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... n la sua intendeva dare
voce a tutte quelle donne che "aspirano ad ottenere la cooperazione cosciente ed attiva degli uomini migliori, di quanti, essendo emancipati, almeno in parte, dai sentimenti basati sulla consuetudine, sui pregiudizi e soprattutto sull'egoismo maschile, sono già disposti a riconoscere i giusti motivi che le donne hanno di occupare nella vita un posto degno per averne conquistato il diritto".In quegli anni di fine '800 la Kuliscioff (che allora abitava in via San Pietro all'Orto 16, insieme alla figlia Andreina, avuta quando stava con Andrea Costa) aveva saputo farsi conoscere nel capoluogo lombardo anche attraverso il quotidiano esercizio della professione di medico - anzi, come "geniale medichessa", per usare un'immagine di Turati., o più semplicemente come la dutùra nel dialetto meneghino caro a quelle povere donne milanesi, costrette a vivere negli ultimi piani delle case popolari, dove la Kuliscioff non rinunciava mai a accorrere e prestare aiuto, magari confessando con una punta di amarezza: " faccio il facchino tutto il giorno, sono esausta dal lavoro e non ho le forze sufficienti per affrontare una fatica così enorme come fare il medico dei poveri e salire i cinque piani", però aggiungendo subito: "che fare ? bisogna rassegnarsi".
Ma questo "privato" è solo un aspetto, un particolare, del suo temperamento, o meglio deIla sua "natura inquieta", come lei stessa non tralasciava di autodefinirsi con disarmante franchezza, magari aggiungendo che solo l'incontro con Turati le aveva offerto la possibilità di conoscere finalmente quella "meravigliosa fusione di due vite in una" (sono le sue esatte parole), destinata a pesare in misura massiccia (e spesso decisiva) sulle stesse vicende del socialismo italiano. Comunque, la differenza, anche come forma mentis, fra le loro due personalità rimarrà sempre evidente, e notevole. Perché Turati era un carattere appassionato e coraggioso, ma aveva anche un temperamento emotivo, ipersensibile, talvolta fragile e spesso incapace di liberarsi da una vena di pessimismo. Lei invece, la Kulscioff, anche se era molto esile nel fisico, dimostrava una superiore carica di energia e possedeva il privilegio dell'equilibrio e della serenità, che non l'abbandoneranno mai, nemmeno nelle circostanze più dure.
"Non così, non così, reverendo" aveva detto sottovoce a don Davide Albertario, appena aveva visto il direttore del giornale "Osservatore Cattolico" piangere di sdegno (e forse, anche un po' di paura), seduto accanto a lei durante il processo per i famosi tumulti del '98, mentre gli altri imputati - compreso Turati, insieme a Romussi, a Vaierà, a De Andreis, e tanti altri - erano chiusi in gabbia di fronte al Tribunale militare, che li condannerà a pene molto pesanti. Dei due anni di carcere inflittile, lei sconterà solo otto mesi, in conseguenza dell'amnistia accordata da Pelloux. Tornata in libertà, e senza rinunciare ai pur onerosi impegni di medica, è di nuovo al fianco di Turati, senza esitare a far sentire i suoi giudizi, sereni ma anche critici, che potevano coinvolgere non solo i "compagni" di fede politica.
Tutti, però, erano pronti a ascoltarla, sempre con quel misto di ammirazione e di affetto, di cui restano registrate anche qui di seguito le testimonianze toccanti, che coinvolgono tante personalità, pur fra loro diverse per la provenienza ambientale e culturale, per la biografia umana e politica, per il ruolo, o il "posto", occupato a livello pubblico: da Alessandro Levi a Rodolfo Mondolfo, da ...