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... a di competenza religiosa, in una declinazione normativa storica che si risolve nella sovrapposizione – al limite, dell’identificazione giuridico-istituzionale – tra Corano e Diritto (o Sharia).
L’ambiguità, osserva il teologo gesuita, risulta palese nella lettera dei 138 dignitari musulmani lì dove, nel tracciare l’argine filosofico del dialogo, il pensiero musulmano si spinge ad operare “una distinzione tra intrinseco e estrinseco”. «Per “intrinseco” – spiegano i saggi islamici - intendiamo ciò che si riferisce alle nostre anime e alle loro caratteristiche interiori, e per “estrinseco”ciò che è riferito al mondo e quindi alla società».
Il confronto con il Cristianesimo, dovrebbe dunque limitarsi alla sfera intrinseca, ovvero alla “affermazione del Dio Unico”, ed al “duplice comandamento di amare Lui ed il prossimo”. Diritti umani, rispetto per la vita, ripudio della violenza, essendo temi eminentemente estrinseci non sono assunti, dai dignitari musulmani, come meritevoli di un confronto tra uomini di fede.
“Onestamente – obietta dunque Khalil Samir - trovo che questa distinzione sia debole e perfino non islamica. Perché se “intrinseco” è l’anima ed “estrinseco” è il mondo e la società, allora significa che il Corano parla tantissimo delle cose “estrinseche” e pochissimo delle cose “intrinseche”. Il Corano parla del mondo, del commercio, della vita in società, della guerra, del matrimonio, ecc, ma parla pochissimo dell’anima e del rapporto con Dio. Ma, soprattutto, il Corano non fa mai questa distinzione. Anzi, il problema dell’Islam è proprio quello di non fare alcuna differenza fra questi due livelli. Come mai – si chiede allora l’islamologo libanese - i 138 vogliono affrontare solo le cose “intrinseche”? Temo – è la sua risposta - che abbiano paura di affrontare tutta la realtà delle due religioni.”
Ora, Benedetto XVI – e questo i musulmani lo capiscono assai meglio dei Cristiani laicisti - fonda i principi del dialogo sulla ragione, non sulla religione. È la ragione, infatti, la matrice comune e unificante degli esseri umani. Secondo l’intellettuale gesuita, tuttavia, l’Islam questa libertà parrebbe temerla piuttosto che coltivarla e, ciò facendo, finirebbe in realtà col depotenziare i presupposti di quel dialogo che pretendere invece di perseguire. Il dialogo c’è, infatti, là dove si confrontano processi di elaborazione razionale, non dogmi.
Se incomprensioni ci sono, tra Islam e Cristianità, sostiene insomma Khalil Samir ebbene esse non sono incomprensioni di carattere teologico, ma di tenore eminentemente politico.
Il gesuita libanese fa sua, forse inavvertitamente, la lettura dell'Islam wahabita,
la scuola che ha prevalso in Arabia alcuni secoli dopo la predicazione di
Maometto. I wahabiti non distinguono tra “esterno” ed “interno”, negando così alla Ragione, ma individuando solo nella Religione, il diritto a farsi “agenzia di spiritualità”. È proprio questa operazione teologica che, invece, spalanca le porte del dialogo tra Islam e Cristianità. Il programma dell'università teologica di Giordania, infatti, si fonda proprio sul ritorno alla lettura critica del Corano, ovvero privilegia il ritorno all’origine della spiritualità ed alla ricerca della sua natura. Compie cioè un’operazione eminentemente razionale che rende dunque possibile, sul piano mondano, trovare delle intese valoriali (cioè culturali) che non compromettono la differenza dogmatica delle due religioni, dal momento che si conviene nel riconosce che “religione” non è in sé “spiritualità”. Il fatto che siano proprio la spiritualità e il Diritto Naturale il punto di partenza del dialogo tra Cristianesimo e Islam non può allora che esser preso come un ottimo segno.
Se, secondo Khalil Samir, lo “scontro” non si trasformerà in incontro finché non si avvierà un dibattito razionale sui fondamenti comuni dello stato di diritto, l’incontro è in realtà possibile su un piano anteriore a quello storico-normativo, il piano del Diritto Naturale.
Diritti umani e libertà sono i valori che la Chiesa assume a matrice del suo essere agenzia terrena di pace. Ma essi non sono il fondamento filosofico della Cristianità ma la sua codificazione normativa. La “unità” dell’essere umano si realizza, infatti, in quel Diritto Naturale che è tra tutti e da sempre.
Nell’Enciclica Deus Caritas Est, Ratzinger esordisce citando un brano della Prima Lettera di Giovanni: « Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui ». “Queste parole – scrive il Pontefice - esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino.”
Per i Cristiani, insomma, l’uomo è anteriore alla religione: rispettare l’uomo viene prima del rispetto della religione. È questo il nodo – la password per accedere al pacifico s...