(pagina 3)
... Mario Borsa a Luigi Salvatorelli, da Ivanoe Bonomi a Pietro Nenni, da Giovanni Amendola a Alessandro Schiavi, da Rinaldo Rigola a Virgilio Brocchi. Insomma, una spontanea, e insieme straordinaria,
concardia discors, di cui si ritrovano echi non meno indicativi anche nei commenti giornal i-stici di un Giovanni Arnaldo, di un Dino Bonardi, di un Franco Clerici.
Per anni, infatti, la Kuliscioff non si era limitata a stare dietro le quinte, malgrado facesse ben poco per mettersi in mostra, per occupare la scena. Eppure, sapeva sempre intervenire a tempo e dire la sua al momento opportuno, senza la prepotenza invadente di certe femministe che vorrebbero apparire sue lontane pronipoti ( a illuminante conferma merita rileggere quanto scriveva nel 1910, bollando quella lontana riforma elettorale con cinque parole indimenticabili, "suffragio universale a scartamento ridotto", proprio perché escludeva il diritto di voto alle donne). Anche so 1-tanto dai pochi interventi qui riproposti, si avverte quanto fosse incisivo il suo stile, senza fronzoli né sbavature retoriche, il suo costante appello alla concretezza, il richiamo severo ai problemi u r-genti da affrontare e cercar di risolvere senza correre dietro alle disquisizioni dottrinali o, peggio, alle compiacenze verbose: insomma, quella "tendenza slava a prendere tutto sul serio", come una volta noterà proprio Turati, pronto a aggiungere che "forse la parte più originale e spontanea del suo pensiero" la Kuliscioff l'aveva spesa dirigendo, e compilando quasi da sola, un foglio di batt aglia dal titolo "La difesa delle lavorataci".
Con il passare degli anni, purtroppo, era diventata sempre più sofferente, quasi prigioniera nel salotto milanese, da cui usciva molto di rado. E tuttavia, anche così impedita nel fisico - che però non perderà mai quei tratti signorilmente alteri e incantevoli, che ci restituiscono certe fotografie di Nunes Veis - rimaneva sempre "la confesserà", come Claudio Treves l'aveva definita con deferenza quasi filiale. E "confesserà" - vale a dire consigliera attenta e confidente partecipe - si dimostrava, con un garbo squisito, anche in mezzo alle piccole, inevitabili rivalità, che non mancavano di agitare le acque socialiste (comprese quelle dei riformisti !); ma lo faceva ogni volta senza assumere inutili pose da intellettuale, anzi usando un tratto tutto femminile, che sapeva disarmare e convincere (come quando, a chi una volta l'aveva chiamata "la signora Turati", replicava lapidaria: " io non sono la signora di nessuno, sono semplicemente Anna Kuliscioff !").
Sappiamo bene che Turati, con realistico senso lombardo, cercava di tenersi lontano dalle smanie velleitarie di certi compagni di partito, inprimis i massimalisti, che - per usare le sue parole - "girano intorno alla rivoluzione come nottambuli". Ma non dobbiamo mai dimenticare che il "gradualismo" turatiano, ossia il progetto di coerente ricostruzione economico-sociale, riflette il segno distintivo, quasi il marchio inconfondibile, della Kuliscioff, pronta a chiarire il suo rifiuto nei confronti di ogni sterile attendismo: quel "mangiare fiele e rimanere inetti e impotenti", che tanto l'angosciava negli anni dell'immediato dopoguerra, quando aveva intuito che le troppo semplicisti-che illusioni del "biennio rosso" avrebbero aperto la strada all'avventura del ventennio nero. Ne offre parecchi esempi il carteggio con Turati, dove - accanto a un pathos, spesso carico di non celata tenerezza - spicca una capacità di analisi addirittura sorprendente per certe fulminee intuizioni anticipatoci.
"Oh, come sono odiosi !" a...