EURO, DERIVATI NEL DEBITO ITALIANO. UNO SCOOP NEL CASSETTO DA 20 ANNI
La vicenda dei derivati messi nel sottostante dell’anticamera per l’Euro ha aspetti incomprensibili e, in particolare, la cosa più stupefacente è che la Repubblica schiacci il pulsante del siluro (che sembrerebbe diretto contro Draghi) alla vigilia della riunione del Consiglio Europeo dove l’Italia cercherà di rivedere gli spazi di manovra possibili per la crescita e per l’occupazione.
Stupefacente perché allora la Repubblica era esattamente dalla parte dei derivati e dell’ingresso subito, senza se e senza ma, nella moneta unica. Viceversa la vicenda vide Craxi e i socialisti a lui vicino (vivendola sulla propria pelle) i soli lucidi nel comprendere e denunciare quel che accadeva: cioè che liquidazione della classe politica attraverso Mani Pulite e la liquidazione del patrimonio nazionale e della forza economica del Paese fossero tutt’uno. L’errore fu nominale, poiché si parlò di uso politico della giustizia anziché di uso finanziario della giustizia (a fini politici della finanza).
Craxi si opponeva a quel modo di entrare nell’euro e denunciava come i parametri di Maastricht andassero ricontrattati, altrimenti l’Europa sognata non “sarà un paradiso, ma sarà un inferno”, disse da Hammamet, qual è ora.
Ma perché proprio ora il siluro al governo delle larghe intese alla vigilia del Consiglio europeo e all’indomani della sentenza che dovrebbe buttare fuori campo Berlusconi?
Colpisce la coincidenza nella cronaca politica degli effetti immediati: la perdita di forza contrattuale al Consiglio europeo e la cancellazione dal’ordine del giorno della questione costituzionale.
Tra allora e oggi, quindi, la contraddizione è solo apparente. Fatto il giro di boa, la liquidazione della sovranità nazione resta il filo conduttore, fuori e dentro il Paese.
Repubblica sostiene che i bilanci furono falsificati e che già ora, quelli ristrutturati per il debito di lungo periodo nel 2012 e sottoscritti nel ’90 sono carta straccia con una perdita di 1.550 milioni, mentre complessivamente l’operazione “ non perdere il primo treno” costerebbe oggi allo Stato 8.000 milioni, cifra tecnicamente destinata a crescere per la svalutazione dei beni sottostanti, nel lungo periodo.
Repubblica tirava nel ’90 la volata per entrare nell’euro al primo giro. Impossibile che Scalfari, espertissimo in materia, non sapesse nulla di quel che accadeva, anche perché molti dei protagonisti scrivevano sul suo giornale e ci davano da lì lezioni. Quanto ha guadagnato?
Ora la presa di distanze. Quanto guadagna vendendo al ribasso?
Dell’articolo ne risponde per legge l’editore, che è colui che ci interessa. Il capo del governo deve convocarlo per chiedere la dovuta documentazione che l’intenzione fosse quella di falsificare i bilanci. Questo prima della riunione dei capi di Stato e di governo. O si accontenta di un comunicato del ministero del Tesoro che assicura essere tutto corretto?
Nel servizio, stranamente, è assente Prodi. Quello della Sme di De Benedetti (l’editore) che invece fu sia da Bruxelles che da Roma il pedalatore che tirò più di altri la volata finale. Strano?
Non troppo, anzi, forse aiuta a capire.
Brevemente. Nel ‘92 grande speculazione contro la lira: il governo Amato difende la valuta e Ciampi vende metà delle riserve auree. Tuttavia bisogna arrendersi e la lira esce dal serpentone. La questione decisiva (e meno nota) è che l’ostinazione del governo era giustificata dalla convinzione che la Germania comprasse Lire per sostenerne il corso, secondo i patti presi come la regola di solidarietà nello SME prevedeva. Niente di tutto questo: Il Marco vide cadere la Lira senza muovere un dito.
Anche la Sterlina era sotto pressione e l’ambasciatore di allora a Londra confidò che gli inglesi insistevano affinché l’Italia rimanesse fuori dalla moneta unica e che assieme facessimo “lotta corsara”. Niente da fare, l’ideale europeo prima di tutto.
Ridotta l’Italia in quelle condizioni e nel pieno di Tangentopoli iniziano le privatizzazioni, ovvero la svendita dell’economia pubblica in saldi, gestita - da una parte e dall’altra del bancone - dagli stessi advisor che rappresentavano gli acquirenti (questione posta dalla Corte dei conti) Sono gli stessi operatori internazionali (tra cui Deutsche Bank) che ci hanno “consigliato“ i derivati da usare come le guide del telefono sul seggiolone per arrivare al bordo del tavolo.
Quanto è fruttato tutto questo allora alla banda di Repubblica?
Ora i compari si dividono, ognuno va per la sua strada. Di chi sarà la manina, tedesca o anglosassone? Chissà, le ricette sono differenti, ma il pollo è sempre lo stesso.
Quanto frutta oggi vendere al ribasso l’Italia, alla residua vecchia banda del ’90?
Il presidente Letta, allora, convocherà De Benedetti per chiedergli formalmente di documentare che i bilanci sono stati truccati, come il suo giornale scrive?
Se non ne fosse in grado, qualche vertice istituzionale farà una denuncia per aggiotaggio? Esiste ancora un po’ di forza politica in Italia?