La storia doveva essere finita da un pezzo, dopo il comunismo. In realtà è finita solo la politica. Almeno, è finita nella cultura progressista anglosassone, ma non è finita nella cultura (perdente per ora) latina.
Nel 1947 un filosofo, che era anche un alto funzionario del governo francese, Alexandre Kojève, pubblicò un testo dal titolo L'impero latino, sulla cui attualità conviene oggi tornare a riflettere. Con singolare preveggenza, l'autore affermava che la Germania sarebbe diventata in pochi anni la principale potenza economica europea.
Kojève vedeva con chiarezza la fine degli stati-nazione che avevano segnato la storia dell' Europa: come l' età moderna aveva significato il tramonto delle formazioni politiche feudali a vantaggio degli stati nazionali, così ora gli stati-nazione dovevano cedere il passo a formazioni politiche che superavano i confini delle nazioni e che egli designava col nome di "imperi".
Alla base di questi imperi non poteva essere, però, secondo Kojève, un'unità astratta, che prescindesse dalla parentela reale di cultura, di lingua, di modi di vita e di religione. La Germania protestante, egli argomentava, che sarebbe presto diventata, come di fatto è diventata, la nazione più ricca e potente in Europa, sarebbe stata attratta inesorabilmente dalla sua vocazione extraeuropea verso le forme dell' impero anglosassone. Ma la Francia e le nazioni latine sarebbero rimaste in questa prospettiva un corpo più o meno estraneo, ridotto necessariamente al ruolo periferico di un satellite.
Proprio oggi che l' Unione europea si è formata ignorando le concrete parentele culturali può essere utile e urgente riflettere sulla proposta di Kojève. Ciò che egli aveva previsto si è puntualmente verificato. Un' Europa che pretende di esistere su una base esclusivamente economica, lasciando da parte le parentele reali di forma di vita, di cultura e di religione, mostra oggi tutta la sua fragilità, proprio e innanzitutto sul piano economico.
Il viaggio di Putin dal Papa e il prossimo incontro del Vescovo di Roma con il Patriarca di Mosca non possono essere rinchiusi nelle relazioni tra chiese. Anzi, vanno estesi alla geopolitica. Recentemente la Chiesa Ortodossa ha ammesso apertamente che passi in avanti sul piano teologico tra Cattolici e Ortodossi non ne sono stati fatti, mentre grandi progressi ha avuto la comune consapevolezza dei temi di carattere sociale e politico che stringono in una morsa le popolazioni che abitano le aree influenzate dalle due chiese.
Lo scacchiere mediorientale registra, nel frattempo, spostamenti verso Mosca significativi e differenti da quelli classici dell’era Brezhnev: la prova è data soprattutto dal miglioramento delle relazioni israelo-moscovite, parallelamente al loro deteriorarsi dei rapporti con l’amministrazione Usa. Siria, Egitto, prossima caduta di Erdogan, ruolo autonomo dell’Arabia Saudita: tutto fa intravvedere un isolamento (un autoisolamento) dell’area occidentale di matrice anglosassone.
L’Europa è il cuore di una crisi che ancora non è ancora apertamente esplosa.
Perché prevediamo che esploda? Proprio per il realizzarsi della previsione di Kojeve e del suo "appunto" a De Gaulle sull’ "impero latino”.
Accenniamo ad uno spunto per un approfondimento che ci impegnerà anche sotto il profilo della storia e della identità socialista.
La civiltà mediterranea investe circa, se non oltre, 1 miliardo e mezzo di persone, dall’area mediterranea, al sud europea e al sud America. Questa civiltà (che nel Mediterraneo prima dell’Islam, che la scisse, si chiamava Romània, ad indicare la sua grande unità economica e culturale), si spaccò in due (oriente e occidente) con l’ingresso nel sud delle popolazioni sassoni.
Le popolazioni di oggi di civiltà latina non sono consapevoli del loro potenziale politico mondiale: la riunificazione di Roma-Bisanzio, Cattolici-Ortodossi, realizzerebbe di questa immensa area su cui “non tramonta il sole” l’ago della bilancia tra Ovest ed Est del mondo, poiché il blocco Latino-mediterraneo “presidia” le relazioni tra Nord e Sud. Putin l’ha capito e si muove a difesa dei cristiani per arrivare sino al Sudamerica.
Mosca, Terza Roma? No. Troppo enfatico. Eppoi Mosca senza Roma resta ad Est. Più realisticamente la crisi del capitalismo finanziario porta con sé una crisi di prospettiva del futuro, una crisi di prospettiva della sua civiltà, dell'"etica protestante come spirito del capitalismo".
La cultura latina ne è una possibile alternativa: Repubblicanesimo, umanesimo, autogoverno, federalismo, alleanza capitale-lavoro.
