SELEZIONE DELLA STAMPA ESTERA-18 marzo di Critica Sociale
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... rebbero obbiettivi nemici da minacciare e colpire per dissuadere il terrorismo qaedista, gli strateghi Usa puntano sulla tecnologia per prevenire gli attacchi e sulla psicologica e la propaganda per togliere legittimità ideologica ai terroristi.
I Democratici della Florida hanno deciso di non ripetere le primarie del 29 gennaio e quindi di non assegnare i delegate dello Stato. A meno che il comitato del Partito, che si riunirà ad aprile, non decida diversamente, svanisce così l'ultima possibilità per Hillary Clinton di superare Barack Obama nel conteggio dei delegati elettivi. Quasi sicuramente l'ex first lady arriverà a giugno, quando il processo elettorale delle primarie Democratiche terminerà, con meno delegati del rivale e dovrà affidarsi alla Convention di Denver per ottenere la nomination. Anche in Michigan si giungerà probabilmente alla decisione di non rivotare ed anche in quel caso Hillary verrebbe danneggiata dalla scelta. Il presidente del Partito, Howard Dean, ha dichiarato che, in ogni caso, ogni decisione su Michigan e Florida dovrà essere condivisa dai due candidati. Intanto il tempo passa e gioca a favore di Obama.
Lo speciale di Foreign Policy sul quinto anniversario dello scoppio della guerra in Iraq prosegue con la riproposizione di un contributo del febbraio 2003, scritto a quattro mani da due eminenti scienziati politici che ammonivano sull'inutilità di un eventuale attacco al regime iracheno. Walt e Mearsheimer criticavano l'atteggiamento dei falchi dell'amministrazione Bush, convinti che Saddam Hussein, dittatore spietato ed eccentrico, fosse troppo imprevedibile per essere contenuto diplomaticamente dall'America. Secondo Walt e Mearsheimer, invece, da un'analisi dei comportamenti tenuti dal rais iracheno sulla scena internazionale emergeva come Saddam, nonostante la sua estrema crudeltà, fosse un personaggio razionale e calcolatore, e quindi contenibile senza il ricorso alla guerra. La scelta di Bush/Cheney appariva dunque politicamente e strategicamente sbagliata, a prescindere da quali risultati le truppe americane avrebbero ottenuto nei cinque anni successivi.
L'amministrazione americana sembra intenzionata a spendere gran parte degli ultimi mesi del suo mandato nel tentativo di avvicinare ulteriormente le posizioni dell'Autorità Nazionale Palestinese (Anp) e del governo israeliano. Né i recenti scontri di Gaza, né la disattenzione dell'opinione pubblica Usa, distratta dalla crisi economica e dalle primarie, sembra distogliere il trio Bush-Cheney-Rice dall'impegno sull'incandescente versante israelo-palestinese. In questa fase, gli Usa premono su Israele affinché mantenga gli impegni negoziali presi nei confronti dell'Anp, mentre il governo Olmert, confidando sugli ottimi rapporti con Bush, punta molto sulle ultime mosse dell'amministrazione in carica. In particolare, ha confidato ad Haaretz un alto funzionario governativo israeliano, vi è la speranza che il presidente Usa segua l'esempio dei suoi tre predecessori, Reagan, Bush padre e Clinton, che continuarono ad impegnarsi fattivamente nella ricerca di una soluzione anche dopo l'elezione del loro successore alla Casa Bianca.
Hamas, combattendo e provocando Israele, tenta di accreditarsi agli occhi dei palestinesi e del mondo arabo come l'unica forza in grado di opporsi allo Stato ebraico. L'Anp, invece, teme ogni forma di interazione tra Israele ed Hamas, che sia guerra o negoziato, per timore di perdere qualsiasi legittimità come rappresentante internazionalmente riconosciuto per portare avanti il processo di pace. Israele, da parte sua, è preoccupato di evitare qualsiasi sviluppo positivo nei rapporti fra Fatah ed Hamas. Le divisioni palestinesi riducono infatti al minimo la possibilità che in futuro sorga uno Stato di Palestina che inglobi per intero i Territori Occupati.
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