Lo scorso 30 dicembre, dal Cairo dove si trovava in vacanza, il Presidente francese, Nicolas Sarkozy, annuncia ufficialmente la sospensione dei rapporti diplomatici con la Siria. La ragione è nota. “Si deve riconoscere – ha dichiarato il Presidente – che non c'è più tempo da perdere. Che la Siria smetta di parlare e agisca.”
La Francia, come è noto, accusa le autorità di Damasco di voler tenere sotto scacco il popolo e le istituzioni democratiche libanesi, impedendo l'elezione di un Presidente della Repubblica.
La crisi istituzionale, infatti, paralizza il Libano dallo scorso 23 novembre, quando il presidente in carica, il filo-siriano Émile Lahoud, si dimise lasciando la funzione vacante. Da allora, ogni tentativo di raggiungere un accordo per la successione – l'ultimo dei quali, il 30 dicembre scorso - è stato fatto fallire dall'opposizione filo-siriana, che ha puntualmente fatto mancare in parlamento il quorum necessario al voto presidenziale.
Maggioranza e opposizione sono dunque pervenute ad un compromesso, convergendo sul nome del comandante generale dell'esercito, Generale Michel Suleiman. Ma perché una tale designazione sia possibile, è necessario emendare la Costituzione che, allo stato attuale, impedisce ad un militare in carica di assumere la Presidenza della Repubblica.
La procedura di riforma costituzionale, tuttavia, viene subito boicottata, ancora una volta dall'opposizione filo-siriana che, nel frattempo, ha cominciato a chiedere la formazione di un nuovo governo di “unità nazionale”, con il potere di veto sulle decisioni di maggiore interesse nazionale.
Insomma, una farsa.
La Francia, che sin dallo scorso autunno ha investito parecchio del proprio capitale diplomatico per convincere Damasco alla ragionevolezza - si ricordino le missioni infruttuose del Capo di Gabinetto dell'Eliseo, Claude Guéant, e del Ministro degli Esteri, Bernard Kouchner – ha giudicato evidentemente la misura colma.
L'opposizione filo-siriana continua infatti ad impedire al Libano di darsi un Presidente e la responsabilità di Damasco rispetto al fallimento dell'iniziativa diplomatica internazionale appare fin troppo evidente.
Intanto, dalla fine della Guerra tra Israele e Hezbollah, nell'agosto 2006, la forza di intermediazione delle Nazioni Unite (Finul) ha continuato a subire attacchi mortali da parte delle organizzazioni terroristiche operanti in Libano su regia siriana. L'ultimo attentato risale all'8 gennaio, quando una bomba è stata fatta esplodere al passaggio di un mezzo con a bordo due caschi blu irlandesi. Il 24 giugno è stata la volta di tre soldati spagnoli, colpiti a morte in un attentato poi attribuito ad estremisti sunniti. Tre settimane dopo, un nuovo attacco colpisce, fortunatamente senza provocare vittime, un battaglione di soldati della Tanzania.
L'ultimo attentato non fa che inasprire una situazione ormai giunta al limite della tensione. Il 7 gennaio, il capo del gruppo estremista palestinese Fatah al-Islam, che già aveva combattuto a fianco di Hezbollah contro l'esercito libanese nel campo profughi palestinese di Nahr el-Bared, ha annuniato la ripresa della Guerra contro quelli che ha definito “i crociati”. “La minaccia – scrive Le Figaro – è diretta all'esercito libanese ed al suo capo, Michel Sleimane, designato alla Presidenza.
I Caschi blu sono stati mandati in Libano, per la prima volta, nel 1978, dopo l'invasione da parte delle truppe israeliane dell'area meridionale del paese. Nell'estate del 2006, alla cessazione del conflitto tra Hezbollah e Israele, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, con la risoluzione 1701, decide lo stanziamento di una nuova missione.
La coalizione militare è composta da Italia – che, con i suoi 2500 caschi blu, conta la maggioranza di forze sul campo – Francia (1600 soldati), e Spagna, che ha stanziato un contingente di 1600 militari.
La delicata missione di cui l'Italia ha la responsabilità, si prefigge il compito di interporsi tra le forze israeliane e le truppe armate di Hezbollah. Ad oggi si contano 250 vittime tra i caschi blu.
La decisione della Francia di interrompere i rapporti diplomatici con Damasco non è ad oggi stata emulata da nessun altro paese impegnato militarmente in Libano.
Negli ambienti diplomatici europei si tende infatti a mantenere la linea della “disponibilità” verso le autorità siriane, ritenendo così di porsi come un interlocutore più malleabile di quanto Francia e Stati Uniti abbiano ...