare nuove e ingegnose rotte per ristrutturare l’economia di mercato, garantire una crescita di lungo termine e un’equa ripartizione delle risorse tra i cittadini. Prima del 2008 esistevano due modelli preminenti di politica economica: l’approccio liberista dellatrickle-down economics (fatto proprio dalle forze di centro-destra) e quello dell’economia sociale di mercato, inteso a combinare libero mercato e redistribuzione della ricchezza (fatto proprio dai fautori della “Terza Via” e similari). Entrambi hanno alla lunga fallito nel tentativo di evitare il declino del modello capitalistico occidentale.
Davanti a queste amare considerazioni, il professor Hacker definisce la pre-distribuzione come una rottura necessaria per rifondare l’economia di mercato su basi più giuste. In un suo recente articolo sul Guardian, sostiene che la redistribuzione e la tassazione, benché importanti, non siano modalità popolari per governare, soprattutto in un momento storico dove il consenso è per vari motivi volatile (vedi il caso Hollande in Francia). “I cittadini vogliono lavoro e opportunità per conseguire una mobilità sociale basata sul merito, non assegni di disoccupazione o sussidi pubblici”, afferma.
Come riconosce sulle colonne del New Statesman, Patrick Diamond, senior research fellow di Policy Network ed ex consigliere al 10 di Downing Street, un simile approccio potrebbe consentire a un governo di mettere in moto misure attive per il lavoro in un contesto segnato dalla penuria di risorse. Il lavoro sulla pre-distribuzione è da diversi mesi parte integrante delle linee di ricerca di Policy Network e della sua attenzione alle politiche progressiste per uscire dalla crisi e garantire la sostenibilità dello Stato sociale, la massima conquista politico-sociale del ventesimo secolo.
Che cosa è la Pre-distribuzione?
Jacob Hacker, l'accademico statunitense considerato l'inventore del concetto di pre-distribuzione, invita "a concentrarsi su riforme di mercato che favoriscano una più equa distribuzione del potere economico prima che il governo raccolga le tasse o distribuisca benefit". Ci sono due possibili interpretazioni del concetto, sostiene Kitty Ussher, ex ministro laburista e attuale ricercatrice presso lo Smith Institute: la prima è importante, ma limitata, l'altra ha un potenziale più elevato. La prima interpretazione usa la pre-distribuzione per ammorbidire i danni collaterali dei peggiori eccessi dei mercati attraverso la regolamentazione preventiva, piuttosto che per mezzo di imposte o trasferimenti successivi. Ne sono esempi l'introduzione di un salario minimo per evitare lo sfruttamento e la crescita della disoccupazione o l’aumento dei requisiti patrimoniali per le banche in modo da rendere più difficile la concessione di prestiti a coloro che non possono pagare.
Il Professor Hacker sembra sposare la stessa tesi quando, facendo riferimento alla situazione americana, rimprovera la mancanza di restrizioni alle alte retribuzioni e spiega come la classe media non abbia un'organizzazione politica per cambiare le cose e sostenere la necessità di un nuovo modello politico organizzativo del "capitalismo democratico". Il collegamento realizzato da Ed Miliband tra pre-distribuzione e una campagna per il salario minimo, è parimenti sulla stessa linea.
A mio parere, tuttavia, continua Ussher, è un’altra interpretazione del neologismo “pre-distribuzione” ad avere un maggiore potenziale per raggiungere un cambiamento duraturo: “E’ ciò che definisco ‘l'interpretazioneempowerment’, che si concentra su ciò che è necessario per assicurare che un individuo possa rispondere alle incertezze di un'economia globale in modo positivo e fiducioso.”
Gli accademici Martin O'Neill e Thad Williamson giustamente collegano il concetto di pre-distribuzione al lavoro di John Rawls sulla parità di opportunità. Seguendo questo filone intellettuale, il ruolo del governo deve allargarsi oltre la regolamentazione e il contenimento dei peggiori eccessi del mercato, verso un approccio più centrato sugli individui. Si tratta dello sforzo di dotare tutti - indipendentemente dalle condizioni sociali alla nascita – degli strumenti per realizzare le proprie ambizioni e speranze, anche a fronte di possenti forze economiche che sembrano scoraggiare la meritocrazia.
