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WHAT AMERICA MUST DO? - 4
Nella quarta puntata dell’inchiesta “Che cosa deve fare l’America ?” a proporre la sua analisi è Jessica T. Mathews, presidente del think tank statunitense Carnegie Endowment for International Peace




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... gnato» poiché non ha ancora offerto agli americani una contropartita sufficientemente alta.
«Gli Stati Uniti hanno spesso negoziato con spregevoli regimi  quando volevano ottenere qualcosa – continua – Non è necessario andare tanto indietro nel tempo, basta guardare agli affari che l'amministrazione Bush ha fatto con la Libia e la Corea del Nord». La seconda ragione per la quale gli Usa non accettano Damasco come interlocutore è la convinzione che gli interessi americani e quelli siriani sono opposti. L'esperta di Relazioni Internazionali tuttavia ritiene che «si tratta di una considerazione che non è possibile verificare se non attraverso i fatti» e aggiunge: «Chi oggi può sapere se la Siria preferisce mantenere i rapporti con un Iran isolato oppure avere relazioni economiche solide con gli Stati Uniti e l'Europa?».

A questa domanda pare aver già risposto il presidente Bush che, nella sua ultima visita in Medio Oriente, da Camp Arifjan, principale base americana in Kuwait, ha lanciato un avvertimento a Damasco e Teheran: «
L'Iran deve smettere di sostenere le milizie estremiste che attaccano le nostre truppe e la Siria deve ridurre ulteriormente gli ingressi dei terroristi». I toni usati da Bush non sono una novità, ma semmai una conferma della strategia perseguita finora dall'amministrazione repubblicana verso Siria e Iran, percepiti come un fronte comune avverso agli interessi statunitensi nell'area. Washington accusa la Siria di dare ospitalità ai terroristi che dai confini siriani confluirebbero in Iraq compromettendo la stabilizzazione del Paese. Secondo gli statunitensi il governo siriano sarebbe inoltre in possesso di armi di distruzione di massa. Nella primavera del 2003 la Siria è stata inserita dagli Usa nell'elenco degli “Stati canaglia” mentre nel maggio del 2004 il Congresso americano ha votato il “Syria Accontability Act”, un documento che prevede  dure sanzioni economiche nei confronti di Damasco.

Nonostante l'America abbia finora fatto il muso duro con la Siria non è escluso che, come spesso accade, la diplomazia stia agendo dietro le quinte o per conto di emissari non americani. La presenza della Siria al tavolo negoziale di Annapolis (nel Maryland) è stata infatti interpretata da alcuni osservatori come una prova di disgelo tra Washington e Damasco. A spingere, da dietro le quinte, in questa direzione ci sarebbero gli israeliani che sarebbero pronti a restituire a Damasco le alture del Golan (occupate nel 1967 nella guerra dei Sei giorni) se il governo siriano sottoscrivesse un accordo di pace con Israele e prendesse le distanze da Iran, Hamas e Hezbollah.  
Secondo alcuni giornali israeliani il ministro israeliano della Difesa israeliano Ehud Barak avrebbe inoltre incontrato a Washington in gran segreto il viceministro degli Esteri siriano Faisal al-Miqdad. Segnali, che se confermati, segnerebbero un'incrinatura del fronte comune Siria-Iran. Secondo Ibrahim Hamidi, giornalista siriano del quotidiano panarabo Al-Hayat, è tuttavia improbabile, nel breve periodo, una rottura del legame tra Damasco e Teheran, «unite da una comunione di interessi che non significa una convergenza di politiche». «Di conseguenza – spiega Hamidi –  la Siria può essere amica dell'Iran, ed allo stesso tempo può aspirare a recuperare il Golan, e a continuare ad occupare il suo posto naturale all'interno della carta politica del mondo arabo, così come Hamas può essere amico di Teheran pur preservando la dimensione araba della questione palestinese».


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