Erdogan volta le spalle all'asse Iran-Hezbollah
IL DESTINO DI ASSAD
PASSA DA ANKARA
La riconferma elettorale del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) - la formazione islamista moderata guidata dal premier Erdogan - e le sue conseguenze sull'attiva politica estera turca meritano un approfondimento che Stratfor affida a George Friedman. Non è un mistero che Ankara saluterebbe con piacere una vittoria dei ribelli siriani contro le forze di Assad (spalleggiate da Iran e Hezbollah). Secondo l’interpretazione di Debka file un simile esito rilancerebbe le aspirazione egemoniche di Ankara sul mondo islamico sunnita.
Le parole del ministro per l'Europa, Egemen Bagis ("Siamo l'ispirazione della primavera araba") non fanno che confermare la crescente auto-stima del governo turco.
Mentre si accentua l'influenza della Turchia sugli affari del Grande Medio Oriente, gli Stati Uniti sembrano intenzionati a defilarsi. Entro la metà del mese di luglio, Barack Obama presenterà un piano di disimpegno statunitense dall'Afghanistan, che ridurrà le truppe nel Paese di circa 30.000 unità e che proseguirà sino a un ritiro completo in 12-18 mesi. Tuttavia, precisa Leslie Gelb, ex editorialista del New York Times e autore dell'anticipazione riportata dal blog Daily Beast, prima di procedere il presidente dovrà vincere le perplessità diffuse all'interno e all'esterno dell'amministrazione.
Sul versante economico, mentre le istituzioni multilaterali guidate dal mondo occidentale faticano a rapportarsi alla cangiante realtà economica globale, i paesi emergenti vedono la possibilità di "conquistare" il Fondo monetario internazionale (Fmi), ma le loro divisioni frenano ogni ambizione. In questo contesto, il Cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha rivendicato all'Europa la guida del Fmi dopo l'uscita di scena del francese Strauss Kahn.