Una ricerca del Pentagono, effettuata utilizzando i documenti dell'intelligence irachena requisiti dopo la caduta di Baghdad nel 2003, non chiarisce le responsabilità di Saddam Hussein né rispetto ai suoi presunti legami con al-Qaeda, né ai progetti del governo iracheno di eliminare Bush padre. Qualche psicologo d'accatto ha in passato sostenuto che una delle motivazioni alla base dell'attacco all'Iraq fosse il desiderio di vendetta di George W. Bush nei confronti di un personaggio che, secondo l'amministrazione Clinton, avrebbe cercato di colpire il genitore nel 1993. In realtà, il dossier del Pentagono smentirebbe anche questa fantasiosa ipotesi. Non vi è traccia evidente del tentativo di uccidere l'ex presidente, così come non appaiono i tanto sbandierati legami tra il regime iracheno e l'internazionale qaedista del terrore. Ciò che emerge è uno stato continuo di paranoia rispetto alle mosse del nemico, americano o sionista che sia. Paranoia evidentemente contagiosa.
Quando le truppe americane invasero l'Iraq cinque anni fa, i responsabili della politica estera Usa erano convinti di due cose. In primo luogo, l'America non poteva essere sconfitta. L'esperienza del Vietnam veniva considerata unica nella storia ed irripetibile. In secondo luogo, a Washington vi era la convinzione che il popolo iracheno si sarebbe rallegrato della vittoria americana. Non gioirono forse cechi e polacchi una volta terminato il dominio sovietico in Europa? E che dire degli afgani liberati dal giogo dei taliban? Nella primavera del 2003 militarismo e moralismo intossicavano le determinazioni degli strateghi e dei politici americani; la dura lezione di cinque anni di guerra in Iraq potrebbe aver segnato negli Usa la fine di una concezione ideologica e muscolare della politica estera. FOREIGN POLICY Can the World Afford A Middle Class? Moisés Naím
Il mondo sarà in grado di sostenere una classe media in repentina crescita? Sì, ma a caro prezzo. La classe media nei paesi poveri è il segmento della popolazione mondiale in più rapida espansione. La Cina e l'India la fanno da padroni. Entro il 2025 la Cina avrà la più vasta classe media del pianeta, mentre i “borghesi” indiani saranno aumentati di 10 volte rispetto ad oggi. Le prime conseguenze del fenomeno sono già avvertibili nell'aumento generalizzato del prezzo di diversi beni. A livello mondiale, stiamo assistendo ad un'impennata dei prezzi dei generi alimentari, determinata non dalla penuria di grano e latte ma dal fatto che molte più persone possono accedere alloro consumo. La dinamica spinge i prezzi alle stelle, così come avviene per il petrolio. Nuove tecnologie e, auspicabilmente, nuovi stili di consumo più razionali e responsabili dovrebbero scongiurare l'avverarsi degli scenari catastrofici di maltusiana memoria, ma il processo non sarà indolore e sicuramente si rivelerà costoso.
Come spesso accade nell'arena internazionale, ai buoni propositi non fanno seguito azioni concrete. Il Darfur rischia di aggiungersi al lungo elenco dei case study in materia. La forza di peacekeeping dispiegata nella regione rischia seriamente di fallire prima ancora di aver intrapreso operativamente la propria missione sul campo. Tra le cause, i ritardi burocratici, l'ostruzionismo del Sudan e la riluttanza dei governi a mandare le proprie truppe in zona di guerra. Molti Paesi si mostrano restii all'idea di inviare soldati in area di conflitto senza accordi di pace o cessate il fuoco operanti. Essi preferiscono quindi impegnarsi militarmente solo dopo che la situazione si sia stabilizzata, ma il problema sta proprio qui: come è possibile mantenere la pace, se la pace nei fatti non esiste? Rifiutandosi di concorrere, anche tramite la pressione militare sul campo, al raggiungimento di un accordo o almeno di una tregua, la comunità internazionale ritarda drammaticamente la soluzione della crisi.
Dick Cheney sta portando a termine la sua visita in Medio Oriente, che intende aprire la strada al viaggio che George W. Bush intraprenderà nel mese di maggio per discutere delle tematiche più scottanti che disturbano la stabilità regionale. ...
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