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... della prima potenza mondiale. Chiunque, nella constituency Democratica, cercasse la durezza e la determinazione in un candidato, non avrebbe dubbi su chi far cadere la propria scelta: la signora Rodham-Clinton. Come negare la sua capacità di ripresa dopo gli schiaffi elettorali di febbraio? Un afro-americano può conquistare il voto degli Stati più bianchi d’America, come Iowa e Vermont. Da quelle parti Obama ha dominato. Come negare che il giovane senatore sia un candidato più credibile ed autorevole oggi di quanto lo fosse a dicembre?
L’energia sinora sprigionata dalla competizione è stata prevalentemente di segno positivo. Non si può negare il rischio che il prolungarsi del confronto rischi di favorire i repubblicani, ma l’esito non è scontato. L’entusiasmo e la passione politica che accompagnano la competizione interna al Partito dell’Asinello non si sono esauriti, starà al buon senso dei due contendenti non sperperare questo patrimonio. C’è di peggio che sfiancarsi in una corsa più lunga e faticosa del previsto, che veicola comunque attenzione mediatica e visibilità. Ad esempio, ricevere pubblicamente l’encomio e l’appoggio di un presidente dell’impopolarità di George W. Bush, conclude sarcasticamente la Goodman.
IL GIARDINO DELLE ROSE
John McCain la pensa diversamente. Poche ore dopo essersi assicurato la nomination Repubblicana si è recato in visita alla Casa Bianca per ricevere l’endorsement presidenziale. “Conosco John molto bene, ho combattuto contro di lui, ho lottato insieme a lui e so che sarà un presidente in grado di sconfiggere il nemico e di avere un cuore talmente grande da amarlo comunque”. La precipitazione con cui McCain ha voluto raccogliere l’appoggio del presidente è dovuta alla volontà di Mac di accreditarsi presso la base conservative che si riconosce ancora in Bush. Così facendo, il navigato politico rischia tuttavia di alienarsi i consensi dei Republicans moderati e degli indipendenti che l’hanno sospinto sin qui. Del resto, il livello di gradimento del presidente rimane innegabilmente basso. Significativo che Bush abbia ricordato, rispondendo all’inviato dell’emittente Abc: “La gente non dovrà votare per me o contro di me, ho fatto il mio tempo nello Studio Ovale”.
Vedere i due personaggi scambiarsi effusioni e complimenti fa un certo effetto se si considerano i precedenti. Una relazione oscillante ed instabile la loro. Nel 2000 si affrontarono all’ultimo sangue nelle primarie del Grand Old Party, McCain in seguito ha più volte criticato la politica energetica dell’amministrazione Bush, e si è mobilitato, in alleanza con i Democratici, contro alcune scelte del governo. In Senato ha spinto per un compromesso bipartisan sulle nomine dei giudici della Corte Suprema decise da Bush ed ha capeggiato una rivolta congressuale contro gli spicci metodi di interrogatorio anti-terrorismo messi in campo dall’amministrazione. Anche rispetto all’Iraq non sono mancati gli attriti. McCain ribadisce tuttora di essere stato l’unico del Partito ad opporsi alla gestione della guerra da parte del detestato Donald Rumsfeld “che verrà ricordato come uno dei peggiore segretari della Difesa della storia”. D’altro canto, il senatore dell’Arizona riconosce a Bush il merito di aver impedito un altro 11 settembre nel territorio americano e si dichiara in linea con la sua politica fiscale. Inoltre, alla Casa Bianca tutti ricordano come nel 2004 McCain non abbia esitato ad impegnarsi a fondo nella campagna per la rielezione di Bush. Ora McCain chiede al presidente uscente di ricambiare e di accreditarlo definitivamente come il true conservative che continua a dichiarare di essere. Su questo punto Bush è apparso leggermente elusivo, anche se alla fine risponderà positivamente. Quanto volentieri non è dato saperlo.