Gli accadimenti dell'ultima settimana lasciano molte perplessità nell'opinione pubblica libanese. E' forse giunto il momento di mettere Hezbollah davanti alle proprie responsabilità. Dopo essersi conquistato grandi consensi ai tempi della guerra estiva contro Israele, due anni fa, il movimento sciita potrebbe ora perdere appeal. L'invasione e l'occupazione di Beirut contraddice la solenne promessa di Hezbollah di non usare le armi contro i propri connazionali libanesi. L'esercito del Libano non è esente da colpe, essendosi mostrato restio ad intervenire in modo deciso in questi giorni di scontri e tensioni. Intanto aumentano le possibilità che i militanti islamisti sunniti prendano le armi per contrastare le manovre aggressive degli sciiti di Hezbollah. Anche per evitare questo ulteriore effetto collaterale, l'esercito deve riprendere il controllo della situazione e ridurre la libertà di manovra di Hezbollah. Il disarmo degli uomini di Hassan Nasrallah è l'unica prospettiva realistica per ridare stabilità al Paese.
Sheik Yazeeb Khader, giornalista ed attivista politico di Hamas, ha una teoria ben precisa su quanto sta accadendo negli ultimi mesi in Medio Oriente e la espone al Washington Times. L'azione di forza di Hezbollah in Libano è il proseguimento logico di un inevitabile processo politico-strategico che, iniziato con la presa di Gaza da parte di Hamas lo scorso anno, continuerà implacabilmente nei prossimi mesi e anni in Egitto e Giordania. Ossia, la graduale affermazione delle componenti islamiste nella regione ai danni dei regimi appoggiati dagli Stati Uniti d'America. I regimi cosiddetti moderati avrebbero i giorni contati, poiché il sempre più solido connubio Hamas-Iran-Hezbollah starebbe a dimostrare l'affievolimento delle divisioni fra sciiti e sunniti in nome della lotta comune per la presa del potere nell'area.
Israele sopravviverà altri sessant'anni? Probabilmente sì, ma non come Stato ebraico. Non è realistico pensarlo e gli stessi israeliani dovrebbero definitivamente abbandonare la tentazione di caratterizzarsi in senso prevalentemente etnico e considerarsi pienamente acquisiti alla civiltà occidentale. L'anti-semitismo non può essere considerata una minaccia che interessi soltanto Israele. La giudeo-fobia è un inquietante sintomo dell'imbarbarimento di una nazione ed un sintomo del suo declino e crollo, come dimostrano gli esempi della Spagna Cattolica del sedicesimo secolo e della Germania nazista. Gli strali deliranti dell'Iran e la deriva radicale di una parte del nazionalismo arabo-palestinese, oltre ad inquietare il mondo, dovrebbero indurre Israele a liberarsi dalla sua residua diffidenza ed a completare il processo di affiliazione alla comunità euro-atlantica. L'arroccamento alla sua specificità ebraica, alla lunga, potrebbe diventare anacronistico e pericoloso.
Per Jimmy Carter, “è tempo che in Europa, in Usa, in Israele si levi la condanna contro la tragedia dei diritti dell'uomo inflitta al popolo palestinese.” Al ritorno da un viaggio in Medio Oriente compiuto per conto della Fondazione che porta il suo nome, The Carter Center, l'ex Presidente degli Stati Uniti denuncia al mondo la situazione di privazione dei diritti umani cui è soggetta la popolazione di Gaza.
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