E’ chiaro che i cittadini hanno bisogno di essere rassicurati sul loro futuro, hanno bisogno di previdenza sociale (che sia fornita dallo Stato o da un settore privato efficiente), in modo che una temporanea battuta d'arresto nella loro vita non determini danni permanenti. Per garantire questo bisogno anche in futuro, un governo riformatore dovrà aiutare le persone a costituire le risorse finanziarie per far fronte alle diverse fasi della vita. Il governo potrebbe lavorare con il privato nella progettazione di piani di risparmio specifici e destinati, all’occorrenza, a remunerare i cittadini in contanti o mediante bonus spendibili per scopi particolari e nei settori più disparati; dalla formazione continua, all’assistenza all'infanzia, ai bisogni legati all'età avanzata. Non si tratta di addomesticare o riformare i mercati, ma di plasmarli per raggiungere gli obiettivi che una collettività si pone.
La pre-distribuzione non ha senso se non si concentra sulle competenze. Il capitale umano è la risorsa più importante su cui un individuo possa contare. E’ un truismo affermare che la pre-distribuzione cerca di offrire ai lavoratori meno retribuiti capacità più elevate e dovrebbe essere realistico, in un'economia in cui l'apprendimento continuo è la norma, evitare che qualcuno si senta intrappolato per sempre in un settore economico e professionale con un potenziale limitato. Un elettore una volta mi ha detto: "Siamo molto grati per il salario minimo, ma non vogliamo posti di lavoro da salario minimo". Ne deduco che chi ha responsabilità di governo dovrebbe concentrarsi di più sulle storie individuali e perdere per un attimo di vista la pur necessaria valutazione delle tendenze settoriali, del quadro di insieme. Il quadro di insieme è fatto di individui, di comunità e se a quei livelli prevalgono insoddisfazione professionale e frustrazione lo spazio di manovra per le politiche macro diminuisce.
Infine, la pre-distribuzione non deve solo dare risposte a questioni economiche ma anche muoversi in aree di capacitazione, di benessere mentale e di resilienza caratteriale; discipline dove esiste un’ampia letteratura specialistica ma uno scarso dibattito politico. Allo stesso modo, lanetwork theory mostra come il nostro comportamento sia pesantemente influenzato da coloro che ci circondano; le considerazioni finanziarie influenzano ciò che facciamo, ma lo stesso può dirsi per molte altre cose. Ogni discussione sull’empowerment individuale in un’economia mista deve essere incardinata in una solida comprensione psicologica delle motivazioni personali.
Sottolineare l’importanza dell’empowerment significa credere alla crescita del potenziale economico di un paese, mentre il tradizionale approccio distributivo – così come alcune interpretazioni del concetto di pre-distribuzione – appare più concentrato su come spartirsi in maniera più giusta le fette di una torta che rimane sempre la stessa. Non che questo non sia un fine auspicabile, ma l’accento sull’empowerment è più promettente, perché fa leva su quella parte della natura umana protesa al miglioramento.
Forse parlare genericamente di pre-distribuzione non fa guadagnare voti e non solletica l’immaginario delle folle, ma, una volta spiegato, il concetto è senza dubbio accattivante. Infatti, parlare di pre-distribuzione, in concreto, significa parlare di equità e reti sociali di sicurezza, di potenziale umano, di rimozione delle barriere alla realizzazione personale di ciascuno, di opportunità eccitanti (e non solo per i giovani), della certezza che risparmio e proprietà sono una garanzia per i giorni difficili e di una società capace di farsi carico delle esigenze di chi vive momenti difficili. In questo senso, la pre-distribuzione potrà ritagliarsi uno spazio nel dibattito pubblico e conquistare crescenti consensi.
Quale modello di Pre-distribuzione?
La ricerca di giustizia sociale, di una più grande equità e solidarietà tra i cittadini, ha costituito la stella polare della socialdemocrazia europea da quando Bernstein difese la necessità del “socialismo riformista” alla fine del diciannovesimo secolo. Oggi, è giunto il momento, ma è giunto davvero, di costruire idee, narrative e interpretazioni originali per dare sostanza a nuovi propositi e nuove strategie politiche. Il vitale dibattito sulla nozione di pre-distribuzione, che ha preso recentemente piede negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, è un passo nella giusta direzione. Anche se non serve per vincere le elezioni, almeno nel breve periodo, si tratta di un argomento forte, utile a rilanciare il valido ma usurato discorso riformista. A sostenerlo è Patrick Diamond, ricercatore di Policy Network.
