Al mondo che nega la speranza, perché in essa vede una minaccia alla laica via all’affermazione umana, Benedetto XVI oppone un orizzonte in cui l’uomo, l’uomo libero, spera di poter realizzare quel progresso umano che la ragione gli dice essere il suo orizzonte morale. L’umanità, la vita: è questo il tesoro etico che custodisce le chiavi alla giustizia ed alla pace.
La Speranza che il Papa chiede all’uomo di nutrire si appella alla responsabilità dell’uomo per le cose del mondo; invoca la partecipazione attiva dell’essere umano nella grande “famiglia sociale”; esorta la ragione a liberarsi delle catene relativiste per ritrovare, nella piena affermazione dell’umanità, la propria missione.
Ed e al mondo di oggi, ad un mondo che appare disperato, che si rivolge il Pontefice, quando, nel tradizionale incontro con gli Ambasciatori presso la Santa Sede, lo scorso 6 gennaio, si appella alla diplomazia definendola “in un certo modo, l'arte della speranza. Essa – ragiona, infatti - vive della speranza e cerca di discernerne persino i segni più tenui. La diplomazia deve dare speranza.”
In quel discorso, Benedetto XVI definisce così la cornice etica promossa dal Vaticano nell’ambito delle relazioni internazionali.
“La sicurezza e la stabilità del mondo permangono fragili. I fattori di preoccupazione sono diversi – continua il Pontefice – e testimoniano tutti che la libertà umana non è assoluta, bensì che si tratta di un bene condiviso e la cui responsabilità incombe su tutti. Di conseguenza, l'ordine e il diritto ne sono elementi di garanzia. Ma il diritto può essere una forza di pace efficace solo se i suoi fondamenti sono solidamente ancorati nel diritto naturale, dato dal Creatore. È anche per tale ragione che non si può mai escludere Dio dall'orizzonte dell'uomo e della storia. Il nome di Dio è un nome di giustizia; esso rappresenta un appello pressante alla pace.”
Ecco, è questa la speranza, la laica speranza, che queste parole annunciano. Una speranza di “libertà” che vuol essere “umana” e non solo “economica”, e che si afferma nella garanzia di un diritto eticamente fondato.
Una speranza che è “laica” perché è al mondo degli uomini che si rivolge, alla responsabilità ed opportunità che agli uomini è data di realizzare la propria umanità, riconoscendone il fondamento universale nel “diritto naturale”, quel codice morale “meta-storico” che il genere umano istintivamente condivide.
Questo papa chiama, insomma, a raccolta le coscienze di tutti, ammonisce tutti dal rischio di uno “scontro di civiltà” fondato su premesse aberranti; investe tutti – classi dirigenti e singoli individui – della responsabilità di far progredire l’umanità, riconoscendo nel progresso non una ideologia partigiana e astratta, ma il contributo concreto al compiersi dell’essere umano.
Questo papa si fa carico lui per primo di una responsabilità onerosa: storicizzare il concetto di “speranza” inserendolo in una prospettiva di salvezza che va persino aldilà della Chiesa cattolica. La speranza, cui l’enciclica “Spes Salvi” ci chiama a riflettere, nasce infatti dalla ragione. Non è una speranza discriminatoria, ma – al contrario - liberatrice per chiunque sappia cullare la ragione senza il pregiudizio “etico” contro la fede.
Responsabilità degli uomini è dunque agire affinché un principio come la “pace” non sia “una semplice parola o un'aspirazione illusoria”, ma “un impegno e un modo di vita che esige che si soddisfino le legittime attese di tutti, come l'accesso al cibo, all'acqua e all'energia, alla medicina e alla tecnologia, o il controllo dei cambiamenti climatici. Solo così si può costruire l'avvenire dell'umanità; soltanto così si favorisce lo sviluppo integrale per oggi e per domani.”
Questa Chiesa, una Chiesa che non teme di denunciare nella globalizzazione un rischio all’ordine ed alla stabilità, che si spinge fino a indicare opportunità concrete di intervento rispetto ai drammi del mondo – dalle guerre, alla povertà, alla distruzione ambientale – questa Chiesa non se...