Tra cattolici/ortodossi e capitalismo protestante, oltre ad una differenza di condizioni sociali, c’è una radicale differenza, anzi un abisso che trova il suo fondo in un crepaccio che divide due visioni dell’uomo e del mondo, due sensibilità teologiche (sempre la teologia è fonte della politica). Tutto questo va oltre le attuali e abituali suddivisioni ideologiche, ormai insignificanti, poiché per nulla divise tra loro, ma tutte sulla medesima sponda della frattura, quella del rapporto puramente tecnico amministrativo tra Stato e popolazioni, privo di ogni creatività.
La questione ruota attorno all' idea dell’anima come consapevolezza pubblica, non solo privata (discrezionale).
La civiltà del capitalismo protestante crede nell’anima, ma ne esalta l’etica, non la spiritualità., l’astrazione rigorosa, non la concretezza del suo rapporto col “limite”, il rigore, non la misericordia, la competizione che manifesta la grazia, non l’umiltà che rende uguali e liberi. Il meccanismo collettivo, non la ricchezza della singola persona impedisce di avere una idea dell’economia e dello Stato che, nella sua esaltazione, vede il pericolo del caos non dell’associazione.
Infine, nell’arte protestante manca storicamente assente la morte. La sua cultura è il progresso, e questo è sempre inteso al fine di superare, allontanare, dimenticare la morte. L’opposto della civiltà latino mediterranea.
E’ possibile ragionevolmente prendere sul serio una civiltà che fonda l’idea di progresso sulla sconfitta della morte?
Nella cultura mediterraneo-latina, l’uomo che osserva il cielo stellato sa di farne parte e sa che gli sopravviverà, ovvero che il suo traguardo storico non sarà mai raggiunto, mentre lo Spirito dell’intelletto, poiché libero, è eterno.
Questo calza a panello alla finanza speculativa di oggi giorno che crea valore dal valore per sfuggire dalla morte insita nel ciclo, dalla crisi. Quella attuale non è una crisi ciclica ma di sistema. Nell’Europa e nei trattati europei - come ha sottolineato più volte Giulio Tremonti - manca la parola crisi.
La storia doveva essere finita da un pezzo, dopo il comunismo. Il futuro sarebbe stato finalmente una hall d’albergo, una sala d’attesa di mille aeroporti. In realtà è finta solo la politica. Almeno: è finita nella cultura progressista anglosassone, non è finita nella cultura (perdente per ora) latina.
Il riformismo. Veniamo a noi. Come sostenevano i vecchi socialisti riformisti, il riformismo è movimento. Che significa? Che la consapevolezza del limite spinge al progresso il quale tuttavia non ha mai un termine e, dunque, ciò che conta è la sua intenzione, la motivazione iniziale, la sua moralità che lo ispira, al di là della possibilità di vederne i risultato nell’arco di una breve generazione, il suo sfondo è la Storia, animata dalla sua visione dell’uomo come valore fine a sé stesso: in una parola classica, è “il Modo”. Il riformismo è un modo, non un programma. Ecco perché tutti possono dirsi riformisti, senza che ciò sia una garanzia per nessuno. Mai stati tanti astenuti contemporaneamente alla moltiplicazione dei riformisti.
Tutto questo Putin non l’avrà pensato, ma il suo viaggio a Roma e i suoi rapporti col Medioriente, il Sudamerica e soprattutto la sua riqualificazione della Cristianità lo portano sula strada dell’Impero latino di Kojeve. Ora forse si può capire perché Solzhenitsyn volle vedere Putin prima di morire.
Che significa per l’Europa? Che non si farà probabilmente mai, secondo quanto noi desideravamo.
Che è l’Europa che immaginava Albert Camus nel colloquio di Atene del 1955 con gli intellettuali greci: “La civiltà europea è in primo luogo una civiltà pluralista. Voglio dire che essa è il luogo della diversità di opinioni, delle contrapposizioni, dei valori contrastanti e della dialettica che non arriva a una sintesi.. In Europa la dialettica vivente è quella che non porta a una sorta di ideologia, al contempo totalitaria e ortodossa”.
La dialettica vivente della visione “solare” dell’Europa di Camus non abita a Bruxelles, né nella Cdu, né nel Pse che meglio farebbe bene a scegliersi come candidando non il "secondo console tedesco" Schultz, ma simbolicamente e significativamente il greco Papandreu. Ma questo non è possibile poiché già si vede che la Spd nella "Grosse koalition"altro non è che una delle due componenti di un unico partito che ora si perfeziona a destra come a sinistra: la Germania. E l'Europa sbigottita cede al totalitarismo del monetarismo e dell’ uniformità. Sarà difficile che stia volontariamente assieme. Dipende da quale élite vincerà. Se la bureaucracy o i demos. (S.carl)