KOSOVO, DAI NEGOZIATI ALL'INDIPENDENZA
Una rassegna delle analisi dopo il fallimento delle trattative
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... matiche concernenti la Difesa, una delle funzioni basilari fornite da uno Stato, grazie all'affiliazione ad organizzazioni regionali. Inoltre, in seguito al generalizzato abbassamento delle barriere tariffarie e l'apertura del mercato dei capitali, i vantaggi economici di essere “grandi” sono diminuiti. Gli Stati Uniti rimangono una notevole eccezione con la loro capacità, al pari dell'India, di tenere insieme una così vasta pluralità di etnie in un sistema democratico. Entrambi vi riescono grazie ad un federalismo spinto, costruito dagli americani attorno ad un nucleo di valori comuni, con l'aggiunta di un ostentato patriottismo che gli europei trovano spesso imbarazzante, e caratterizzato, nel caso indiano, da retaggi feudali e da un intollerabile grado di corruzione regionale.
Ma gli aspiranti mini-stati non dovrebbero essere così ottimisti sulla possibilità di conservare anche dopo l'indipendenza quei vantaggi su cui possono contare in questa fase. La loro capacità di impostare relazioni con i loro vicini potrebbe essere limitata da antipatia reciproca o scarsa affinità (soprattutto nel frammentato quadro balcanico).
Questo è vero soprattutto relativamente alla sicurezza nazionale. I kosovari, con una certa dose di arroganza, partono dal presupposto che ci sarà sempre qualcuno pronto a difenderli nel caso non ce la facessero con le proprie forze. Credono che questo sia vero anche nel caso ottenessero l'indipendenza tramite una dichiarazione unilaterale ed in una situazione conflittuale nei Balcani. Si parte dal presupposto e si punta sul fatto che l'Europa voglia evitare a tutti i costi una nuova guerra nel suo giardino di casa. Probabilmente è così, ma si tratta di una scommessa rischiosa.
Una rassegna delle analisi che hanno preceduto la dichiarazione di indipendenza
Per la maggior parte degli analisti l'insuccesso dei negoziati guidati dalla troika non è stata certo una sorpresa. L'attenzione generale ora si volge al dopo 10 dicembre, data prevista per la stesura del rapporto sui negoziati che la troika presenterà al Segretario generale dell'ONU Ban Ki Moon.
Ciò su cui la maggior parte degli analisti concorda è che la proclamazione unilaterale di indipendenza da parte di Pristina dovrà avere l'avvallo di Washington e Bruxelles. Quest'ultima, fino a poco tempo fa minacciata da divisioni interne, sembra ora aver raggiunto maggiore unità. Per il momento gli unici che dichiaratamente non riconoscono l'indipendenza del Kosovo sono Cipro e la Grecia.
Secondo l'analista Tim Judah, la quasi unanimità in seno all'UE è dovuta in buona parte al timore del ruolo che la Russia sta giocando nei Balcani, in particolare in Serbia, Kosovo e Bosnia Erzegovina. “Ciò che sembra essere accaduto è che la maggior parte dei paesi che non avevano una chiara posizione sull'indipendenza del Kosovo o che le si opponevano, si sono allarmati parecchio dal modo in cui la Russia ha mostrato di volere usare questa questione come mezzo per dividere e indebolire l'UE”, scrive Judah in una sua recente analisi.
L'orientamento di Belgrado verso la Russia quindi appare essere risultato controproducente. Secondo Ivan Vejvoda, già consigliere per la politica estera di Zoran Djindjic e attuale direttore del Balkan Trust for Democracy, in caso di proclamazione unilaterale di indipendenza “alla Serbia, non resta molto, oltre a dichiarare non valida la decisone di Pristina e farlo sapere mediante i canali diplomatici a quei paesi che hanno riconosciuto l'indipendenza”.
La Serbia starebbe in effetti preparando un “piano di azione” in caso di dichiarazione unilaterale di indipendenza. Ma in realtà le mosse che Belgrado potrebbe fare non sono molte. Potrebbe interrompere i rapporti con l'UE e la maggior parte dei paesi che riconosceranno l'indipendenza e rivolgersi a Mosca per rinforzare la partnership e destabilizzare la regione.
Ma per la Serbia tale ipotesi non sarebbe affatto vantaggiosa. Basti pensare all'accordo di recente firmato tra il vicepremier serbo Bozidar Djelic e il direttore della Commissione europea per i Balcani occidentali della Direzione generale per l'allargamento Pierre Mirel. Quest'ultimo prevede che la Serbia riceva entro il 2011 un miliardo di euro dai fondi di preaccessione dell'Unione europea. Si tratta del maggior aiuto senza condizioni e a fondo perduto che la Serbia abbia mai ottenuto. E se entro la fine dell'anno prossimo la Serbia dovesse diventare paese candidato all'UE tale cifra potrebbe anche raddoppiare.
Come sottolinea il giornalista del belgradese “Vreme” Dejan Anastasijevic, “la Serbia può anche colpire i piccoli paesi della regione, come il Montenegro e la Macedonia, imponendo delle restrizioni commerciali e abbassando l'intensità delle relazioni diplomatiche. Ciononostante il danno per questi ultimi sarebbe limitato ed anzi queste misure potrebbero addirittura spiengere Bruxelles a far procedere più velocemente questi paesi verso una piena integrazione nell'UE per stabilizzare la regione. E la Serbia diverrebbe di nuovo più vulnerabile alle sanzioni imposte dall'UE”.
Anche per quanto riguarda la Bosnia Erzegovina (BiH) non è affatto scontato che il premier della Republika Srpska (RS), entità della BiH, sia disposto fino in fondo ad accogliere gli ammiccamenti di Belgrado. Lo stesso Dodik, come con...
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