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LA RAGIONE E IL DIALOGO INTERRELIGIOSO
Vaticano e dignitari islamici hanno deciso di organizzare un primo incontro che si proporrà di finalizzare procedure e contenuti di una partnership tra le due grandi religioni




(pagina 3)

... si in tutto il mondo islamico, sicuramente contribuirà ad indebolire il fanatismo di certe realtà musulmane. Dunque, l’ottimismo rispetto alle prospettive del dialogo non risultano affatto iperboliche.

Tuttavia, secondo l’autorevole teologo gesuita Samir Khalil Samir, docente di Scienze religiose presso l’Istituto Pontificio Orientale di Roma e l’Università San Giuseppe di Beirut, “è possibile che il tutto si concluda con un buco nell’acqua”, poiché – spiega - “sembra che le personalità musulmane in contatto con il Papa, vogliano sfuggire questioni fondamentali e concrete, come i diritti dell’uomo, la reciprocità, la violenza ecc. per arroccarsi su un improbabile dialogo teologico “sull’anima e Dio”.”

In un commento pubblicato dall’Agenzia stampa “Asianews”, il professor Khalil Samir osserva, infatti, che “il pericolo più grosso della lettera dei 138 è nei suoi silenzi, su ciò che essa non tratta: non si accenna, ad esempio, ai problemi della comunità internazionale verso la comunità musulmana e ai problemi reali interni alla comunità musulmana. La Umma – prosegue lo studioso nella sua corrispondenza dal Libano - si trova in un momento molto delicato, in una fase di estremismo e di radicalismo diffusi in una parte significativa dei musulmani, che è una forma di esclusivismo: chi non la pensa come noi è nostro nemico.”

Pur accogliendo favorevolmente la disponibilità manifestata dai 138, e riconoscendo le peculiarità, formali e di contenuto, della missiva inviata al Vaticano dai depositari della fede musulmana, il teologo cristiano osserva che il problema del dialogo non è la comune istanza teologica, ma la finalità attribuita dalle due confessioni al ruolo della religione nella storia.
”Il pericolo per l’Islam – scrive - non è la violenza: questa è presente in tutto il mondo e in tutte le religioni e le ideologie. Il pericolo è di giustificare tutto questo attraverso la religione.”

Lo scetticismo del teologo libanese si nutre di un’argomentazione quanto mai pragmatica.

Egli, infatti, non nega che, sul piano teologico, Islam e Cristianesimo abbiano un ridente giardino comune in cui posar lo sguardo: la fede nell'unico Dio, creatore provvidente, innanzitutto; quindi il Dio, giudice universale, “che alla fine dei tempi considererà ogni persona secondo le sue azioni”; infine, il fatto che Islam e Cristianesimo riconoscono entrambi l’impegno totale verso Dio e l’obbedienza alla sua sacra volontà.

No, il dubbio di Khalil Samir è originato dal’ambiguità dell’Islam, ovvero il suo essere “politico” più ancora che “spirituale”. Questa ambiguità risulterebbe palese proprio nell’insistenza con cui i rappresentanti islamici riconducono proprio all’ambito teologico il terreno del confronto interreligioso.

Nella lettera al cardinal Bertone, infatti, lo stesse principe giordano conviene che “l’accordo teologico completo tra cristiani e musulmani” è “inerentemente” impossibile, e ciononostante insiste perché il dialogo avvenga sul piano, «“teologico” o “spirituale” o in qualsivoglia altro modo – per la ricerca del bene comune e per il bene del mondo intero, Dio volendo».

La piattaforma programmatica su cui si è convenuto di svolgere il confronto della prossima primavera tra Islam e Cristianesimo dovrà, dunque, articolarsi su due livelli: quello del “rispetto reciproco”, solidale e pacifico, e quello della “sacralità della vita umana”.

Il termine “rispetto” – spiega il teologo gesuita – “va inteso nel senso che “non esistono degli argomenti “tabù”, ma esistono solo dei modi e dei metodi tabù, perché violenti e irrispettosi.”

Nello stesso tempo, affondare le fondamenta dell’edificio dialogico sul terreno etico della sacralità della vita, significa assumere l’impegno a rigettare ogni forma di mortificazione, violenza, svalutazione della vita umana. Ma significa – osserva ancora Khalil Samir - anche donare “amore a tutte le opere della cultura e del progresso umano”, ovvero impegnarsi “per l’uguaglianza fra gli uomini, per i diritti umani: un rispetto alla vita e a ciò che la fa esprimere e fiorire.”

Insomma, come osserva il Pontefice nel discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2006, l’incontro tra Cristiani e Musulmani potrà compiersi solo là dove si ripudi – non giustifichi - la violenza e si accolga – non demonizzi - la “sinergia tra fede e ragione, tra religione e libertà”.

Se allora il dialogo risulta, sul piano teologico, non solo auspicabile, ma addirittura possibile, il problema – osserva il prof. Khalil Samir sorge quando si riconosce che “l’Islam, più che il Cristianesimo, mescola il teologico con il politico e perfino con il militare.”

Il problema insomma è l’ambiguità con la quale l’Islam definisce la propria sfer...



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