L’obiettivo dei governi riformisti europei dal 1945 in poi è stato creare un circolo virtuoso tra la produzione capitalista e la ridistribuzione statale. La crescita sostenuta del trentennio glorioso (sino al 1973) permise di finanziare la redistribuzione, di incoraggiare i consumi e, quindi, di stimolare ulteriormente la crescita. In Gran parte d’Europa, questo modello ha consentito di innalzare ampiamente la qualità della vita, di assottigliare il gap tra ricchi e poveri e di edificare un articolato sistema di servizi socio-previdenziali. Come noto, da una quarantina d’anni questo sistema è in declino, da cinque in crisi vera e propria. In due parole, non sostenibile. La pre-distribuzione può essere la risposta?
Un nuovo modello socio-economico fondato sulla pre-distribuzione deve rispondere a tre basilari preoccupazioni.
In primo luogo, deve orientare lo Stato verso obiettivi chiari e razionali in un’era caratterizzata dalla penuria di risorse da investire, dove molti governi stanno implementando severi regimi di consolidamento fiscale e dove l’austerità fiscale, alla luce di più ampi cambiamenti strutturali, deve essere considerata lo scenario purtroppo più credibile di lungo termine.
Secondariamente, bisogna riconoscere che la capacità redistributiva del Welfare State è andata scemando ben prima della crisi esplosa nel 2007-08. In parte, ciò riflette i mutamenti degli anni ottanta e l’imposizione di programmi neo-liberisti che hanno indebolito, se non smantellato, l’intelaiatura operativa, politica e ideologica dello Stato sociale. Non dimentichiamo il fattore demografico (soprattutto l’allungarsi della vita media) e la sua pressione sulla spesa sociale e sanitaria, che ha indirettamente, ma pesantemente, ridotto le risorse disponibili per interventi lungimiranti sull’istruzione e la formazione professionale. Non c’è da sorprendersi che molti Stati europei vivessero un declino della mobilità sociale sin dagli anni sessanta/settanta del secolo scorso.
Infine, considerando che oggi i mercati stanno producendo più ineguaglianza che mai, la pre-distribuzione non è una scelta, bensì una necessità. La combinazione di programmi di austerità e crisi finanziaria colpisce infatti chi è più debole e ingrossa le fila della disoccupazione europea, soprattutto, ma non solo, giovanile.
Pertanto, l’enfasi posta da più parti sulla riduzione delle ineguaglianze non può bastare. Non v’è dubbio alcuno che la più stringente regolamentazione dei mercati finanziari e la limitazione degli stipendi dei top manager possano aiutare: una governance delle grandi aziende che dia voce e ruolo ai lavoratori sarebbe l’embrione di un capitalismo più egualitario, così come la previsione di un salario minimo in tutta Europa. Tuttavia, bisogna andare oltre. E’ vitale intervenire prima, precocemente, per accrescere l’uguaglianza delle opportunità di vita. Nel corso dell’ultima decade molti paesi europei l’hanno fatto, investendo risorse a sostegno dell’educazione e dell’infanzia, ma il rischio è che il consolidamento fiscale generalizzato distolga risorse, finendo per proteggere, de facto, solo i tradizionali beneficiari del welfare classico. Chi, cioè, ha già maturato diritti pensionistici e previdenziali che molti in futuro nemmeno potranno sognarsi.
Preparare uno Stato efficiente per una nuova era richiede policymaker pronti a fronteggiare interessi settoriali, e se necessario a scontrarsi con essi, per spostare risorse dall’alto al basso, ma anche da una generazione all’altra e tra regioni differenti. Una strategia genuinamente pre-redistributiva implica un modo “diverso” di fare politica, che non si lasci condizionare dai gruppi di interesse elettoralmente coesi, ma riconosca che solo una filosofia di giustizia fondata su sacrifici condivisi permetterà alle nostre società di superare la drammatica transizione in atto. (A cura di Fabio Lucchini)