Corriere della Sera 7.1.08
Le tesi espresse nel mio libro, Filippo Turati. Le origini della democrazia in Italia, che è stato oggetto di una recensione da parte di Giovanni Belardelli sul Corriere della Sera del 3 gennaio, potrebbero essere opinabili se fossero effettivamente le tesi da me sostenute e non quelle che dall'autore dell'articolo mi vengono attribuite. Dall'articolo pubblicato sembrerebbe addirittura che egli non abbia letto il libro, dato che finisce per alterare tutto il senso del mio discorso. Io non ho scritto il mio libro per dire che Veltroni, D'Alema o Fassino dovrebbero fare questo o quello, ma con lo scopo di correggere quello che considero un'ingiustizia storica che si continua a compiere nei confronti di Turati, che dev'essere ritenuto un uomo politico onorabile e importante, e di mettere in evidenza che le sue idee erano al suo tempo giuste e sono oggi più attuali che mai se si vuole costruire una democrazia moderna, vitale ed efficiente, fatte le dovute considerazioni del passaggio del tempo. Comunque, le idee di Turati risultano molto più giuste di quelle che purtroppo hanno dominato la sinistra italiana per decine di anni con effetti disastrosi.
Vorrei precisare alcuni punti: 1) Io non ho mai detto che Berlinguer è stato un riformista. Io ho citato il caso del «compromesso storico» per dimostrare che mentre l'estrema sinistra condannava i riformisti perché loro ammettevano la possibilità di contrattare delle alleanze politiche per prevenire la reazione, quando l'estrema sinistra adottò la stessa tattica cinquant'anni dopo, Berlinguer citò il caso del Cile senza menzionare Turati, nonostante lui fosse stato il primo a indicare quella strada. Inoltre, ho messo in evidenza che autorevoli esponenti della sinistra indicavano Gramsci quale sostenitore di quella strada per operare le alleanze politiche democratiche necessarie a isolare e fermare il fascismo, mentre chi lo aveva fatto era stato Filippo Turati che Gramsci aveva criticato duramente. Quanto ai comunisti, io ho affermato che essi avevano usato strumentalmente tattiche prese in prestito dai riformisti ma non erano mai stati riformisti perché del riformismo socialista non avevano mai condiviso la cultura, lo spirito e gli obbiettivi politici. Infatti, ho scritto: «Mentre sembravano rinunciare alle loro obiezioni teoriche (anche se non esplicitamente) a favore di un riformismo de facto, questo "riformismo" era falso ed era pensato per servire al loro principale obbiettivo: il crudo potere e la distruzione del loro nemico di sinistra » (p. 24). Bisogna sempre ricordare che alla conclusione della prima guerra mondiale e davanti alla Rivoluzione d'ottobre Filippo Turati fu lungimirante come pochi nel preconizzare i mali a cui avrebbe portato il comunismo.
2) Sul secondo punto, affrontato da Belardelli, relativamente alla sua asserzione che Turati non era abbastanza forte per separarsi dall'ala rivoluzionaria del Psi, va sempre ricordato che Turati insieme al suo allievo Giacomo Matteotti ebbero la forza di separarsene e ingaggiare una lotta intransigente contro la minaccia fascista e il governo Mussolini che nessun altro fece in Italia tranne personalità come Giovanni Amendola e Piero Gobetti e che se la stessa lotta l'avessero condotta anche gli altri l'ascesa della dittatura politica poteva arrestarsi. Quando si parla di Turati e di Matteotti bisognerebbe sempre rammentarsene e ricordare che essi pagarono questa lotta l'uno con la morte e l'altro con la persecuzione dell'esilio.
Potrei continuare ma credo di aver detto l'essenziale per chiarire il mio pensiero, che tuttavia una lettura appena attenta del libro dovrebbe già rendere chiaro.