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... La proposta di dialogo si fonda, insomma, sul presupposto che sono i diritti naturali a fondare l’unità della persona umana, ed è in questa unità che le fedi si riconoscono afferenti ad una matrice filosofica comune.
Assumendo il diritto naturale come codice filosofico condiviso, il dialogo interreligioso, inevitabilmente, si “razionalizza”. Sarà cioè la ragione a spiegare quali antropologie assumere come cornice etica al proprio agire nel mondo, ovvero come inquadrare, dal punto di vista della norma giuridica, il concetto di “diritti umani”, facendone logica derivazione del processo razionale – quindi filosofico, culturale, storico - innescato per decifrare il codice universale. “"Quando il Papa insiste sull'irriducibilità dell'eredità culturale acquisita - scriveva l’ancora cardinale Ratzinger in un commento alla Enciclica di Giovanni Paolo II Fides et Ratio - si pone naturalmente la questione se in tal modo non viene canonizzato un eurocentrismo della fede.”
Ma se “la Parola di Dio si sviluppa nel contesto della ricerca dell'uomo di una risposta alle sue domande”, ovvero: se la parola di Dio nasce nella storia, dall'incontro tra uomini e tra le loro culture che si aprono alla ricerca di una verità comune a tutti, ecco che il nostro punto di partenza (di origine greca, ma giunto alla cultura occidentale tramite il cristianesimo) può dialogare con quella lettura dell’Islam che cerchi la verità per tutti. E questo, non sul piano dei dogmi, non su quello della “comunicazione”, ma su quello degli "atteggiamenti" che accompagnano le religioni, i loro valori spirituali. E questo non si fa se non riconoscendo l'autonomia della ragione.
Il secondo asse del dialogo proposto dal Vaticano è quello che potremmo definire “la fonte di legittimazione della conoscenza religiosa”, ovvero che il cristiano conosca l’Islam solo nel modo in cui il Corano lo insegna ai musulmani e, analogamente, che i musulmani apprendano il cristianesimo esclusivamente attraverso i Vangeli e l’insegnamento della Chiesa. La condivisione dell’esperienza religiosa – terza area di confronto indicata dal Vaticano - significa riconoscere al dogma altrui la capacità di arricchire, dal punto di vista umano e spirituale, anche chi non vi crede, ed è questo l’aspetto che rende particolarmente delicata la quarta ed ultima area proposta dal Pontefice per la cooperazione inter-religiosa, l’educazione dei giovani.
La risposta dell’Islam alla proposta del Vaticano non si farà attendere. Il 12 dicembre, il Principe Giordano risponde a Bertone, accettando il piano di collaborazione. Vaticano e dignitari islamici convengono così di organizzare un primo incontro – tra febbraio e marzo 2008 – che si proporrà di finalizzare procedure e contenuti della partnership. Non si sa ancora dove ma è certo dunque che l’incontro si terrà.
Lecito chiedersi allora che valore attribuirvi. Si tratta di un momento storico, di un’opportunità inedita di riconciliazione, o piuttosto di un passo formale cui riconoscere il merito della lodevole intenzionalità, ma poco altro?
Il presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, card. Jean Louis Tauran, ad esempio, si dice ottimista circa le prospettive del dialogo tra Santa Sede e mondo islamico e, in un’intervista alla Radio Vaticana dello scorso dicembre, si spinge a definire l’imminente incontro un passo “storico”.
L’entusiasmo dell’alto prelato si spiega invero non con la pia speranza che a prevalere sia la concordia tra uomini di fede, ma con il riconoscimento, nella controparte, di un interlocutore pronto ad accogliere l’orizzonte filosofico proposto dal Papa. Il Principe Ghazi bin Muhammad bin Talal, infatti, è stato il primo a parlare di compatibilità tra Islam e Ragione, Islam e Diritti umani. E se lo ha fatto, ciò è stato in virtù della distinzione operata dalla scuola teologica giordana tra sfera spirituale e sfera politica, tra esterno ed interno, un’operazione teologica, questa, che ha permesso quello che da un millennio non accade nell'Islam: la lettura critica dei testi sacri.
L’Islam in chiave giordana si riconosce dunque, al pari del Cristianesimo, agente della Ragione.
Rispetto al ruolo della Ragione nella spiritualità, ecco allora insinuarsi la prospettiva di una convergenza, filosoficamente inedita tra le due religioni, che si nutre di una deduzione razionale comune: la religione in sé non è la spiritualità dell'uomo, ma una sua espressione normata, e mediata, dalle conoscenze teologiche. E quindi quale il pericolo, dal punto di vista sia della ragione che della fede, che giustifichi il timore reciproco, se l'incontro tra divino e uomo, tra Dio e Storia è concepibile su entrambi i piani, razionale e spirituale?
Un dialogo tra Cristianesimo e Islam che favorisca il ritorno della
autonomia della ragione, anche se non destinato ad affermar...