La Prima Repubblica, ormai esaurita nello stallo fra comunisti e democristiani, è crollata sotto i colpi della magistratura, all'inizio degli anni Novanta e attende da allora la revisione della sua Costituzione.
Ci si domanda, da tempo, quali condizioni oggettive, oltre alle responsabilità dirette dei partiti politici, abbiano favorito l'insorgere del processo degenerativo e della diffusa situazione di illegalità.
E' vero che il compromesso sulla costituente è stato alle radici dello strapotere dei partiti? E' vero che l'Italia ha corso il rischio di diventare una democrazia popolare sul modello ungherese e cecoslovacco, come temeva Eugenio Reale?
Perchè il Pci si è tenacemente opposto, dopo la caduta del fascismo, alle esigenze di una Italia divenuta democratica che chiedeva trasparenza e controlli nella vita e nella finanza dei partiti?
Se l'assenza di personalità giuridica dei partiti ha prodotto l'onnipotenza della partitocrazia come mai il Parlamento, la magistratura, i vertici dello Stato non sono mai intervenuti per arrestare il fenomeno, prima della caduta del Muro? Quale groviglio di interessi ha spinto la Democrazia cristiana nella spirale di emulazione-competizione col PCI, proprio sul terreno dell'illegalità generalizzata? Perché il Psi, il Psdi e i partiti laici sono stati i primi a cadere sotto i colpi delle rivoluzione dei giudici?
Alle risposte, di fondamentale importanza per la precaria salute politica del nostro Paese, porta un contributo importante il libro di Giuseppe Averardi che è, insieme, una testimonianza e un saggio appassionante nel quale i meccanismi del potere – quelli visibili e reali, e quelli occulti e surrettizi-si intrecciano al di sopra ed al di sotto della politica e di-svelano la genesi di Tangentopoli.