In Italia la fuoriuscita dal "secolo breve" e dalla "guerra fredda" ha significato all'inizio fuoriuscita dal sistema dei "partiti di massa", dal proporzionale, dalle preferenze. Da venti anni insieme a nuove leggi elettorali ha quindi preso forma un sistema maggioritario con una moltiplicazione di partiti, sistematiche destabilizzazioni che contraddicono il mandato elettorale, continue improvvisazioni di costituenti di nuovi partiti-guida prefiguranti il bipartitismo tra "popolo delle primarie" e "patrioti del predellino". Nel nuovo numero di "Critica Sociale" viene iniziato un nuovo approfondimento sul tema di tale ingorgo politico-costituzionale evitando però la critica "nostalgica". Gli interventi di Fabrizio Cicchitto e Rino Formica infatti mettono a fuoco - molto liberamente e nel comune richiamo alle idee guida del riformismo socialista - ragioni e prospettive del caso italiano di questo ingorgo che blocca la strada di una democrazia dell'alternanza in un quadro di comuni valori di democrazia occidentale. Ciò è indubbiamente conseguenza del fatto che la "questione giustizia" - ovvero il disarcionamento di chi ha vinto le elezioni per via extraparlamentare - è diventata la "strada maestra" dell'opposizione politica in una mancata "resa dei conti" con il passato totalitario.
Fabrizio Cicchitto, presidente del gruppo alla Camera del Pdl, riflette con la Critica sulla crisi che ha scosso la vita politica in agosto e che giungerà a una sua ricomposizione - come sembra ormai certo - con il voto in Parlamento sul documento programmatico di 5 punti messo a punto dal Governo. Tra qualche settimana la maggioranza verificherà la sua tenuta e Cicchitto auspica una ricomposizione del conflitto con i finiani per giungere alla fine naturale della legislatura col Governo Berlusconi. Li invita a prendere atto delle differenti valutazioni "ormai emerse all'interno del partito", e "a farle valere, ma ad andare avanti" in Parlamento. Dissente dalla Lega sulla collaborazione su importanti temi con l'Udc, collaborazione che a suo avviso va coltivata. Ad ogni modo, in caso di crisi politica la strada sarebbe quella delle elezioni: non è un aut-aut, ma una considerazione di "ragionevolezza politica". Il confronto interno al partito, per comporre i contrasti emersi già mesi fa non avrebbe evitato di esportare la conflittualità in Parlamento mettendo a rischio lo stesso Governo? "La crisi consente di fare anche alcune riflessioni di carattere più generale. Innanzitutto essa dimostra - dice Cicchitto - quanto sia stato più facile costruire un soggetto politico per le elezioni che potesse raccogliere il consenso dei cittadini su alcune idee chiare, come è riuscito a fare Berlusconi con il PdL in successive serie di vittorie elettorali, piuttosto che, paradossalmente, tradurre questo soggetto politico elettorale in un partito politico caratterizzato da una sua metodologia e da una sua stabilità".
Il Presidente della Repubblica ha capito bene qual è il nodo della crisi italiana: la legge elettorale. Non perché ha trasformato maggioranze relative in maggioranze assolute, ma perché ha identificato una "Costituzione materiale" antagonista e negatrice della Costituzione formale. Le leggi elettorali maggioritarie che imperversano nel nostro Paese dal '93 a oggi hanno inciso nei meccanismi di garanzia democratica e potrebbero sfregiare la Carta costituzionale in maniera irreparabile. Da diciassette anni non occorre più la maggioranza assoluta e qualificata della rappresentanza del voto popolare per eleggere il Presidente della Repubblica, i Presidenti delle Camere, i Giudici Costituzionali, i componenti del Consiglio superiore della Magistratura e per modificare i regolamenti della Camera. A cascata sono prive del "quorum qualificato" le nomine di pertinenza del Presidente della Repubblica e dei Presidenti delle Camere. Non sono in corrispondenza con una maggioranza di voto popolare, anche le loro nomine non rispondono più all'esigenza della rappresentanza maggioritaria, e tali nomine riguardano i Giudici Costituzionali, i Senatori a vita, le Authority e perfino le Commissioni parlamentari di controllo (Rai, servizi di sicurezza e inchieste parlamentari). Cioè allo stato attuale abbiamo maggioranze parlamentari che non sono maggioranze di voto popolare. Il Presidente della Repubblica, con civilissimo garbo e con preoccupata sensibilità democratica, ha posto alle forze politiche il dilemma: "O cambiate la Costituzione, o vi obbligherò a rispettarla". E' finita la stagione delle modifiche costituzionali "di fatto".
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