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Cari Sindaci d'Italia, caro Bersani |
Oltre 70 mila coloro che hanno beneficiato dei condoni
GLI ELENCHI DEGLI EVASORI CI SONO IL "CONTRIBUTO" VADA AI COMUNI Tra le richieste inviate in 20 anni per "patteggiare" si trova tutta l'Italia che conta
L'ex ministro delle Finanze, Rino Formica ha affidato alla Critica sociale e al Riformista di Emanuele Macaluso, una sua bozza di proposta per correggere la manovra con il recupero di soldi dall'evasione, proposta illustrata in una lettera al segretario del Partito Democratico, Bersani. D'accordo con l'ex ministro socialista, la dedichiamo a tutti i Sindaci dei Comuni italiani, in particolare ai sindaci dei comuni minori, la fascia della politica più nobile, disinteressata e soprattutto eletta dalle comunità, affinché siano informati sulle alternative concrete rispetto ai "tagli ai comuni" che per la specificità dela società nazionale diventano tagli alle radici della convivenza quotidiana di comunità spesso antiche e alle prime realtà storiche di democrazia sociale.
Al Segretario del PD Caro compagno Bersani, uso la parola compagno perchè penso che tu, con la proposta di tassare con il 20 per cento gli utilizzatori dello “scudo fiscale” sia stato mosso dall’antico impulso dei vecchi militanti della sinistra storica impegnati per un secolo a chiedere giustizia ed eguaglianza. Se la tua proposta non è propaganda, ma è - come io credo- uno spostamento a sinistra della linea tuo tuo partito, puoi andare molto oltre se ti metti a scavare tra gli emersi dei vari condoni varati dai governi di centrodestra e di centro sinistra negli ultimi venti anni. L agenzia delle entrate e tutte le esattorie possiedono gli elenchi di tutti i condonati: basterebbe prendere quelli di fascia medio alta ( società e persone fisiche) ed imporre un “contributo di solidarietà” del 5-10 per cento sull’ultima dichiarazione dei redditi, con l’esclusione di bottegai, artigiani e piccole imprese. I condoni in Italia non sono popolari perchè la metà dei contribuenti è “incisa” direttamente alla fonte e vede male l’altra metà che paga poco e poi viene condonata.
Ma vi è poi anche il caso vasto degli ipocriti evasori che si coprono con prediche moralistiche: nel 1982 il grande “condono tombale” fu un atto legislativo del Governo Spadolini (ministro del Tesoro Andreatta, delle Finanze, Formica, del Bilancio, La Malfa). Anche in quella occasione vi fu un coro di indignati. Ma quando nel 1989 tornai al ministero delle Finanze mi procurai l’elenco dei condonati e senza sorpresa lessi i nomi di tutta l’Italia che conta. Vi era la Banca d’Italia, tutte le banche italiane, tutte le imprese pubbliche dell’IRI, l’Eni, l’ Efim, tutte le grandi aziende private. Tra queste, in particolare, trovai anche la richiesta della Olivetti con la firma del suo Presidente, prof. Visentini, della Fiat con la firma del dott. Romiti e persino della Juventus con un’aurea sigla di un Agnelli. Dimenticavo che sempre il condono nell’82 fu richiesto anche dalla Guardia di Finanza per i suoi spacci all’interno delle caserme. Aveva ragione il dott. Cuccia che non si fidava dei bilanci delle società perchè, diceva, “erano tutti falsi”.
L’area dei condoni è vasta e sarebbe totale se non vi fosse il prelievo alla fonte.
Caro Compagno Bersani, se vuoi punire gli evasori, gli elenchi sono tutti disponibili. Basta chiederli. Mentre per gli elenchi dei beneficiari dello “scudo fiscale” vi è qualche complicazione perchè lo Stato ha garantito l’anonimato che non è assicurato ai condonati. Il “contributo di solidarietà” da applicare ai condonati può avere durata triennale e può essere rigirato ai Comuni in attesa della riforma fiscale e dell’attuazione del federalismo fiscale.
