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L’AMERICA TEME LA RECESSIONE, NON IL RITORNO DELLO STATO
McCain accusa Obama di voler snaturare l’essenza del sistema americano, favorendo un rinnovato interventismo statale. Ma, in tempi di crisi, è forse quello che gli elettori vogliono



Alla vigilia del voto l'America si interroga sul suo futuro. La drammatica scoperta della propria vulnerabilità induce a riflettere sul declino e sulle mosse per evitarlo. La crisi economica che avanza verso la recessione mette in questione il modello di sviluppo del Paese negli ultimi decenni. Valori quali libertà d'iniziativa, autonomia ed individualismo, da sempre centrali nel carattere nazionale ed esaltati dalla retorica reaganiana, perdono pregnanza e significato nei momenti di difficoltà. Con riluttanza l'America crepuscolare di inizio millennio sembra allora guardare nuovamente al mai troppo amato Stato, come era accaduto dopo la Grande Depressione degli anni trenta. Questa nuova attitudine (quanto sincera? quanto duratura?) ha inevitabili riflessi sulle dinamiche di una lunga competizione elettorale giunta ormai sulla dirittura d'arrivo: Barack Obama, “pericoloso socialista con manie redistributive” (nella parole di Sarah Palin), sembra interpretare al meglio il cambiamento in atto dell'ethos americano.

Seppur con sfumate differenze, i commenti relativi all'ultimo dibattito presidenziale hanno coinciso su un punto: John McCain non ha ribaltato il trend generale favorevole al rivale. Obama è uscito indenne anche dallo scontro di Hempstead, New York, l'ultimo prima del voto. Tanto più che un sondaggio ha rilevato, ancora una volta, un maggior apprezzamento da parte del pubblico per l'intervento del senatore dell'Illinois. I due contendenti hanno avuto un interessante scambio di idee quando è stato evocato Joe Wurzelbacher (the plumber), l'idraulico (o presunto tale) che poco prima del dibattito ha avuto una discussione con Obama in merito alla politica fiscale proposta dal senatore dell'Illinois. Obama ha ribadito la sua intenzione di aumentare le tasse soltanto al 5% degli americani, McCain ha ricordato ironicamente che per Joe, come per ogni altro americano, sarebbe meglio gestire direttamente i propri soldi piuttosto che passarli al governo. McCain ha evocato inoltre il nome di Bill Ayers, amicizia scomoda del rivale, senza tuttavia eccedere negli attacchi personali. La risposta: “McCain ha dedicato tutti i suoi spot elettorali a lanciare attacchi contro di me anziché proporre vie d'uscita alla crisi economica.”

Interessante notare come due firme della medesima testata, il Time, abbiano giudicato diversamente le performance di McCain ed Obama. Mark Halperin promuove il senatore dell'Arizona, considerandolo particolarmente efficace nella prima fase del dibattito, in quanto centrato sulle questioni di politica economica e fiscale e puntuale negli attacchi al rivale per il quale ha coniato l'epiteto di “senator government” per la sua presunta propensione a mettere le mani in tasca agli americani. Brillante la difesa dagli attacchi del candidato Democratico. “Senatore Obama, io non sono Bush. Se voleva sfidare Bush avrebbe dovuto candidarsi quattro anni fa.” Obama, da parte sua, messo sotto accusa per la sua mancanza di esperienza e per i suoi legami con la Acorn, un'associazione legata al Partito Democratico accusata di frode elettorale, è sembrato sotto tono nella prima parte della discussione, salvo riprendersi nel finale, forse stimolato dalla vis polemica di McCain. Nel complesso una vittoria del Repubblicano dunque, nonostante una minore efficacia mostrata negli ultimi minuti del confronto, quando McCain è parso meno puntuale nelle sue considerazioni e nelle proposte avanzate, insistendo troppo negli attacchi personali e troppo poco sul merito delle questioni. Lo stesso errore commesso nei primi due dibattiti.

Su questo punto concorda Joe Klein, in un post inserito nel sito web del Time, ma diversa è la sua analisi complessiva. McCain non è stato efficace come molti analisti americani sostengono. Il senatore dell'Arizona, sostiene Klein, si è semplicemente limitato a rispolverare una serie di luoghi comuni utilizzati, con un certo successo, dai conservatori contro i liberal nell'ultimo trentennio: “Proponi di aumentare le tasse!”, “Vuoi sperperare il denaro pubblico!”, “Sei pronto a negoziare con i bud guys (vedi Ahmadinejad)!”, “Ti accompagni con personaggi discutibili ed antipatriottici (Vedi il reverendo Wright ed Ayers)!” Argomenti triti e ritriti ed in questa fase inefficaci. “Noi giornalisti del resto”, sostiene ancora Klein, “siamo molto più bravi a descrivere il passato che a prevedere il futuro…Questo è un ottimo anno per essere un senator government. Ronald Reagan sosteneva che le nove più inquietanti parole della lingua inglese fossero: I'm from the government and I'm here to help you (io sono del governo e sono qui per aiutarti). In realtà le otto più pericolose oggi paiono essere: I'm ...


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