Attraverso il profilo emblematico di Gaetano Pieraccini (1864-1957), medico del lavoro, amministratore e politico, di fede socialista riformista,il saggio ricostruisce in modo problematico l’intreccio tra cultura positiva, medicina politica, classi dirigenti liberali e socialismo alle origini dello Stato sociale in Italia nel presupposto della previdenza obbligatoria.
La letteratura è stata sollecita a rilevare il salto di qualità operato dalla sanità pubblica nell'Italia liberale, fino a sovrapporlo agli sviluppi della cultura medica intesi addirittura come “rivoluzionari” o almeno profondamente “riformatori”. Ha commentato ad esempio Guido Panseri (medico, intellettuale scientifico dell'Ottocento) che “legando l'arte medica allo Stato, i medici la liberano dalla dimensione semplicemente “negativa”che l'ha spesso accompagnata e ne mostrano le ultiformi possibilità. Ad essa il compito non solo di curare gli effetti perniciosi dei morbi, ma anche quello di produrre salute e felicità; ad essa di vegliare sulle industrie insalubri e sulle coltivazioni nocive; ad essa inoltre fissare la durata del lavoro giornaliero e imporre le opportune cautele igieniche alle lavorazioni pericolose. Negli anni del fascismo Pieraccini rappresentò un'Italia minoritaria, intransigente antifascista, fedele alle proprie idee che visse con grande dignità