Fraterni saluti, Rino Formica
Il commento del Corriere all'intervento di Napolitano al Meeting di Rimini
IL QUIRINALE E IL RILANCIO DELLO SPIRITO COSTITUENTE
Riproponiamo l'analisi pubblicata dal Corriere della Sera per la centralità del tema evidenziato da Paolo Franchi in quello che l'editorialista definisce "il discorso più politico" tenuto del Capo dello Stato nel corso di questi anni. di Paolo Franchi Al meeting di Rimini Giorgio Napolitano ha pronunciato il più «politico» dei suoi interventi. Non si tratta solo delle critiche aspre rivolte dal capo dello Stato tanto al governo e alla maggioranza quanto alle opposizioni, colpevoli i primi di aver esitato fino all'ultimo a riconoscere la gravità della crisi, le seconde (soprattutto, a dire il vero, il Pd) di limitarsi a indicare in Silvio Ber-lusconi il responsabile di ogni male. Questi giudizi severi e meritati si riferiscono certo, al nostro «presente angoscioso», ma chiamano in causa una valutazione di più lungo periodo. Per dirla con Napolitano: al dovere di decisioni immediate non si può sfuggire, ma «non troveremo vie d'uscita soddisfacenti e durevoli senza rivolgere la mente al passato e lo sguardo al futuro». Esattamente quello che la politica di governo e di opposizione almeno sin qui non ha voluto, saputo o potuto fare. Rivolgere la mente al passato significa trarre un bilancio dei vent'anni che abbiamo alle spalle. Ci era stata promessa, e ci eravamo ripromessi, la democrazia dell'alternanza. Non c'è che dire: la abbiamo avuta, la abbiamo, e vorremmo, tutto sommato, tenercela. Ma non è questa conquista che Napolitano mette in discussione: è la sua degenerazione. Gli strali del presidente sono rivolti (non da oggi, ma oggi con particolare nettezza) a un bipolarismo selvatico, rissoso e inconcludente, il cui prezzo sta ormai diventando, se non è già diventato, insostenibile. Napolitano fa, su questo quasi ventennio, un ragionamento stringente. Nel dopoguerra c'era stato «un prodigioso balzo in avanti» dell'economia e della società nazionale durato quasi trent'anni. Da vent'anni in qua la crescita dell'economia è invece rallentata fin quasi a ristagnare, la tendenza al miglioramento di alcuni fondamentali indicatori sociali è invertita, il debito pubblico non è stato abbattuto nonostante qualche temporanea riduzione del rapporto deficit-Pil, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è aumentata «dopo una marcia secolare in senso opposto», così come il tasso di povertà. Possibile che non ci sia un qualche nesso tra tutto ciò e la politica così come la abbiamo conosciuta negli ultimi decenni? Possibile (aggiungiamo noi) che su tutto ci si sia combattuti senza esclusione di colpi fuorché su questo? Il dibattito politico, chiamiamolo così, domande simili non se le pone nemmeno. Gli italiani cominciano a farlo. In ogni caso. È in questo stato che ci coglie, trovandoci peggio che deboli e impreparati, la crisi mondiale. Urgono misure immediate per non sprofondare, certo. Ma non daranno frutti durevoli senza vere riforme. E le riforme non si fanno, dice Napolitano, senza «una svolta» fondata sulle esigenze del rigore e su quelle della crescita, ma iscritta in una «visione più complessiva e avanzata degli orizzonti di lungo termine», così da riguadagnare un ruolo all'Italia in Europa e nel mondo e da riaccendere le speranze, anzi «il desiderio» di contare e, perché no, di fare politica delle generazioni più giovani. A tutto questo dovrebbe trovare risposte la politica, di governo e di opposizione, con una tensione intellettuale e morale paragonabile a quella della Costituente perché, fatte salve le (vistose) differenze, oggi come allora si tratta di ricostruire. Ci riuscirà? Dice Napolitano, come ogni italiano ragionevole: «Ci sono momenti in cui si può disperarne». Ma non si lascia attanagliare dal pessimismo della ragione: «Non credo a una impermeabilità della politica che possa durare ancora a lungo, sotto l'incalzare degli eventi». Eccola, la sfida di Napolitano. I giovani di Cl (e molti altri), come spesso succede tra nonni e nipoti, la hanno colta e condivisa con la testa e con il cuore. L'opinione pubblica, che ha nel capo dello Stato il suo unico punto di riferimento sicuro, pure. E la politi-ca? La rapidità e la nettezza con cui Silvio Berlusconi ha preso per la prima volta pubblicamente le distanze da Umberto Bossi, che a mo' di replica al presidente aveva sentenziato, in nome della Padania, la finis Italiae, bastano a rendere chiaro che le parole di Napolitano contano. Eccome.
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CRITICA SOCIALE
Rivista fondata nel 1891 da Filippo Turati
Alto Patronato della Presidenza della Repubblica
Direttore responsabile: Stefano Carluccio
Reg. Tribunale di Milano n. 646 del 8 ottobre 1948
edizione online al n. 537 del 15 ottobre 1994
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