Michael Young, analista politico che sta seguendo gli eventi libanesi direttamente da Beirut, inquadra i recenti disordini nel disastrato Paese come episodi della nuova guerra fredda che interessa ormai il Medio Oriente e che vede contrapposti gli Stati Unitiall'Iran, con il coinvolgimento dei rispettivi alleati (sauditi, egiziani, giordani e libanesi da un lato, siriani, Hezbollah ed Hamas dall'altro). In un'intervista concessa a Bernard Gwertzman, del Council of Foreign Relations, il collaboratore del giornale libanese Daily Star esprime il suo timore che la dimostrazione di forza di Hezbollah possa condurre ad un inasprimento nei rapporti tra la comunità sciita e sunnita. Di conseguenza, potremmo assistere ad un rafforzamento, in chiave anti-Hezbollah, delle formazioni radicali sunnite, già forti nel nord del Paese. La situazione è potenzialmente esplosiva.
La delegazione della Lega Araba ha annunciato l'accordo che permetterà al Libano di uscire dalla crisi. Come annunciato dal primo ministro del Qatar, lo sceicco Hamad Ben Jassim Ben Jaber Al-Thani, che ha presieduto la mediazione, l'accordo si concretizza in sei punti. La maggioranza parlamentare anti-siriana e l'opposizione di Hezbollah si incontreranno venerdì per negoziare un governo di unità nazionale ed una nuova legge elettorale. Si è convenuto inoltre l'elezione del generale Michel Suleiman alla Presidenza della Repubblica. Le due parti hanno accettato di rinunciare all'uso delle armi. L'aeroporto della capitale è stato riaperto.
Per semplicità si tende a considerare il Libano diviso in due fazioni, Hezbollah – sostenuto da Siria e Iran – ed un blocco governativo filo-occidentale, sotto egemonia americana. Ma la realtà è molto più complessa. Si è rotto il delicato equilibrio tra Cristiani, Druzi, Sanniti e Sciiti. Ricomporlo oggi è un'impresa estremamente difficile. THE NEW YORK TIMES McCain Sees Troops Coming Home by 2013 Elisabeth Bumiller
John McCain parla dall'Ohio, uno degli Stati che potrebbero risultare determinanti a novembre. Quattro anni fa la vittoria di Bush da quelle parti seppellì le velleità presidenziali di John Kerry. Il veterano Repubblicano dimostra il suo ottimismo per il futuro dell'America ed è convinto che il ritiro delle truppe dall'Iraq sia un'ipotesi percorribile. Ed addirittura anticipa una data: il 2013. La sorpresa è grande. Durante la fase calda delle primarie del suo Partito, McCain aveva accusato Mitt Romney di aver in animo di proporre un calendario per il graduale ritiro dall'Iraq, mentre il senatore dell'Arizona si dimostrava irremovibile sul punto: “Ci ritireremo quando la missione sarà compiuta, anche servissero cent'anni”, aveva detto. Su questo punto, McCain sostiene di non aver mutato opinione. La sua è soltanto una previsione basata sul fatto che, a suo dire, l'Iraq sarebbe ormai un Paese in via di stabilizzazione democratica e perciò potrebbe non necessitare più a lungo della presenza Usa.
George W.Bush fa il suo ingresso ufficiale nella campagna presidenziale 2008. E' presto per dire se la sua si rivelerà una presenza stabile o se il , non troppo, velato riferimento a Barack Obama durante il discorso tenuto alla Knesset, il parlamento israeliano, rappresenti semplicemente un tentativo di difendere la politica estera dell'amministrazione in carica dal criticismo del front-runner Democratico. Bush ha sottolineato quanto siano ingenui coloro che si dichiarano pronti a negoziare con chiunque, “nella ingenua certezza di poterli convincere a desistere dai loro comportamenti sbagliati.” Obama, che ha spesso contrapposto le virtù della mediazione (anche con l'Iran, salvo semi-ritrattare recentemente) alla politica muscolare dei primi anni dell'amministrazione Bush, ha risposto prontamente, rilevando l'intenzione del presidente in carica di strumentalizzare la sua visita ufficiale in Israele a fin propagandistici. La strategia d...
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