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I MAGHI DELL'AUSTERITY

I tagli alla spesa hanno una storia di risultati modesti. Perché sono tornati di moda?

Data: 2013-06-21

Le politiche dell’austerity sono un disastro, questa in estrema sintesi il parere espresso per Prospect da Tom Streithorst.  La Grecia, nonostante la cura da cavallo a cui ha sottoposto la sua spesa pubblica, rovinando il futuro di una generazione, ha visto crescere il debito governativo come percentuale del Pil. La spesa pubblica è scesa, ma anche il Pil, e in maniera più significativa. L’Irlanda, che ha applicato una ricetta economica simile, langue da tempo e lo stesso governo Cameron a Londra dovrebbe riflettere e cambiar presto rotta. L’Islanda, che viceversa ha rifiutato l’austerità in toto, sta crescendo. Nel frattempo, la Francia è tornata in recessione, la disoccupazione europea supera il 12% e l’intera economia continentale declina da almeno un anno e mezzo. Pertanto la pubblicazione di Mark Blyth, Austerity: The History of a Dangerous Idea (Oxford University Press), pare quanto mai tempestiva.

Blyth, professore di Politica Economica presso la Brown University, ci ricorda che al primo manifestarsi della crisi finanziaria (qualche anno fa), nessuno parlò di tagli alla spesa pubblica. Molti di coloro che oggi invocano l’austerity insistevano allora perché i governi salvassero le banche per evitare un collasso sistemico. Comprare il cattivo debito delle banche gonfia inevitabilmente il debito. Pertanto, pare difficile sostenere che i debiti pubblici siano cresciuti a causa dei governi spendaccioni, quando quegli stessi governi sono stati semi-obbligati a salvare il sistema finanziario prossimo al collasso. Nel 2007 il debito pubblico irlandese ammontava al 25.1% del Pil, quello spagnolo al 36.3. Molto al di sotto di quello della Germania!

L’austerity è salita in cattedra nel 2010, due anni abbondanti dopo lo scoppio della crisi finanziaria, scaricando i costi della stessa sul lavoro e la previdenza sociale. Questo almeno secondo Blyth, ma è difficile dargli torto.

Austerity: The History of a Dangerous Idea descrive in primo luogo l’attuale fortuna e diffusione delle politiche dell’austerity. In secondo luogo, esplora le radici intellettuali del concetto e le sue reali applicazioni nel corso del XX secolo, come l’ascesa hitleriana sullo sfondo dell’austerità tedesca degli anni Trenta o come il collasso dell’economia americana nel 1937, quando Roosevelt fu costretto a un intervento massiccio per risollevarne le sorti. Insomma, è chiaro che nel novecento i tagli e le contrazioni della spesa hanno avuto scarso effetto, peggiorando semmai situazioni fragili e instabili.

Certo, si tratta di una impostazione economica dai nobili natali filosofici, da John Locke a David Hume per arrivare all’irrinunciabile caposaldo Adam Smith, frettolosamente arruolato ex post nelle file degli ultraliberisti. Nonostante il pedigree invidiabile, i sostenitori del laissez faire rimasero spiazzati dal crollo borsistico del 1929, che precipitò il mondo nella peggior depressione a memoria d’uomo.

All’epoca JohnMaynard Keynes lanciò l’idea che le economie non necessitassero inevitabilmente di ritornare all’equilibrio di pieno impiego. Il ragionamento era, ed è, piuttosto semplice: “Tagliare i salari aiuta la singola impresa ma, dato che i lavoratori sono consumatori, un più basso livello di spesa per consumi finisce per ridurre la domanda globale; la fiducia delle imprese si fonda chiaramente sulla domanda dei loro beni … ed esse investono e assumono nuovi addetti quando il consumo sostiene la produzione. Di conseguenza, se il settore privato taglia le spese, tocca al governo intervenire per sostenere la domanda globale.” La Seconda Guerra Mondiale ha dato ragione all’economista britannico. E’ stata la spesa in deficit dei governi a porre fine alla Grande Depressione e a garantire la crescita del mondo occidentale per un trentennio.

Per decenni i teorici dell’austerity hanno giocato in difesa, salvo ricomparire sotto le insegne di Milton Friedman, che una volta disse: “Il ruolo degli economisti è mantenere in vita le idee sino a quando la situazione politica consente loro di ritornare di attualità.” Peccato che il riemergere dello Stato minimo e dell’austerità si sia rivelato un fiasco. Ci tocca sperare che ricominci presto l’oblio, conclude Streithorst.  (A cura di Fabio Lucchini)







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