SELEZIONE DELLA STAMPA ESTERA- 27 maggio di Critica Sociale
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... gono considerati tra i più efficienti nel contrasto al fenomeno terroristico. In Francia l'esperienza accumulata durante la Guerra d'Algeria sta dando i suoi frutti; in Giordania gli attacchi di al-Qaeda nel 2005 sono stati arginati con grande determinazione; in Egitto la reviviscenza, violenta, islamista degli anni novanta è stata repressa con il pugno di ferro; a Singapore accanto alla durezza sono stati previsti programmi di recupero per i militanti; in Russia la lotta senza quartiere alla dissidenza cecena, ed alla sua variante terroristica, sembra aver dato una parvenza di stabilità alla tormentata provincia.
Editoriale Haaretz Who's afraid of Finkelstein? Who's afraid of Finkelstein? Lo stato di Israele ha impedito venerdì scorso ad un politologo ebreo americano, il Prof. Norman Finkelstein, di entrare nel paese per ragioni di sicurezza. Finkelstein ha il divieto di entrare in Israele per 10 anni, a causa del suo esplicito supporto ad Hezbollah. Non si può certo simpatizzare con le opinioni di Finkelstein ma frequentare Hezbollah non significa necessariamente costituire un pericolo per la sicurezza nazionale. Se è vero che l'ingresso in Israele non è un diritto riconosciuto ai non cittadini, è altrettanto vero che è diritto dei cittadini israeliani ascoltare anche opinioni inusuali. Soprattutto se espresse da un ebreo.
Da un punto di vista formale, ovviamente, il Libano è uno Stato indipendente, ma nei fatti la società libanese è un insieme di comunità distinte e fortemente ostili tra loro. In sostanza, lo Stato libanese non è che il risultato della turbolenta storia del Medio Oriente e della creazione di nazioni artificiali da parte delle potenze coloniali, Gran Bretagna e Francia. L'indipendenza e l'arrivo dei profughi palestinesi nel 1948 non ha fatto che aggravare le rivalità tra Cristiani e Musulmani. La Guerra civile del ‘75-90 ha infine portato il paese sotto l'influenza di Damasco che ha sempre considerato il Libano come parte della grande Siria. L'instabilità politica di oggi è dovuta agli accordi del 43 in cui venne decisa la ripartizione delle cariche istituzionali tra le comunità Cristiano-maronita – il Presidente – Sunnita – il primo ministro – e Sciita – il presidente del parlamento. L'accordo raggiunto a Doha la scorsa settimana non fa che riproporre il tradizionale blocco di potere, a scapito del bene collettivo. Finché la società libanese non si leverà contro l'establishment al potere, non si avrà uno stato ma un insieme di gruppi di interesse.
La guerra in Iraq ha reso Israele più insicuro perché ha permesso all'Iran di guadagnare influenza in tutta la regione. È per questo che oggi è necessario proseguire il dialogo con la Siria. È chiaro, infatti, che l'accordo di Doha non fa che ratificare il potere di Hezbollah. L'organizzazione sciita ha il controllo del paese e può in qualunque momento attaccare Israele. Se non lo fa è perché non vuole, non perché non può. E nessuno è oggi in grado di impedirlo. Negoziare non è un segno di debolezza ma di intelligenza. La diplomazia non serve a minacciare ma a prevenire le aggressioni. Olmert questo lo ha capito. Negoziando con la Siria, anche a costo di cedere le Alture del Golan, Israele riuscirebbe a sottrarre Hezbollah dal controllo di Damasco e Teheran e creare una zona demilitarizzata sotto il controllo diforze multinazionali.
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