Davanti a George W. Bush, neppure un miracolo potrebbe essere sufficiente a garantire ai Repubblcani il mantenimento della Casa Bianca nel 2008. Ma se i miracoli fossero due?
Il ritorno dell’accoppiata Bill Clinton-John McCain, anche se non dovesse durare, un effetto lo avrebbe comunque: offrire ai Repubblicani un’altamente plausibile chance di vittoria.
Ma per quanto sorprendente possa apparire, nessuno dei due partiti sembra ancora consapevole di questa road map.
Nel caso dei Democratici, la macchina Billary, ovvero la candidatura congiunta dei coniugi Clinton, viene ricondotta prevalentemente all’interno degli angusti confini delle primarie. Ci si chiede, cioè, se l’appassionata partecipazione di Bill Clinton, e la rivendicazione dei risultati ottenuti dalla sua amministrazione, possa aiutare o piuttosto danneggiare la moglie, sia come donna sia come candidata.
Completamente assente da questo dibattito è invece una sobria valutazione sul fatto che un eventuale nomination di Hillary Clinton precipiterebbe i Democratici in un conflitto interno che va ben aldilà degli attuali scontri sulla razza, il genere o su chi-ha-detto-cosa a proposito di Ronald Reagan.
Quello che viene omesso, cioè, è che sino ad ora Hillary ha abilmente glissato su alcune questioni spinose che riguardano Bill, affermando: “io corro da sola” e, come ha fatto nel corso dell’ultimo dibattito con Barack Obama, “sono io qui, non lui”.
Questa argomentazione tuttavia è stata messa ufficialmente da parte non appena il marito è diventato un co-candidato così ingombrante da presentarsi la scorsa settimana in South Carolina in sostituzione della moglie assente. I Clinton insomma fanno gioco di squadra all’insegna della strategia “prendi due paghi uno”.
Per i Repubblicani, questo non significa soltanto dover avere a che fare con una doppia razione della tanto odiata corazzata Clinton, poiché questo potrebbe addirittura avere l’effetto di ricompattare il partito, ma significa anche avere due bersagli piuttosto grandi a portata di tiro.
Hillary Clinton, infatti, non fa che ripetere quanto sia “limpida”, e che in virtù di tale trasparenza i suoi avversari non potranno sperare in nessuna sensazionale “sorpresa”. Lo scorso venerdì, nel corso del programma tv “Today”, ha persino ironizzato sul fatto che gli attacchi dei Repubblicani sono ormai “roba del passato”.
Adesso, tuttavia, la ritrovata ubiquità di Bill Clinton non solo rende attuale il passato ma impone di gettare sulla fase post-presidenziale la stessa trasparenza rivendicata dalla moglie.
Per farsi un’idea di quali sorprese potrebbero derivarne, basta ritornare alle famose domande su Bill Clinton che Hillary ha sino ad ora cercato di evitare.
Nel corso di un dibattito, lo scorso settembre, Hillary Clinton rispose a Tim Russert che le chiedeva se fosse il caso di rivelare i nomi dei donatori della Clinton Foundation, dicendo che la questione non la riguardava. “Ma lei cosa consiglierebbe – la incalza allora Russert – e la Clinton: “Beh, non parlo delle conversazioni private che ho con mio marito, ma sono certa che lui sarebbe favorevole a prendere la cosa in considerazione.”
Come si è visto, tuttavia, evidentemente non era questa l’opinione di Bill. Quei nomi, infatti, non sono ancora stati resi pubblici.
Subito prima delle vacanze, il Washington Post e il New York Times hanno cercato, pur senza la collaborazione dei Clinton, di indagare sul perché di tale riservatezza.
Il Post ha così scoperto l’esistenza di un certo numero di contributors stranieri, provenienti per lo più dall’Arabia Saudita.
Il Times, da parte sua, ha svelato la coincidenza tra benefattori della library e finanziatori della campagna di Hillary Clinton, alcuni dei quali si immagina possano avere già in mente una propria agenda nella nuova amministrazione Clinton.
“L’entità di queste segrete operazioni di fund-raising – ha osservato il parlamentare democratico della California, Henry Waxman, la cui proposta di legge per la trasparenza obbligatoria è stata approvata da una forte maggioranza alla Camera, per essere poi bloccata al Senato – si presta ad essere ampiamente sfruttata”.
I reporter del Post e del Times non hanno tuttavia potuto svelare tutti i segreti. E sono proprio i dubbi irrisolti che potrebbero spingere loro ed i giornali loro concorrenti a rimanere sul “pezzo” fino al prossimo 4 novembre. Il crescente protagonismo di Bill Clinton nella campagna offrirà inoltre al Wall Street Journal un’ottima ragio...