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LA DIPLOMAZIA DI BUSH IN MEDIO ORIENTE
ripubblichiamo un'analisi di Foreign Affairs




(pagina 2)

... Anni 90, e nonostante la fine della Guerra Fredda offrisse una storica opportunità di avviare un processo di radicale riforma dell'ordinamento giuridico internazionale, la Presidenza democratica guidata da Bill Clinton non ha intrapreso la strada della riforma degli organismi sovranazionali, perseguendo piuttosto il rafforzamento delle istituzioni già esistenti e dei relativi modelli di governance. L'obiettivo che appariva allora prioritario era infatti quello di garantire l'affermazione dell'egemonia americana sulla nuova Europa democratica dell'Est, dai Blacani alle repubbliche ex sovietiche.
“Rifare le istituzioni internazionali – osserva tuttavia l'autore – è un compito ingrato, che costringe chi ha il potere di rinunciare a parte della propria influenza.” Negli anni di Clinton questa rinuncia non appariva affatto giustificata. “Cina e India erano sì in ascesa, ma lo status di superpotenza che si riconosce loro adesso, nei primi Anni 90 appariva ancora come di là da venire.”Non solo, la strategia di Clinton risultava invero efficace rispetto agli obiettivi dichiarati, avendo in effetti contribuito a consolidare l'egemonia Usa su quella nuova fetta di mondo “democratico”. “Questi risultati – osserva ancora l'autore – avevano però un costo occulto”. Le potenze emergenti cominciavano infatti a vedere nell'esistente modello di governance internazionale un ostacolo alle proprie potenzialità.
Se ne ha prova in alcuni episodi critici dello scorso decennio - la diatriba tra paesi asiatici e Fmi, per l'atteggiamento ostile da questo tenuto nel corso della crisi dei mercati finanziari degli Anni 90; la frustrazione di New Dehli per le riserve espresse nel 1998 da Washington sui test nucleari che l'India portava avanti; le difficoltà tra Cina e Nato, culminate col bombardamento accidentale dell'ambasciata cinese a Belgrado; episodi che hanno per un po' esplicitato la contrapposizione tra gli interessi in gioco, espressi da una parte, con la via americana all'egemonia democratica, e dall'altra con la rivendicazione cinese della sovranità statuale.
In un certo senso quindi, lo spregiudicato rifiuto dell'Amministrazione Bush di rispettare la Convenzione sulle armi biologiche dando inizio – unilateralmente – all'operazione Enduring Freedom, ha fornito ai competitor dell'egemonia Usa il pretesto per consolidare l'ipotesi di un disegnio alternativo a quello americano, ovvero un ordine mondiale “altro”, fondato su strutture di diritto internazionale governate ad est e rette da un sistema economico tra i più fiorenti ed incisivi della storia recente del mondo.
La dottrina teocon, insomma, si è resa irricevibile per la stessa incapacità dei suoi promotori. È qui che interviene la drastica correzione di cui gli analisti non tengono conto ancora sufficiente conto. La priorità dell'Amministrazione americana oggi è infatti legata non tanto alla pacificazione del Medio Oriente quanto al ribilanciamento della governance globale, con lo spostamento dell'asse sui paesi emergenti. “Non è un caso – osserva ancora lo studioso – che questo riposizionamento strategico coincida con la nomina di Condoleezza Rice a Segretario di Stato, e di Henry Paulson a Segretario al Tesoro”.
Insomma, anche nella versione più dottrinaria, il disegno di Bush è sempre stato un multilataralismo selettivo, fondato sulla profonda convinzione che, da una parte vadano legittimate, sostenute e rafforzate quelle istituzioni internazionali, come il Wto, che agiscono con efficacia dando prova di saper governare l'attuale complessità multipolare; e che, dall'altra, vada impressa una radicale rivoluzione in quegli organismi che, come l'Onu, vivono uno stallo cruciale rispetto alla effettiva capacità di conseguire gli obiettivi dichiarati. “Le istituzioni globali – si legge nel paper – cessano di essere appropriate quando il decision-making è ripartito in maniera non corrispondente all'effettiva distribuzione del potere, il che è precisamente quanto avviene oggi.” Ne sono esempio il Consiglio di Sicurezza dell'Onu e il G7.“I paesi del G7 – ragiona l'autore – si sono assunti il compito di gestire gli squilibri macroeconomici sorti negli Anni 70. Hanno avuto un certo successo negli Anni 80, quando rappresentavano oltre la metà dell'attività economica globale. Ma oggi, anche con l'estensione alla Russia (il così detto G8), non riescono più ad ottenere risultati efficaci senza il placet del peso massimo dell'economia globali, la Cina.”    Il nuovo ordine mondiale che gli Usa vogliono disegnare dovrà quindi realizzarsi all'insegna di un'effettiva coincidenza di interessi tra potenze emergenti e Stati Uniti. In fondo, l'esplosione economica in Cina e India non è stata altro che l'adesione dei due giganti asiatici al modello economico americano. Il nuovo equilibrio del potere globale, quindi, non farebbe che rinnovare la legittimità degli Usa come potenza egemone, pur in uno scenario multipolarizzato.
In concreto, i passi già compiuti dall'Amministrazione sono tutt'altro che insignificanti.
nnanzitutto, l'intensificazione dei rapporti bilaterali con la Cina che, dopo un esordio non dei più felici, sono ripresi con il sostegno Usa all'ingresso di Pechino nel sistema di relazioni internazionali, con l'obiettivo di rendere...


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