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... n la Lettonia, nel 2003, l’Ucraina, due anni dopo e poi la Georgia e la Bilorussia e la Lituania nel 2006 - Putin tira fuori l’arma del gas, interrompendo le forniture dirette all’Estonia. Ufficialmente si tratta anche questa volta solo di problemi “tecnici”. Solo problemi tecnici! Ma l’irriverenza del Cremlino ormai non ha limite.
L’ultima sfida delle autorità moscovite è stata infatti la decisione di sospendere il Cfe, il Trattato sul controllo degli armamenti convenzionali in Europa, e mentre la Nato, all’unisono con l’Unione Europea, rilancia la richiesta di liberazione dei diplomatici estoni, invocando il rispetto della Convenzione di Vienna sui rapporti diplomatici, il Cremlino continua imperterrito a farsi beffe della storia, marciando incontrastato verso la riconquista di un’egemonia perduta ma non dimenticata e adesso rivendicata. Le accuse della comunità internazionale? Putin se ne frega, anzi spiazza tutti rimbalzandole alla volta del governo di Tallin.
Solo pochi giorni fa, il monito lanciato dal Commissario europeo al commercio, Peter Mandelson, che aveva definito l’attuale situazione del rapporto tra Europa e Russia come la peggiore dai tempi della guerra fredda, era suonato a molti un’esagerazione. Quelle parole seguivano l’acuirsi della crisi nata attorno all’istallazione dello scudo nucleare americano in Europa – in Repubblica Ceca e Polonia - e la contro-reazione di Putin, antagonista ai limiti della minaccia. Ebbene, oggi in molti ammettono che quella descritta dal politico inglese non fosse altro che la verità, quella verità che l’Europa si ostina a minimizzare per il timore di doverla affrontare in tutte le sue più sconvolgenti implicazioni. La Russia ha una sola ambizione: ri-costruire l’Impero. Lo sta facendo con una strategia sviluppata negli anni, con coerenza e precisione chirurgica, attraverso l’arma del gas. Un nuovo impero sovietico, una nuova guerra fredda: è il passato che ritorna. Eppure, ci sono paesi come l’Italia o la Germania che non sembrano temerne le conseguenze. Peggio: rinunciano ad assumersi la responsabilità di impedire che ciò possa realizzarsi, facendosi complici di Putin, stringendo accordi con lui, pretendendo di stare solo provvedendo al proprio interesse nazionale. Disinteressati alle paure di paesi come Polonia, Estonia, Lituania, ma anche Ucraina e Cecenia che, in tale scenario, riconoscono tutti i rischi di un passato tramontanto da troppo poco tempo perché se ne possa tollerare il ritorno e ancor più perché si possa tollerare il silenzio ipocrita delle democrazie occidentali. Ancora una volta, l’Europa chiamata a scegliere da che parte stare, indugia, sceglie di non scegliere, cerca di conciliare. I russi intanto vanno avanti sulla loro strada. Ed è indubbio che sul loro cammino, insieme alla democrazia delle regioni orientali, travolgeranno la coscienza democratica di tutti quegli europei che in questi giorni girano le spalle a Tallin, come se in fondo quanto sta accdendo da una settimana nelle strade della piccola capitale estone non fosse che un piccolo incidente di percorso, uno screzio familiare nel quale è meglio non ficcare il naso.